La macchina del tempo

Un racconto fantascientifico, ispirato a un apparecchio realmente esistito

Foto di ThomasWolter da

di William Giroldini. Doveva scoprire se quell’apparecchio era una grande invenzione o solo una fantasiosa bugia.

La macchina del tempo
Willy Giroldini con la sua… “macchina”.

Un mio amico, di cui non posso fare il nome, ha la strana passione di ricercare documenti antichi conservati non in pubbliche biblioteche, ma nascosti in polverosi e vetusti monasteri, oppure in vecchie canoniche e chiese sconsacrate. E talvolta li trova anche in archivi privati di antiche famiglie, in cui riesce a introdursi con metodi a dir poco discutibili.

E così, un giorno di poco tempo fa, mi fece avere uno strano manoscritto su pergamena, sicuramente molto antico, ingiallito dal passare dei secoli. Mi disse che l’aveva trovato all’interno di un vecchissimo libro di medicina del 1830, ma la pergamena era molto molto più antica.

Lui, che ha una vasta esperienza in questo ambito, mi precisò che il documento era scritto con un inchiostro a base di un estratto di pianta e polvere di carbone molto fine.  Mi disse che si usava tale inchiostro circa 1800 anni fa, nel Medioevo.
Mi ha chiesto un parere sullo scritto della pergamena che, a una prima occhiata, mi è sembrata una pura assurdità o uno scherzo di un buontempone. Infatti il documento dichiara di essere stato scritto nell’anno 856  d.C., ma in una lingua che è praticamente l’italiano corrente, che all’epoca nemmeno esisteva (esisteva il Latino ed il Vulgare, ma non la lingua italiana attuale, che risale all’epoca di Dante Alighieri).

Ecco il testo integrale della pergamena

La macchina del tempo
Foto di Lwcy da Pixabay

Ecco il testo integrale che, se fosse attendibile.. beh, sarebbe un fatto a dir poco sconvolgente, ma ve lo riporto qui di seguito in modo che anche a voi possiate giudicare e farvi un’opinione.

Roma, anno del Signore 856.
Il mio nome è Francesco Rovelli e sono nato a Ferrara nel 1970. Certo sembra assai strano che io scriva questo documento datandolo nel 856, ma abbiate pazienza e capirete la mia strana, incredibile e tragica storia. Ero appassionato di elettronica e scienze, e nel 1997 mi capitò fra le mani Il Giornale dei Misteri, una rivista popolare del 1972, in cui si parlava della favolosa invenzione di un frate, tale Padre Pellegrino Ernetti (1925-1994).

Padre Ernetti, laureato in fisica a Milano, era uomo di vasta cultura, e a suo dire, aveva inventato una strana macchina basata su valvole e oscillatori a bobina che aveva chiamato Cronovisore, la quale avrebbe permesso di fotografare immagini dal lontano passato, visualizzando il tutto su uno schermo a tubo catodico.

Mi rendo conto che se questo documento fosse letto da qualcuno prima del 1930 circa non capirebbe cosa sia l’elettronica, o un tubo catodico, o una fotografia, ma non posso perdere tempo a spiegare tutto quanto in questo breve documento. Col suo elevato senso della Giustizia, la Corte mi ha già concesso di scrivere questa mia memoria destinata ai posteri, promettendomi che l’avrebbero conservato all’interno di qualche libro che gli amanuensi del Sacro monastero di Roma stanno copiando da opere ancora più antiche.

La macchina del tempo
Padre Pellegrino Ernetti (1925-1994).

Ma torniamo a Padre Ernetti. Il sant’uomo non dimostrò mai pubblicamente la sua strana invenzione, né la fece mai esaminare da eminenti scienziati. Così, quando nel 1994 morì nacquero le leggende intorno al suo Cronovisore. Era tutto vero o era una pura bugia di una mente desiderosa di notorietà? Questa domanda mi risuonava nella mente, tanto che non riuscivo più a dormire la notte.

Secondo lui il Cronovisore permetteva di rivedere scene da qualsiasi epoca passata. Immaginate per esempio di poter visualizzare l’incoronazione di Carlo Magno, o di Cesare Augusto, o la distruzione di Cartagine, o la crocefissione di Cristo; insomma, si potrebbe assistere di persona ad ogni evento storico! Una cosa sconvolgente, che avrebbe potuto riscrivere la storia. Dovevo scoprire se quello che raccontava Padre Ernetti era veramente una grande invenzione oppure solamente una fantasiosa bugia.

Una sciagurata decisione
Decisi allora di entrare nel Monastero dell’Isola di San Giorgio Maggiore, a Venezia, ove Padre Ernetti aveva vissuto, per cercare prove o tracce della sua invenzione. A questo scopo, riuscii a farmi accettare come novizio nel monastero e a convincere il Padre Superiore della mia sincera fede nella dottrina cattolica e nelle preghiere, anche se in realtà non mi è mai importato nulla di questioni religiose (qui lo posso ammettere, visto che non ho più nulla da perdere.).

Riuscii con varie strategie a sapere in quale cella aveva soggiornato Padre Ernetti prima della sua dipartita da questo mondo e infine, ancora non so come, riuscii a farmi ospitare proprio nella sua cella! Fu così che potei in tutta calma, nel corso di settimane, esaminare ogni centimetro quadro di quel locale, senza tuttavia trovare alcun suo documento, nulla di nulla.

La macchina del tempo
Foto di Tama 66 da Pixabay.

Guardai dappertutto, poi, sempre con un colpo di fortuna, trovai un mattone che “suonava” in modo strano quando lo battei con un crocefisso di legno. Delicatamente, estrassi il mattone dal muro… e trovai ben nascosta una chiave occultata dentro. Una chiave di ferro molto antica! Che cosa apriva tale chiave? Nulla nella mia cella, ma il monastero era grande.

Ragionai: siccome l’edificio, che era sicuramente antichissimo, aveva sotterranei di epoca romana, con diverse stanze dedicate a magazzini e attrezzi vari, decisi di verificare se quella chiave apriva una delle suddette stanze. Nottetempo, quindi, uscii dalla mia cella e, col favore del silenzio e delle tenebre, mentre tutti i confratelli dormivano, provai la chiave in tutte le porte del sotterraneo. E infine la trovai! L’unica porta vetusta, senza alcuna iscrizione sopra, che quella chiave apriva. Emozionato, feci scattare la serratura e, dopo un piccolo clack, la porta di legno massiccio si aprì.

Quello che vidi alla luce della torcia elettrica mi lasciò sbalordito. La stanza, che recava un’illuminazione elettrica, era zeppa di apparecchiature quali oscilloscopi, monitor a tubo catodico, valvole, fili elettrici, bobine e libri di fisica con opere di Albert Einstein, David Bohm, Karl Heisenberg e altri eminenti fisici. Inoltre, vi erano anche diversi computer IBM col vecchio sistema operativo DOS.

Ribadisco che chiunque legga questo mio manoscritto prima del 1930-1960 circa,  non capirà nulla di queste cose che ho citato, ma non ho il tempo di spiegare. Il boia mi sta mettendo fretta, ha una moglie e tre figli a casa che lo stanno aspettando per la cena, ed è impaziente di fare il suo lavoro.

cronovisore 1Infine trovai il Cronovisore. Era lì, lo riconobbi subito (c’era una targhetta in rame sopra) e a fianco c’erano perfino le semplici istruzioni per accenderlo e attivarlo. Bastava digitare su una tastiera la data esatta e il luogo di un qualsiasi evento passato fino a circa 4000 anni fa e il monitor avrebbe mostrato le immagini di quel luogo in quella data. Così feci e cercai di vedere, a mo’ di esempio, la decapitazione di Maria Antonietta durante la Rivoluzione francese. Ma restai piuttosto deluso: le immagini erano tutte molto flebili, confuse, come nei vecchi televisori in bianco-nero fuori sintonia. E così per tutte le altre date e luoghi che cercai di visualizzare. Ecco perché padre Ernetti non aveva mai resa pubblica la sua invenzione: era ancora troppo imperfetta, anche se permetteva di accedere ad epoche passate.

Così, anziché lasciare perdere tutto quanto, mi intestardii di migliorare l’invenzione di padre Ernetti. E dopo mesi e mesi di rilettura dei testi di fisica, calcoli matematici, prove con circuiti, valvole, oscillatori e quant’altro, giunsi infine a mettere a punto un apparecchio davvero notevole: una vera e propria macchina del tempo, in cui una persona intera poteva essere teletrasportata in un qualsiasi tempo passato, fino a 4000 anni. La macchina tuttavia presentava un limite impossibile da valicare: il luogo di destinazione poteva solamente essere quello ove si trovava la macchina stessa, ovvero, nel mio caso, la stanza nel sotterraneo.

Per poter arrivare a questo incredibile risultato avevo trascorso in quell’oscuro sotterraneo quasi tutte le notti, ovviamente all’insaputa dei miei confratelli. Di notte lavoravo 5-6 ore, mentre di giorno ero costretto a seguire le noiosissime funzioni religiose che scandivano la vita quotidiana del monastero, vale a dire preghiere, orazioni, messe ed interminabili esercizi spirituali in cui regolarmente mi addormentavo russando.

Padre Pellegrino Ernetti 19 19
Il cronovisore

I miei confratelli dapprima si arrabbiavano con me, poi si abituarono anche loro e mi svegliavano quando era ora di pranzo o di cena. Dissi loro che ero stato in Africa e mi aveva punto la mosca tze-tze che causa la malattia del sonno. Non so se mi avessero creduto, in ogni caso  finalmente arrivò il giorno di collaudare la mia macchina del tempo, che ho deciso di battezzare Time Machine Ernetti-Rovelli  (TiMER). Così impostai la data relativa allo stesso giorno della settimana passata e, premuto lo start, fui colto da una leggera scossa elettrica e avvolto da una leggera nebbiolina.

Poi niente altro: uscii dalla mia macchina (che aveva l’aspetto di una specie di cabina del telefono con un monitor e vari luci e comandi) e andai a verificare dove ero arrivato: come previsto, ero tornato a sette giorni prima, nel mio monastero. Bastò guardare il calendario appeso nella mia cella: gli ultimi sei giorni non avevano una crocetta, che ponevo sempre, su ogni giorno che passava! Subito sono tornato alla mia TiMER e ho impostato la data da cui ero partito: premuto start, sono tornato allo stesso giorno di partenza.

Tutto perfetto. Forse (e dico forse), con ulteriori perfezionamenti la TiMER avrebbe anche potuto funzionare per viaggi nel futuro. Ma un passo alla volta, mi dissi. Poi, in un altro test, tornai indietro di 30 anni, e mi ritrovai nello stesso monastero, ma in piena epoca di guerra del Vietnam. Lo potei accertare dando una sbirciatina alla TV in bianco e nero della sala mensa. Nessuno si era accorto che ero sicuramente un frate estraneo per quell’epoca. Del resto tutti i frati, col saio e col cappuccio nero in testa, si assomigliano tutti quanti.

Rincuorato da questi successi, ho deciso di compiere il mio primo vero salto nel passato per conoscere finalmente la verità a proposito di una questione di cui si discuteva amabilmente (e a volte con accese discussioni e litigi) all’interno del monastero. Non affari di politica, o riguardo a tifoserie opposte di sport e calcio, ma se fosse mai esistito un Papa donna, una Papessa, insomma.

Era davvero esistita una Papessa?
La PapessaSecondo alcuni autori medioevali, nell’855, dopo Leone IV, una donna, arrivata a Roma travestita da frate sarebbe diventata Papa. Avrebbe regnato con il nome di Giovanni Anglico, o Angelico (Giovanni VIII) e sarebbe poi stata scoperta nell’858, perché durante una processione partorì un figlio. Per questa ragione sarebbe poi stata uccisa dalla folla inferocita.

Deciso a scoprire finalmente la verità storica, ho impostato il TiMER nel 856 e ho premuto il bottone di start, sperando che la stanza del sotterraneo esistesse anche in quel lontano anno. Qualche secondo di foschia e una scossa elettrica e mi sono ritrovato nell’oscuro sotterraneo, insieme alla mia macchina e a un forte odore di muffa e buio pesto. Accesa la lampada tascabile, ho visto che la stanza era quasi vuota, con solo qualche sacco di carbone e un po’ di legna da ardere in un angolo. Nient’altro.

La porta non era neppure chiusa a chiave. Ho facilmente guadagnato l’uscita, come sempre grazie al lungo saio e al cappuccio nero tirato sulla testa. Poi sono riuscito a prendere una barca che mi ha portato presso la Basilica di San Marco (costruita qualche decennio prima) e da qui ho iniziato un lungo viaggio fino a Roma, Caput Mundi, sede del papato.

La prima difficoltà che incontrai era la lingua: si parlava un latino maccheronico, frammisto di accenti locali, e dovetti imparare un poco di tale nuova lingua strada facendo.
Secondo problema: come procurarmi da vivere? Dapprima feci appello alla carità e alle offerte spontanee, ma erano davvero misere: ovunque molta povertà e ignoranza. Solo pochi commercianti e nobili o gente del clero aveva di che vivere dignitosamente.

Così mi ingegnai e cominciai a vendere assoluzioni. Già, una buonissima idea che in epoca successiva mi fu copiata pari pari dalla Chiesa ufficiale. Sul piano pratico, operavo confessioni e fornivo assoluzioni istantanee con un costo proporzionato ai peccati:  ben presto la mia fama aumentò inaspettatamente. Mi chiamavano ‘Fra Perdono’ e i miei migliori clienti erano assassini, stupratori, ladri, prostitute e loro protettori. Erano ansiosi di ottenere il divino perdono,  così che in caso di morte prematura potevano andare dritti in Paradiso (cosi garantivo loro ricevendo il denaro pattuito). E loro erano felici: con l’anima ripulita, ricominciavano da capo con le loro attività. Tre assassini mi tornarono altrettante volte dopo ogni omicidio.

Mi rispettavano e mai ebbi fastidi da quella stolta massa di cattivi personaggi: avevano bisogno di me. Così arrivai finalmente a Roma nel settembre 856; e per la fama che mi precedeva, trovai subito un alloggio in una discreto albergo (discreto per l’epoca, orribile per gli standard dell’anno che ho lasciato). Avevo una fila di gente da confessare, tutti i giorni, inclusi molti clienti del clero. Non oso dire i loro peccati.

Papa Giovanni VIII da WikipediaFinchè un giorno arriva un Monsignore, inviatomi direttamente dal Vaticano, perchè Sua Santità Giovanni VIII vuole conoscermi. Evviva! Del resto era questo il mio principale obiettivo e stava accadendo senza particolari difficoltà. Accettai subito e, salito sulla carrozza tirata da quattro cavalli del Monsignore, entrai in Vaticano. Ma qui mi aspettava il segretario di sua Santità che a prima vista prese a malvolermi, chissà perchè. Visibilmente contrariato, l segretario mi accompagnò nell’ampia sala ove sedeva su una poltrona indorata Giovanni VIII. Ma non mi fece mai avvicinare a meno di quattro metri, nè parlare direttamene con lui.

Il Papa, che appariva come un uomo giovane, indossava una lunga tunica ricoperta di ornamenti d’oro e un cappello a due punte, e dal viso sembrava avere circa 30-35 anni al massimo. Non come i Papi moderni, che arrivano al trono già assai vecchi. Il viso era glabro, di aspetto indefinibile se maschio o femmina, la pelle sembrava ricoperta di una cera o di un belletto che rendeva difficile, se non impossibile, capirne il sesso.
E la voce? Dalla voce forse si poteva capire qualcosa, ma il suo segretario confabulava a bassa voce con Sua Santità, poi controvoglia riferiva a me.

Mi chiese dei miei confratelli al Monastero veneziano, dissi tutto bene, lavorano, pregano (mi ricordavo un ora-et-labora), sperai fosse la risposta giusta… Proseguì con qualche domanda generica, del tipo che tempo fa a Venezia, è vero che le strade sono canali, a cui risposi senza problemi. Poi arrivò la domanda importante e diretta: era vero che assolvevo assassini e delinquenti in cambio di somme di denaro?

Sì, risposi, ma per salvare la loro anima e per il mio umile sostentamento. Dichiarai inoltre tariffe circa 1/10 di quelle che in effetti praticavo. Mi guardò storto, poi mi chiese di enumerare tutti i dieci comandamenti, nell’ordine giusto. Qui cominciarono i miei guai. Non mi ero mai preoccupato di impararli durante l’anno e mezzo che passai (dormendo di giorno) nel monastero. Così iniziai con quello che (pensavo) fosse il più importante: non uccidere, poi non rubare, non evadere le tasse, non dire bugie… Dallo sguardo esterefatto e dal viso dipinto con una smorfia di disgusto del segretario, compresi che qualche risposta era sbagliata (la sequenza esatta sta in Internet, a chi interessa).

sedia gestatoriaSubito dopo mi chiese chi fossero gli autori dei 4 vangeli. Risposi Gesù, Pietro, Matteo e Cicerone (quest’ultimo con dubbio rispetto a Tacito o Plinio il Vecchio). Dallo sguardo feroce del segretario, compresi che non avevo indovinato le risposte esatte. A questo punto mi sentii in difficoltà e, cercando di giocare in difesa, provai a chiedere un assistente legale, un avvocato, ma probabilmente, nel mio latino incerto, chissà cosa capì il segretario.

So solamente che si aprì in un largo sorriso e chiamò a gran voce un tale ‘Mastro Tittas’. Arrivò un omaccione, che senza dire una parola, mi afferrò il collo con due manacce grandi e grosse e cominciò a tastare le mie vertebre cervicali. Perche? chiesi. Mi rispose semplicemente claver numero tres (mannaia numero 3). Compresi così che il mio interrogatorio era finito con risultati disastrosi. Ah, avessi imparato bene certe cose nelle ore di religione a scuola anzichè fare disegnini osceni o ripassare le tabelline!

Dopo una notte in cella, eccomi qui di fronte a Mastro Tittas che sta nervosamente aspettando che io finisca di scrivere questa pergamena. È chiaramente impaziente di fare il suo lavoro, sta passando il dito sul filo della mannaia, sembra molto affilata. Ecco, ora si è pure leggermente tagliato il dito, sanguina un poco, lo mette in bocca per salivare la feritina, ora bestemmia (credo in una lingua slava). Termino subito, per non irritarlo oltre. Irritare un boia è sempre sconsigliabile.

Chiudo dicendo che (forse per un segno di premonizione) ho nascosto qualche giorno fa uno schema completo della mia macchina TiMER nella chiesa di San Giorgio in Velabro, qui a Roma, precisamente nel  piedistallo della statua del Santo. In fede, vostro fra’ Perdono, alias Francesco Rovelli, nato nel febbraio 1970, morto nell’ottobre 856.”

Vado a Roma pr verificare la storia di Rovelli
San Giorgio in Velabro Rome 12San Giorgio in VelabroFin qui il testo integrale del manoscritto su pergamena, autenticamente antica. Che penso di tutta questa faccenda? Che sono come fra’ Tommaso, che non ci crede finchè non ci mette il naso.

Infatti ho appena comprato, via internet, un biglietto del Frecciarossa sulla tratta Milano-Roma e ora sto buttando un po’ di roba (calze, mutande, maglietta, pantaloni) nella valigia 24ore, e conto di andare dritto nella chiesa di San Giorgio in Velabro, per cercare la pergamena con lo schema completo della TiMER, e ricostruire un prototipo funzionante.

Ma certo non userò la TiMER per scoprire se è mai esistita una Papessa, ma piuttosto per sapere dov’è finito il tesoro di Dongo, sequestrato a Mussolini nel 1945. Io sono un tipo molto più  pragmatico di fra’ Perdono.

Per saperne di più:
Padre Ernetti e il cronovisore: Wikipedia
Altri racconti sul cronovisore
Un articolo di Focus sulla Papessa

Laureato in Chimica, sviluppatore software ed elettronica, da almeno 30 anni si interessa di Ricerca Psichica con particolare attenzione allo studio della Telepatia e Psicocinesi utilizzando tecniche Elettro-Encefalografiche. Autore di numerose ricerche pubblicate anche su riviste scientifiche internazionali. Direttore Scientifico di AISM (Ass. Italiana Scientifica di Metapsichica).