Rumi, il poeta dell’amore divino

GIULIANA COLELLA turchia1912ok

“Tu che ami gli amanti, benvenuto, questa è la tua casa”. Così Rumi, il grande poeta mistico persiano del XIII secolo, fondatore dell’Ordine sufi dei Dervisci Rotanti, ci invita ad entrare nel suo vasto mondo poetico, costituito da oltre settantamila versi di incomparabile bellezza.
RumiAOChe cosa è̀ quella nostalgia che a volte ci coglie di sorpresa, quel desiderio che ci spinge a cercare la felicità o l’incanto che proviamo di fronte alla bellezza? Perché si muovono le onde del mare o sbocciano le rose, ruotano i pianeti e danzano i granelli di polvere vicino alla finestra? Siamo immersi in un grande universo in movimento e partecipiamo tutti con la nostra vita alla sua danza cosmica, canta Rumi nelle sue poesie. Egli, come coloro che hanno scoperto in se stessi la fonte della gioia della creatività e dell’amore, ci invita a seguire il desiderio del nostro cuore perché il desiderio è sentimento e il sentimento è desiderio. Quel sentire è la via che ci riporta a casa: è il sogno dell’Anima. Lascia che la bellezza che noi amiamo, sia ciò che facciamo, ci esorta, perché quando siamo felici il nostro cuore si apre e avvertiamo l’amore divino in noi. La nostra felicità deriva dall’essere tutt’uno con lo scopo che l’Universo sta cercando di realizzare attraverso noi, ciò per cui siamo nati: esso è il progetto dell’anima, scelto prima di incarnarsi, per compiere al meglio il prossimo passo evolutivo. La verità risiede quindi nella capacità di essere felici. Il dolore esiste ed è necessario per la trasformazione e la purificazione, ma non è una condanna e non viene esaltato, anzi è un mezzo per una gioia più grande: qualche volta il buio e il freddo di una grotta ci danno l’apertura che più di ogni altra cosa desideriamo.

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La danza sacra dei Dervisci Rotanti.

Rumi gode di un’altissima considerazione in Oriente e in Occidente. Nelle linee essenziali, il suo messaggio può essere assimilato a quello di San Francesco e Dante, suoi contemporanei, ma si rilevano affinità con il pensiero di Pitagora, Socrate, Platone, nonché luminose coincidenze con le intuizioni di Einstein e di Jung. Egli scrive per aiutare gli uomini, indipendentemente dal loro credo religioso, a trovare la via dell’unità e dell’amore e con essa la fonte della felicità e della gioia. Ci invita a fare esperienza di una realtà la cui bellezza è al di là dell’esprimibile, una realtà presente in noi, nelle dimensioni parallele degli universi interiori. Per Rumi l’amore è l’essenza di tutte le cose. Noi siamo anime create da Dio per amore. La verità risiede in ogni uomo perché Dio lo abita. Egli è presente in ogni creatura come nell’universo intero. L’universo è Dio stesso. L’universo risponde ai nostri interrogativi e, se impariamo il suo linguaggio, possiamo comprenderne le risposte attraverso sogni, coincidenze e sincronicità e riconoscere le leggi da cui è regolato, che sono le stesse della musica e dei numeri.

image002Dalla Persia alla Turchia
Rumi nasce a Balkh nel 1207, allora parte dell’impero persiano, oggi in Afghanistan nella provincia del Khorasan. Il suo nome Gialaluddin Rumi, può trovarsi scritto in molti modi differenti. L’epiteto Rumi deriva dal fatto che egli visse a lungo in Anatolia, la terra di Roma, così come era a quel tempo chiamata da arabi e persiani, l’Asia minore, il paese dei Bizantini. Dopo la morte di Shams-i Tabriz, il suo maestro, fu chiamato Maulana o Mevlana, che rispettivamente in lingua persiana e turca significano “nostro signore e maestro”. Figlio di nobili mistici, fin dall’infanzia è a contatto con i vertici della spiritualità sufica. Nel 1219 il padre, a causa di dispute religiose con il sovrano locale, lascia la città di Balkh. Ciò gli permise di sfuggire ai massacri delle truppe di Gengis Khan che nell’anno seguente invasero e distrussero la città. Durante l’infanzia e l’adolescenza, insieme alla sua famiglia, Rumi visitò molte città lungo le strade della Via della seta a dorso di cammello. Ebbe così la possibilità di incontrare esponenti di religioni diverse e raccogliere un ampio bagaglio di esperienze umane e spirituali, che si aggiunsero a quelle della sua tradizione musulmana. Il padre nel 1228 giunge finalmente a Konia per assumere la cattedra di teologia che alla sua morte, avvenuta nel 1231, sarà ereditata da Rumi. Qui il poeta, che nel frattempo si era sposato due volte a causa della morte della prima moglie e avuto quattro figli, diventa figura di riferimento spirituale per migliaia di fedeli, non solo musulmani. Le sue parole infiammano i cuori, allargano le coscienze e aprono alla scoperta di dimensioni energetiche e spirituali che vanno ben al di là del piano fisico e materiale.
L’esperienza che cambierà la sua vita sarà l’incontro nel 1244 con Shams-i Tabriz, un sufi errante di ardente spiritualità, chiamato Parranda “colui che vola” e Sultan al Mashuqin “principe degli amanti”. Shams-i Tabriz è il Maestro del cuore, “l’Uomo che siede con Dio” e che Rumi invita a cercare dentro di noi. Il legame d’amore e amicizia che li unì spiritualmente permise a Rumi di comprendere come il sentiero che conduce alla realizzazione divina sia percorribile solo attraverso una profonda relazione con il maestro: è, infatti, solo l’elevato sentimento d’amore che unisce il Maestro al discepolo e viceversa a dare all’uomo la possibilità di trascendere il proprio ego e di librarsi così in uno spazio di libertà senza limiti.

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Una rappresentazione di Sham-i Tavriz.

I due trascorsero insieme solo quattro anni ma furono anni di intense esperienze spirituali durante i quali si maturò l’illuminazione di Rumi. Il forte ascendente che Shams aveva su Rumi suscitò invidie e gelosie fra i suoi seguaci e dissapori con la parte più intransigente dei religiosi ortodossi, che vedevano nelle stravaganze mistiche dei due amici un pericolo per la fede tradizionale. Shams i Tabriz scomparve in circostanze misteriose nel 1248. Il dolore per la perdita dell’amato sconvolse profondamente Rumi, che da teologo e predicatore divenne all’improvviso poeta. In memoria di Shams egli compose il Divan-i-Shams-i- Tabriz, un canzoniere di trentamila versi di appassionata poesia lirica, nonché il suo capolavoro detto Mathnawi (o Masnavi) di oltre 51.600 versi, definito da molti critici “Un Corano in lingua persiana”. Molti furono i poeti che in Occidente s’ispirarono nelle varie epoche alle opere di Rumi, ad esempio Chaucer, Goethe ed Emerson.
Grazie alle esperienze spirituali avute con Shams, Rumi impara a viaggiare con l’anima nell’universo, a sperimentare l’Oceano d’amore e di grazia divina che si trova nella decima dimensione – l’Empireo descritto da Dante nel Paradiso – e testimoniato nelle opere di molti altri mistici e profeti e nei testi sacri delle diverse religioni. Rumi, come Dante, nel descrivere quell’Oceano di Luce divina, spiega che dal quel luogo-non luogo, di energia ad altissima vibrazione, promanano Scintille luminose. Esse sono le anime di coloro che sono sul punto di incarnarsi e di scendere nei mondi inferiori del tempo e dello spazio, per fare una nuova esperienza evolutiva o che stanno tornando. Quest’Oceano è caratterizzato da una dolce armonia – musica da un mare senza sponde le cui onde ruggiscono all’infinito – che già Pitagora nel V secolo a. C. aveva definito Musica delle sfere.

Il suono Hu, che pervade l’Universo
Esso è stato descritto fin dai tempi più remoti nei testi sacri di molte religioni. In particolare nei Veda esso è chiamato Nada, dai sufi Saut-e Sarmad, e nel Vangelo Giovanni lo descrive come il Verbo. Questo è il Suono Hu, un antico nome di Dio, ma è anche il Suono che ha creato l’universo e che pervade tutto ciò che esiste, noi compresi. I sufi, i sikh, gli eckisti lo usano nelle loro preghiere e nei loro riti quotidiani. Questo Suono che pervade il cosmo è stato recentemente registrato anche dalla NASA, attraverso moderni strumenti. Il suo canto è diffuso oggi nel mondo da Eckankar a beneficio di tutti. Tutti, infatti, possono usarlo, indipendentemente dalla religione seguita. Esso non cambia la propria fede ma la rende più profonda. Se cantato per venti minuti al giorno, la nostra coscienza gradualmente si espande, permettendoci di entrare in contatto con tutto ciò che esiste. Il cuore si apre e l’amore divino entra in noi ogni giorno di più. La nostra consapevolezza si amplia e cominciamo a ricevere tutto ciò che serve nel momento in cui ci serve, per percorrere al meglio il nostro cammino evolutivo di ritorno a Casa.
I versi di Rumi costituiscono pietre miliari che ci accompagnano alla scoperta del nostro personale sentiero. Concludiamo con la seguente poesia in cui egli esprime il superamento e l’inconsistenza di ogni conflitto tra religioni e civiltà. Essi costituiscono una sorta di testamento spirituale e un invito per ognuno di noi a scegliere sempre la strada dell’amore:

Cosa farò o mussulmani?
Non mi riconosco più …
Io non sono né cristiano né ebreo, né magio né mussulmano.
Io non sono dell’Est né dell’Ovest, né della terra né del mare.
….
Il mio Luogo è il senza luogo,
la mia traccia è la non traccia.
Non è il corpo e non è l’anima,
perché appartengo all’anima del mio amore.
Ho riposto la dualità
e visto i due mondi come uno. Uno io cerco, Uno io conosco. Uno io vedo, Uno io chiamo.
Egli è il primo , egli è l’ultimo. Egli è l’esterno, egli è l’interno.
Non conosco che HU, nient’altro che lui.
Ebbro della coppa dell’amore,
i due mondi mi scivolano dalle mani. Non mi occupo di nient’altro
che divertirmi e bere forte.
Se una volta nella vita ho vissuto un istante senza te,
mi pento della mia vita da quel momento in poi.
Se una volta in questo mondo otterrò un istante con te,
mi metterò i due mondi sotto i piedi
e danzerò eternamente di gioia.
Oh Shams di Tabriz, sono così ebbro in questo mondo che salvo la baldoria e l’ebbrezza
non ho storie da raccontare.

 

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