Qualcuno ha scritto che sulla lapide di un uomo bisognerebbe scrivere ciò che ha realizzato nella vita. Su quello di Elio Fiorucci, che ci ha lasciato a 80 anni per un malore, si potrebbe scrivere citando Neruda “Confesso che ho vissuto”. Era un uomo curioso, innovativo, proiettato nel futuro. Sempre sorridente, disponibile, per niente snob.
Alla fine degli anni ’60 il suo negozio in San Babila era già un luogo di ritrovo cult, per i personaggi che lo frequentavano e il suo stile tipico, che richiamava i figli dei fiori. Ricordo (di aver portato anch’io) lunghe gonne di cotone fiorato, morbide magliette scollate e non, accessori colorati, che a quel tempo si potevano trovare solo a Londra. Come il ’68 aveva rotto gli schermi del perbenismo borghese, Fiorucci aveva creato una moda all’insegna della libertà e del divertimento, che aveva portato con il suo marchio anche all’estero, Giappone, USA, Sud America. Era un uomo aperto, in qualche modo spregiudicato, che in quegli anni visse anche negli eccessi, forse per provare ogni esperienza che lo incuriosiva. Amico di scrittori (lo avevo incontrato per esempio con Paolo Cohelo), artisti (Andy Warhol), imprenditori, frequentava ambiti diversi, compreso un convegno sugli angeli, angeli che aveva disegnato sulle sue t shirts, le sue borse, la sua oggettistica. Negli ultimi anni era diventato vegetariano, per rispetto agli animali, e si era anche dedicato al volontariato, aiutando ad esempio don Mazzi e i City Angels. E stranamente, per un uomo così internazionale, era anche molto discreto. Elio, ci mancherai. Fai parte della nostra vita, della nostra storia. In qualche modo rimarrai sempre con noi.
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