Forza senza sforzo ed energia illimitata: un sogno per l’Umanità. Ottenere moto senza applicare alcuna forza appare un’utopia, un miraggio, classificato come irrealizzabile, così come può apparire irrealizzabile l’idea di una fonte di energia completamente gratuita, fruibile senza difficoltà, che possiamo ottenere facilmente.

Le leggi della fisica paiono parlare chiaro e negare questa possibilità così suggestiva, relegando quindi il “perpetuum mobile”, l’energia infinita, che si rinnova in continuazione, al un mondo dei sogni: un’utopia irrealizzabile.
Eppure, questo sogno potrebbe non essere tale. Forse occorre solo modificare il nostro approccio con la realtà in cui viviamo, cercare un punto di vista diverso e cambiare idee ormai radicate dentro di noi, sostituendole con un’altra visione della realtà, del mondo.
E allora, quello che sembra utopico, lontano, diviene di colpo vicino, esattamente come possiamo avvicinare le stelle lontane semplicemente cambiando la nostra visione dell’universo. In fondo lo sappiamo tutti: la distanza è illusione, e tutto, cambiando le nostre percezioni, può essere davvero qui ed ora.
Che cos’è l’energia
È comunque importante partire dalla domanda di base: che cos’è l’energia? Questa domanda comporta riflessioni, considerazioni, idee. E’ uno dei termini più usati e forse abusati, soprattutto oggi; per esempio nel linguaggio del cosiddetto mondo spirituale la parola energia è utilizzata per indicare una grande categoria di cose, che vanno dall’interiorità, alla fisicità, a qualcosa di esterno, sino all’energia universale. Ci sono teorie per le quali la malattia è un calo di energia in una certa parte del corpo o, per contro, un eccesso. Forse è proprio partendo da noi, che potremo trovare il modo per non dipendere più da energia esterna.
Questo viaggio parte dalle basi, vale a dire da come la fisica definisce l’energia, facendo sì che quello che diremo abbia una precisa connotazione oggettiva. Infatti quando si parla di energia occorre cercare parametri oggettivi, che possano esulare dalle percezioni puramente soggettive, per giungere a qualcosa di sicuramente più globale e quindi definibile in termini scientifici.
Teniamo comunque presente che, parlando di energia, il rapporto tra esterno, vale a dire fuori di qualcosa, ed interno, cioè quello che succede dentro un sistema, sarà sempre presente, e potrebbe essere la chiave perché un sistema in qualche modo generi in sé infinita energia.
Energia potenziale e cinetica
In termini fisici vi sono, come vedremo, diversi tipi di energia, che possiamo raggruppare in tre grandi filoni: energia meccanica, energia termica, energia elettrica o elettromagnetica. Ognuno di questi filoni fa capo ad un settore specifico della fisica. Rispettivamente la meccanica, la termodinamica e l’elettromagnetismo. Si dimostrerà, poi, che questi settori sono molto più collegati di quello di quanto si possa pensare.

La definizione data per energia è “la capacità di un corpo di compiere un lavoro”. Per il momento accettiamola cercando di capirla più a fondo, comprendendo cosa sia il lavoro menzionato nella definizione. Esso è l’effetto di una forza che, a sua volta, sia in grado di far variare lo stato di quiete o di moto di un corpo. Va da sé che un corpo, non soggetto a forze, o è fermo o si muove di moto uniforme.
Abbiamo, quindi, nel rapporto tra “esterno” e “interno” di cui parlavamo: un corpo ha in sé uno stato di quiete e il moto giunge da un apporto “esterno” al corpo stesso. La forza può però venire anche da noi stessi e questa è già una produzione di energia.
In sostanza, l’energia è ciò che permette il movimento. E’ importante questo “permette”: infatti, non è detto che questo movimento avvenga, l’importante è che la possibilità di far avvenire il movimento vi sia. Si ottiene così un’ulteriore divisione nell’ambito dell’energia: se il movimento è solo in potenza, ma non avviene, l’energia si dice “potenziale”, altrimenti, nel caso in cui il movimento stia fattivamente avvenendo, l’energia è “cinetica”.

L’energia potenziale è quell’energia “racchiusa” in un corpo, pronta ad esprimersi quando le condizioni saranno favorevoli per permetterlo e questo avviene quando due potenziali differenti entrano in contatto. Un esempio è quello degli uccellini appollaiati su di un filo elettrico ad alta tensione, non toccando terra (che ha un potenziale differente) non rimangono fulminati. Abbiamo, quindi, definito due concetti importanti: la differenza e il potenziale e, forse, sarà questo che ci permetterà di ottenere “forze senza sforzo”, che utilizzino un potenziale in grado di auto-mantenersi o auto-rigenerarsi per ottenere un movimento.
Date queste premesse, è altresì importante comprendere cosa vuol dire produrre energia e cosa quindi si intende per fabbisogno energetico, cosa di cui oggi si parla molto.
Quello che permette quindi di produrre energia è la sua possibilità di trasformarsi da una forma all’altra. Per produrla dobbiamo quindi partire da un’altra energia, dalla quale otterremo quanto ci serve e che sia in grado di liberare tutta quel potenziale che potrà poi essere trasformato in quello che cerchiamo e che potremmo definire, a questo punto, “fonte di energia”.
Facciamo un esempio: se consideriamo una catasta di legna, questa è energia “in potenza”, se la bruciamo, otterremo calore, che poi potrà essere utilizzato per altri scopi. Se pensiamo ad una bicicletta alla cui ruota anteriore è collegata una dinamo con una lampadina, il movimento della bicicletta farà funzionare la dinamo, che produrrà l’elettricità necessaria a far funzionare la lampadina: siamo qui partiti da un’energia meccanica per generare energia elettrica. Il meccanismo utilizzato per la produzione di energia elettrica non è così dissimile: al posto delle dinamo, si useranno degli alternatori.
In tutto questo, sicuramente, abbiamo compreso che l’energia deriva da un qualcosa che è “esterno” ad un sistema. Come si sa dalla fisica, in un sistema chiuso ed isolato non vi è produzione di energia, se non per qualcosa che è stato fornito da fuori.
Il sistema può essere solo un “trasformatore”. In fondo, “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”. Il problema sarà se questo è sempre vero e, qualora lo fosse, quale potrebbe essere quell’”esterno” da cui attingere? Forse la chiave di volta del problema potrebbe essere proprio cambiare prospettiva su questo!
Tuttavia, se un’energia che ci serve deriva da un’altra energia, di altro tipo, è possibile in qualche modo realizzare un perpetuum mobile, che permetta un ciclo di trasformazione in maniera continua? Se, ad esempio, occorre moto per produrre elettricità, è possibile utilizzare questa elettricità per produrre il moto che occorre per produrla? In questo caso, avremmo realizzato una forma di energia perpetua.
Forse se lo sono chiesto anche i progettisti del primo treno a vapore, che ha costituito il primo passo verso il moto non generato da forza vivente: prima di allora, infatti, l’unico modo per ottenere movimento era quello di affidarsi a vetture trainate da cavalli.

La vaporiera si basa sulla trasformazione di energia termica in energia cinetica e possiamo subito osservare come un gas, sottoposto ad aumento termico, si dilati, consentendo ad esempio l’espansione di un pistone, mentre se la temperatura diminuisce il gas si contrae e il pistone si abbassa. E’ vero anche il viceversa: alzando un pistone il gas si raffredda e abbassandolo di colpo si scalda innescando un processo duplice.
Questo ci potrebbe far pensare ad un moto perpetuo, che trasformi calore in lavoro e nuovamente lavoro in calore, concetto che è stato smentito dal Secondo Principio della Termodinamica, che impone dei limiti ben precisi per la trasformazione del calore in lavoro. Nei suoi due enunciati possibili, quello di Clausius e quello di Kelvin, si afferma che non è possibile ottenere lavoro da una sorgente a temperatura costante e che non è possibile il passaggio di calore spontaneo da un corpo più freddo ad uno più caldo. Nello specifico, il secondo enunciato ci dice proprio che tutto tende all’equilibrio e che se abbiamo un corpo più freddo e un corpo più caldo e questi vengono messi a contatto, il calore passerà da quello più caldo a quello più freddo, fino a raggiungere un equilibrio.

Il ciclo termodinamico
Il primo ciclo termodinamico è stato ideato da Sadri Carnot e porta il suo nome. Tutti i motori, oggi, funzionano con cicli che sono molto simili a questo ed invertendo il ciclo termico, quindi percorrendolo al contrario, otteniamo un ciclo frigorifero: invece che un motore, quindi, otteniamo una pompa di calore, il cui scopo è quello di sottrarre calore, previo apporto di lavoro.
I frigoriferi che noi utilizziamo funzionano con un ciclo frigorifero, detto Rankine, dal nome del suo ideatore, non dissimile da un ciclo di Carnot percorso al contrario.
Va da sé, comunque, che, per mantenere una sorgente a temperatura elevata, occorre fornire energia, quindi occorre una certa fonte di energia. Oggi il moto dei treni viene ottenuto mediante energia elettrica e quindi occorre fornire energia per avere movimento. E per ottenere energia elettrica occorre un’altra energia, che può essere di vario tipo, sancendo quindi la dipendenza dalle fonti energetiche.
Abbiamo però ottenuto un altro elemento importante: che il movimento è ottenuto mediante una differenza di qualcosa, la quale è un’altra caratteristica che genera moto spontaneo.
La differenza di potenziale
Per mettere in movimento delle cariche elettriche non occorre spingerle materialmente: basta una differenza di potenziale. In fondo, nelle macchine termiche accade esattamente lo stesso: il pistone che farà poi muovere le ruote è mosso non da una forza meccanica, ma da una differenza di temperatura. In quel caso, la temperatura è una sorta di “potenziale termico”, che permette, quindi, di far alzare ed abbassare un pistone.

La differenza è ciò che fa muovere il mondo. Lo si diceva nei termini di confronto di opinioni, in termini quindi dialettici, ma questa affermazione vale in ogni settore dell’uomo: senza dialettica, vale a dire logica del confronto, nulla può andare avanti.
L’acqua scorre per differenza di altezza, altrimenti ristagnerebbe, gli stessi venti avvengono per una differenza di pressione: se la pressione fosse la stessa, non vi sarebbe alcuna forma di vento. Anche le citate cariche elettriche seguono questa legge, ed è proprio la differenza di potenziale che le mette in movimento (in termini tecnici, si dice che la forza elettromotrice, vale a dire quella che fa muovere le cariche elettriche, è equivalente alla differenza di potenziale).
Questo potrebbe far sorgere ancora l’idea di un moto perpetuo, in cui la differenza di potenziale genera movimento all’infinito. Tuttavia, come detto prima, la natura tende all’equilibrio, quindi il potenziale, se non viene mantenuto differente, tende ad equilibrarsi. Nel caso del vento, è proprio la tendenza al riequilibrio che permette il flusso di vento. Nel caso del passaggio di calore, questo avviene finché i due corpi avranno la stessa temperatura. Nel caso del potenziale, è la tendenza del potenziale a tornare in equilibrio che provocherà il movimento di cariche. Per mantenere questa differenza di potenziale, quindi, occorrerà farlo in maniera artificiale, utilizzando una qualche fonte di energia che ci permetta di mantenere quello stato. Anche nel caso di una macchina termica, se non utilizziamo qualcosa per mantenere il calore, questo non ci sarà più, e di conseguenza il movimento non sarà più possibile.
Da quanto visto sinora emerge, comunque, un altro dato credo interessante: qualsiasi azione che ci dia energia avviene da una forzatura sulla natura. Vale a dire da una rottura di equilibrio e dalla successiva azione di ripristinarlo. E’ quindi il sistema che si basa sulla forza, in qualche modo, e su una forzatura sulla natura stessa.
Si può ottenere energia all’infinito?
Ci si chiede, ora, se è possibile, invece, ottenere energia in maniera naturale, senza forzare la natura, ma piuttosto accondiscendendola, ascoltandone il profondo respiro. Forse è quel respiro stesso che ci potrebbe fornire la fonte di energia più bella e luminosa che possiamo trovare sul nostro cammino. Forse la chiave è proprio in questi termini: la natura stessa ci ha fornito la chiave per avere energia all’infinito, senza utilizzare forzature e lavorando in armonia con la natura stessa.
E sarà questa la chiave di partenza della prossima parte di questo articolo. Una modalità che, sicuramente, potrà aprire la strada a qualcosa di completamente nuovo ed aprire una nuova era nella storia dell’uomo.

Vorrei concludere questa prima parte, con un enunciato secondo me bellissimo: noi cerchiamo sempre tutto nella terra, mentre forse dovremmo volgerci verso il cielo e trovare nel cielo quanto ci serve.
Questa idea non è così diversa da quella che portiamo con noi da un concetto spirituale. In fondo, tutto su questo pianeta, ma anche nell’Universo, si muove. Il moto stesso è quello che caratterizza l’essenza stessa della vita. Uno stato di quiete assoluta è uno stato di non vita. La nostra stessa vita è costantemente in movimento e noi stessi lo siamo. Nulla resta uguale in due istanti diversi, quindi il movimento è parte di noi e della nostra stessa essenza. Dal momento in cui la nostra energia vitale termina, con essa finisce la vita come noi la conosciamo; cessano anche i movimenti nel nostro corpo. La vita stessa è possibile, nel nostro corpo, perché il cuore pompa sangue. La vita, quindi, è movimento di sangue nel corpo. Se il cuore smette di battere, quindi se il sangue smette di circolare, la vita non può più avere luogo. La nostra esistenza è data da un moto e la fine di questo moto corrisponde alla sua fine. Lo stesso vale per tutti gli esseri animali, e verosimilmente per qualsiasi essere che possiamo definire vivente.
Approfondimenti:
Per quanto riguarda l’energia, Wikipedia ne fornisce una descrizione globale. Vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Energia
Su energia e lavoro, vedi la dispensa dell’Università di Udine: http://www.fisica.uniud.it/~giannozz/Corsi/FisI/Slides/LavoroEnergia.pdf
Sul ciclo di Carnot, vedi: http://www.fisicachimica.it/pdf/cicloCarnot.pdf
Sui cicli termodinamici si può leggere la dispensa del Politecnico di Torino: http://corsiadistanza.polito.it/corsi/pdf/05AXYDN/CAP10.pdf
Buongiorno, saluto tutti gli utenti del blog, ed inserisco una mia relazione che parla di come possa essere possibile produrre energia usando come vettore energetico aria liquida avendo come apporto energetico solo energia termica a temperatura ambiente.
INTRODUZIONE AL PROGETTO DI UN IMPIANTO PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA MECCANICA CHE HA COME APPORTO ENERGETICO SOLO ACQUA O ARIA A TEMPERATURA AMBIENTE (concessione brevetto UIBM N° 0001383773) Si vuole prima di tutto evidenziare le potenzialità del fluido acqua a temperatura ambiente. Ad esempio, è possibile considerare una temperatura media annua intorno ai 20 °C se il liquido riempie una vasca munita di opportuni assorbitori montati verso l’esterno.Ora un kg d’acqua a 20 °C può cedere all’impianto (il sistema ha all’interno come fluido vettore aria liquida a 130 Kelvin) 15 Kcalorie, (diminuzione di temperatura da 20 a 5 ° C ) che corrispondono grosso modo a 63 KJoul / sec, ed è come se un impianto Solare termodinamico concentrasse la bellezza di 63 specchi di 1,2 metri quadrati ognuno (per un totale di 63 kw) su un volume di 1 dm cubo, sapendo che il Sole irradia 1000 w / sec su un metro quadrato di superficie. In questo modo il ricevitore montato nella zona del fuoco parabolico fonderebbe nel giro di pochi secondi. La nostra mente, purtroppo,abituata allo studio ed al funzionamento degli impianti a carbone, gas o petrolio mal interpreta un’idea che basa la sua teoria sull’uso dell’energia prodotta assorbendo energia termica ambiente. Vorrei fare un paragone adesso, tra un impianto a vapore ed un impianto ad aria liquida. Nel vapore il fluido vettore è appunto l’acqua che deve essere prima vaporizzata e poi surriscaldata ad una temperatura almeno di 400 ° C per renderla simile ad un gas. Per poter operare in questo modo sono necessari alti valori energetici prelevandoli dal carbone. Ora è vero che se scegliamo come fluido vettore l’acqua che ha una temperatura CRITICA di 374 ° C è necessario per forza usare carbone, mentre tutta questa energia potrebbe non essere necessaria se al posto dell’acqua venisse usata ARIA LIQUIDA. Quest’ultima infatti ha TEMPERATURA CRITICA pari a 132,7 Kelvin ( circa 140 °C sottozero) ed una eventuale passaggio di stato da liquido a gas potrebbe essere effettuato usando solo esclusivamente energia termica ambiente (estraendola in questo caso dall’acqua o se si vuole anche dall’aria esterna).Il superamento della temperatura critica, renderebbe il fluido incomprimibile se racchiuso in uno spazio molto ristretto, (spazio precedentemente occupato allo stato liquido) sviluppando pressioni tali da rompere il contenitore metallico in cui è racchiuso, comportandosi come una bomba ad orologeria. L’esempio adesso descritto è del tutto simile ad un impianto Solare termodinamico ad alta concentrazione in cui l’energia radiante converge su un punto e cede energia al fluido all’interno del concentratore. Ma anche l’acqua (che ha assorbito energia dal Sole) cede energia al fluido criogenico, mettendolo in condizioni di sviluppare energia di pressione per centinaia di atmosfere. Tornando allora all’acqua contenuta nella vasca è intuibile che la cessione di 15 kcal /sec ad un gas criogenico liquido, è una potenza rilevante se proporzionata al volume in cui è contenuta (volume di 1 kg di aria liquida = 1,14 dm cubi). Se poi, il ricevitore criogenico (che assorbe energia scambiando con l’acqua esterna) dell’impianto è a 143 °C sottozero e la cui temperatura critica vale ad esempio 132,7 Kelvin, possiamo programmare lo sviluppo di una pressione intorno alle 60 – 300 Atm ( ma se si vuole se ne possono ottenere anche 600 senza alcuna spesa energetica, infatti lo sviluppo della pressione ad inizio ciclo viene decisa in base al volume che il fluido occupa nello stato liquido quando ha già superato la barriera della valvola di non-ritorno) ed una espansione isobara, isotermica durante (a 293 Kelvin), ed infine adiabatica, con produzione di lavoro positivo (con energia assorbita dall’ambiente) superiore di ben 3 volte a tutta l’energia negativa necessaria affinchè il fluido vettore torni di nuovo allo stato liquido. Il progetto rispetta ampiamente il II° principio termodinamico in quanto ha un generatore di energia a temperatura ambiente ed un pozzo a circa 153° C sottozero perfettamente isolato in autosostenimento . Il gas infatti all’interno del pozzo assorbe prima l’energia di liquefazione (entalpia residua + energia ed attriti della compressione isotermica, come in un normale condensatore di vapore nelle centrali a vapore) essendo questo ad una temperatura iniziale di 120 Kelvin, e poi restituisce la quantità di calore all’aria, quando questa, essendo di nuovo entrata nel settore di inizio espansione, ha bisogno di energia per espandere ( sistema ad autosostenimento). Il gas per fare questo, effettua prima una compressione adiabatica-isotermica fino ad una temperatura di 150 Kelvin CEDENDO UNA PARTE DELL’ENERGIA DI COMPRESSIONE ALL’ARIA LIQUIDA ed essendo questa ancora a 130 Kelvin (quindi più fredda rispetto al gas) riprenderà tutto il calore ceduto nella liquefazione (sbalzo di temperatura tra i 150 K del gas ed i 130 K dell’aria ). Il gas poi alla fine, effettuerà un’espansione adiabatica (espansione su una turbina adiabatica creando lavoro positivo e quindi un ulteriore raffreddamento del fluido) , restituendo parte dell’energia usata per la sua compressione, e terminerà con una temperatura di 2 / 3 Kelvin inferiore alla temperatura di partenza. E’ sempre e solo una questione di ENERGIA RADIANTE IN TRANSITO. Se batte sulla sabbia del deserto è reirradiata quasi istantaneamente, se batte su un impianto fotovoltaico si trasforma subito in energia elettrica, mentre se batte sull’acqua può essere trasformata prima in energia di pressione e poi in energia meccanica con il movimento di una turbina ( l’acqua dovrà recuperare energia termica tornando in ambiente). Il conto energetico andrà alla pari, quando l’energia fotovoltaica o quella meccanica si saranno trasformate di nuovo in energia termica ambiente che verrà espulsa verso gli strati più alti della nostra atmosfera. Le macchine elettriche, alimentate dall’impianto, non faranno altro che cedere energia in ambiente al posto dell’acqua. Per dare una proporzione tra potenza sviluppata e volume occupato è possibile fare un calcolo di massima : una stanza lunga 10 metri, alta 2 e larga 5 (ossia 100 metri cubi) può contenere un impianto da 100 kw / ora elettrici. In sostanza vengono prodotti 1 kw elettrico per ogni metro cubo di volume occupato.
Torno ancora a fare alcune considerazioni in generale sui concetti del II° Principio. Quì non vengono messi in discussione minimamente
le fondamenta sulle quali tali principi si basano (ci mancherebbe altro). In sostanza l’energia radiante che continuamente batte sulla zona esposta , immagazzina energia termica che viene dissipata nel momento in cui la stessa zona entra in ombra nel periodo notturno. Si è in presenza quindi, di energia costantemente in transito nel periodo giorno-notte. Nel merito , il liquido acqua trasforma in energia termica l’energia radiante durante il giorno e la elimina durante la notte. L’impianto allora non fa altro che accelerare la velocità con cui avviene questo processo, e anzichè impiegare circa 12 ore sottrae all’acqua, in 1 secondo I 15 °C ( 20 K amb – 5 K finali )che invece se ne sarebbero andati in ogni caso verso gli strati più alti della nostra atmosfera. Lo sbalzo di temperatura all’interno dell’impianto non ha come valore finale la T ambiente, ma il valore che il deposito criogenico (imp. interno) ha e che è costantemente a circa -180 °C. Questo deposito non va mai in saturazione (ossia il pozzo non si riempie mai) perchè l’azoto nel momento della risalita (cambio di stato liquido-gas) ha bisogno di energia termica per superare lo stallo in cui si trova. Ecco che allora arriva in aiuto il circuito interno il cui fluido dopo aver assorbito energia di liquefazione dall’azoto ( perchè molto più freddo dell’azoto stesso)subisce una compressione in modo tale (aumento della temperatura a circa 20 K sopra la T dell’azoto , ossia a circa 150 K ) che esso possa scaricare tutta l’energia di liquefazione (compreso gli attriti) verso L’azoto , facendogli superare il punto critico. Il fluido frigorifero, scaricata la “zavorra”, ed essendo stato compresso ISOTERMICAMENTE ( per la presenza dell’azoto che continuamente assorbe energia termica nello scambio) espanderà di nuovo restituendo energia meccanica POSITIVA , con una T finale di qualche Kelvin più bassa rispetto al punto di inizio ciclo. Il saldo energetico è nettamente a favore dell’azoto in tutta la zona soggetta ad espansione, e questo è quello che è stato poi dimostrato nell’idea brevettata. (brevetto concesso nell’anno 2010 n° 0001383773)
Per poter comprendere l’idea, non è necessaria una preparazione particolare, ma una predisposizione mentale ad accettare il fatto che sia possibile produrre lavoro anche quando in un impianto ci sia, ad esempio, uno sbalzo di temperatura tra ambiente e zero assoluto e che provochi come conseguenza (con i due fluidi ) anche uno sbalzo di pressione. Ora per definizione si sa che un dispositivo è in grado di produrre lavoro quando ha un accumulo in energia termica, ed uno sbalzo tale, in cui una certa quantità di calore possa fluire da un punto più in alto verso un punto a più bassa temperatura. Ora, non è detto che il punto finale debba essere necessariamente un valore a temperatura ambiente (20 °C), ma potrebbe essere una temperatura finale ben al di sotto degli 0°C. Nel merito uno sbalzo tra temp. ambiente e temp. aria liquida (non è una piccola diff. di temp. ma una diff di circa – 180 °C) è più che sufficiente per ottenere un ciclo positivo tale che permetta la costruzione di un impianto per estrarre energia termica ambiente e trasformarla in energia di pressione e qundi in energia meccanica. L’impianto , in sostanza ha 2 circuiti, uno interno in bassa pressione (1-2 bar sempre sotto forma gi gas) che cicla continuamente dal serbatoio di liquefazione a quello di vaporizzazione, ed un altro in alta pressione ( 10 – 45 – 60 bar max) che occupa lo stato liquido-vapore-gas in espansione, e poi lo stato gas-vapore-liquido nel serbatoio di liquefazione. Quando il fluido esterno (aria) inizia il raffreddamento (espansione adiabatica con cessione di energia meccanica positiva)l’aria in pressione a circa 260 Kelvin viene raffreddata dal fluido del circuito interno fino ad una temperatura tale ( 100 K ) che la metta in condizioni di farla liquefare.
Descrizione delle fasi più importanti :
L’impianto ha 2 circuiti : quello esterno a media-alta pressione che ha il compito di produrre energia positiva mentre quello interno (il circuito frigorifero) è sempre in bassa pressione ( 1 / 2 bar) ed è nello stato perfetto (sempre sotto forma di gas tra i 90 e 100 Kelvin.
Il circuito esterno varia la sua pressione tra 10 e 60 bar , mentre la sua temperatura varia tra 100 e 300 Kelvin ( non più di 300 K altrimenti l’impianto interno (ossia quello frigorifero) che ha il compito di assorbire entalpia di liquefazione dal fluido esterno non riuscirebbe a liquefare l’azoto (fluido esterno) in liquefazione.
L’impianto frigorifero assorbe energia negativa mentre quello esterno produce energia positiva.
L’energia positiva è data da un’espansione isobara all’inizio, ossia quando il fluido azoto è nella fase di vapore ( 130-175 Kelvin e 60 bar= cost), da un’espansione adiabatica-isotermica ( 175-300 Kelvin e 60-15 bar), ed infine un’espansione tutta adiabatica (15-10 bar 300-260 Kelvin)
Per l’impianto esterno si presume un deposito di aria o azoto liquido (pozzo criogenico in autostenimento). Il fluido liquido esce dal pozzo spinto da una pompa per liquidi. la pressione di spinta vale 60 bar ma il suo lavoro è molto piccolo perchè appunto è liquido. Quando il fluido ha superato la valvola di non ritorno è costretto a superare la temperatura critica (cambio di stato) ed a iniziare la fase espansiva.
L’impianto frigorifero assorbe un lavoro negativo molto piccolo rispetto a quello positivo perchè nella zona antecedente la liquefazione le forze attrattive (energia potenziale) avvantaggiano fortemente la ricombinazione delle molecole.
Il fluido dell’impianto frigorifero allora prende-assorbe tutti gli attriti, più l’entalpia di liquefazione (zavorra) dell’azoto e se li porta via. L’azoto (o l’aria) in quelle condizioni liquefa e si deposita nel pozzo criogenico pronto a reiniziare il ciclo.
Il fluido dell’impianto frigorifero deve subito dopo scaricare la “zavorra” assorbita un attimo prima ed essere di nuovo pronto per il ciclo successivo.
Appena l’azoto , come detto prima , supera la valvola di non ritorno
( inizio ciclo espansione con azoto ancora liquido) incontra il fluido dell’impianto frigorifero che gli restituisce la “zavorra” che prima gli aveva tolto ( e questo è il sistema del pozzo criogenico ad autosostenimento ).
ALCUNE RIFLESSIONI SULLE POMPE DI CALORE.
Le pompe di calore ad esempio, assorbono 1 in energia elettrica e restituiscono 3,5 / 4 in energia termica con tutti gli attriti. Ora la mia domanda è questa : è possibile costruire un impianto (quindi una pompa di calore criogenica ) in cui i 4 kjoul di energia termica possano essere convertiti in 1,5/ 2 di energia elettrica, oppure esiste una legge particolare che vieta questa possibilità? No, a me non risulta. Affinchè il dispositivo funzioni è necessario che ci sia uno sbalzo di temperatura e di pressione affinche possa essere prodotto lavoro utile e non è necessario che il valore massimo di temperatura sia per forza sopra gli ZERO °C, MA CHE SIA UN VALORE DI TEMPERATURA SOPRA LO ZERO ASSOLUTO . Ora il punto è dimostrare, se il deposito criogenico in cui il fluido termina il suo ciclo, si autosostiene oppure no. Il deposito criogenico altro non è che un circuito ( circuito chiuso come d’altronde lo è anche l’altro, ossia quello che assorbe energia dall’acqua a 8 /10 ° C in alta pressione interno all’impianto principale ) in cui vengono scaricate le energie di liquefazione ( entalpia di liquf.) ed attriti contenute dal fluido (azoto) in uscita dopo l’ultima espansione adiabatica. Ora si è dimostrato ( concessione uff. brevetti UIBM n° 0001383773) che l’energia necessaria alla liquefazione è minore di quella guadagnata nell’espansione. L’impianto in sostanza ha 2 circuiti ( sempre con azoto ), quello in bassa pressione (sempre sottoforma di gas allo stato perfetto e la cui temperatura è la più bassa dell’intero impianto ) che assorbe l’energia termica di scarto dal circuito principale e l’altro circuito (sempre chiuso a più alta temperatura) che cede l’entalpia di liquefazione e gli attriti all’altro. Una volta liquefatto il fluido (azoto) può essere compresso da una pompa per liquidi e spinto nel circuito di vaporizzazione. Il lavoro negativo assorbito dalla pompa è molto più piccolo dell’intero guadagno positivo ottenuto proprio perchè spinge un liquido e non un gas ( stesso sistema già utilizzato da molti anni negli impianti a vapore ). Adesso la “zavorra” ( scarto di liquefazione) che è sulle spalle del circuito interno deve essere RESTITUITA al circuito esterno affinchè lo stesso ( ossia il circuito interno ) si autosostenga. Il sistema (brevettato) è quello di ricomprimenre ( ma non di molto , solo il necessario affinchè la temperatura di compressione superi di circa 20 Kelvin la temperatura dell’altra condotta ( impianto esterno) in modo tale che i 20 k si scarichino continuamente sul fluido liquido facendolo ritornare nello stato di gas. Ora l’espansione che ne consegue porta con se ( già prima del ritorno nello stato di gas) una pressione di circa 60 bar ( provenienti dalla pompa per liquidi) utili per l’espansione a temperature ambiente. Adesso il ritorno verso il PUNTO CRITICO ( circa 133 k per l’aria e l’azoto) creerà, una situazione di stasi del gas ad inizio espansione fin quando lo stesso non avrà riassorbito l’intera ENERGIA POTENZIALE che gli compete ( L’energia potenziale è da non confondere con l’entalpia di liquefazione, dipende dalla pressione di inizio evaporazione e varia appunto con la temperatura e con la pressione volute nell’impianto). LA SOMMA DELL’ENERGIA POTENZIALE E QUELLA DOVUTA ALL’ESPANSIONE DEL FLUIDO METTERANNO IN CONDIZIONI L’IMPIANTO INTERNO DI COMPRIMERE IL SUO FLUIDO (a circa 1,6 / 1,7 bar) CON UNA ISOTERMICA QUINDI CON T = COST IN QUANTO TUTTA L’ENERGIA VERRA’ ASSORBITA DALL’ALTRO FLUIDO IN ESPANSIONE. Tutto questo sarà necessario al fluido interno ( che guadagna in pressione ma non in temperatura) per espandere, restituire una parte di energia negativa assorbita nella compressione e finire la sua espansione con 1 / 2 Kelvin in meno rispetto al valore che aveva ad inizio ciclo. ( e questa è la condizione per autosostenersi).
RIFLESSIONI SUGLI IMPIANTI A VAPORE
In un impianto a vapore l’acqua in partenza è liquida ed è intorno agli 80/ 90 °C. La pompa per liquidi che è posizionata nel punto più basso del condensatore di vapore aspira acqua e la invia nel generatore di vapore con una pressione un pò più alta della pressione massima sopportabile in turbina ( circa 245 bar e 520 °C). Ora il guadagno in turbina è di gran lunga più grande del lavoro effettuato dalla pompa dell’acqua proprio perchè questa spinge un liquido e non un gas e diversamente non sarebbe stato conveniente costruire l’intero impianto. Ora l’acqua per essere vaporizzata ha bisogno di molta energia e per essere considerata un gas deve addirittura superare i 374 °C ( 647 Kelvin) richiedendo nel generatore di vapore una combustione ed emissione di CO2 in atmosfera. E’ anche vero che ci sono altri fluidi la cui tensione di vapore è molto più bassa dell’H2O, come ad esempio l’ammoniaca e la stessa CO2. La vaporizzazione allora di alcuni fluidi richiede energia minore rispetto alla H2O , e la stessa cosa vale nel caso della gassificazione. Estendendo questo ragionamento verso fluidi che volatilizzano a pressione ordinaria ( 1 bar ) e temperature sempre più basse ( ben al di sotto degli 0°C) è intuibile che ci sia bisogno sempre di meno energia generata da una combustione (o comunque una concentrazione energetica superiore alla temperatura ambiente) per gassificare il fluido vettore. L’aria ad esempio (meglio però l’azoto) ha una temperatura critica di circa 132,7 Kelvin ( circa -170 °C) ed è ancora liquida se la sua pressione vale 38 bar. Adesso io sostengo che è possibile dimostrare (come in effetti ho fatto) la funzionalità e fattibilità di un impianto in cui sia possibile assorbire energia termica esterna a temperatura ambiente e trasformarla in energia di pressione poi in energia meccanica e quindi in elettrica. Il sistema in sostanza, (ricollegandomi all’esempio fatto all’inizio) è del tutto simile ad un impianto a vapore (in cui ci sono naturalmente perdite meccaniche e dispersive ) dove una pompa meccanica assorbe energia dall’esterno ( e quindi negativa), dove gli attriti e le perdite di portata diminuiscono il guadagno netto ma che è comunque ben superiore ai costi necessari alla riliquefazione del fluido aria.
Saluti
Tiberio Simonetti