di Donatella Galletti. Opere che ci fanno entrare in una realtà coesistente e parallela.
Titolo: Leandro Erlich: Oltre la soglia
Date: dal 22 aprile al 4 ottobre 2023
Dove: Palazzo Reale Milano
Promotori: Comune di Milano-Cultura
La mostra è prodotta e organizzata da Palazzo Reale e Arthemisia, in collaborazione con lo Studio Erlich, con la curatela di Francesco Stocchi.
Catalogo: edito da Toluca Éditions ed è realizzato con il contributo di Galleria Continua

Artista argentino, nato a Buenos Aires nel 1973, Erlich crea grandi installazioni con cui il pubblico si relaziona e interagisce, diventando esso stesso l’opera d’arte. Le sue opere sono uniche e rappresentano un’assoluta novità nel mondo dell’arte e uniscono creatività, visione, emozione e divertimento.
I lavori di Erlich sono frutto di una ricerca artistica profonda e concettuale, che sfocia nel paradosso e che ha già conquistato milioni di visitatori nel mondo: 600.000 a Tokyo e 300.000 a Buenos Aires, ovunque il pubblico è accorso alle sue mostre, caratterizzate da installazioni site specific molto complesse da realizzare e quindi molto rare.
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Ci sono delle mostre molto diverse dalle altre. In genere siamo abituati a valutare l’opera, vedere l’abilità del pittore dello scultore e concentrarci su quale sia il messaggio. Il punto di vista di questa mostra è completamente diverso, in quanto si tratta di una mostra esperienziale, ovvero lo spettatore è una parte attiva dell’opera e le installazioni rimandano ad una realtà diversa da quella che normalmente si vede: c’è il finestrino d’aereo di notte e di giorno, l’ascensore, il porticciolo con le barche, la facciata di una casa, i camerini di un negozio.
Il suo lavoro esplora le basi percettive della realtà e la nostra capacità di interrogare queste stesse basi attraverso un quadro visivo.
L’architettura del quotidiano è un tema ricorrente nell’arte di Erlich, che mira a creare un dialogo tra ciò che crediamo e ciò che vediamo, così come cerca di colmare la distanza tra lo spazio del museo e l’esperienza quotidiana.
All’apparenza tutto è normalità, sulle prime ci si chiede quale sia l’opera d’arte, ma man mano che si visita la mostra, ci si accorge che si sta entrando in un’altra realtà, sempre esistente e parallela a quella che vediamo o piuttosto crediamo di vedere.
Si entra in un altro spazio-tempo
All’inizio in una stanza buia, in mezzo a una parete c’è un ascensore con il bottone rosso che si accende e il tipico rumore che si sente quando si aprono le porte. Per pochi istanti l’interno illuminato presenta delle persone nelle più svariate situazioni di vita: lui che ha fatto piangere lei, le signore che sono andate per negozi, i genitori con i bambini che vanno a una festa eccetera.
Tra una scena e l’altra occorre aspettare che la porta si apra di nuovo, né si sa quando questo succederà. Il tempo è dettato dall’artista, e si è obbligati all’attesa se si vuole vedere come l’opera si svilupperà, non esiste un telecomando. Il tempo e l’attesa sono parte dell’esperienza. Le scene sono tutte riprese in video, alquanto realistiche. Nessuno esce nessuno entra.
La cabina dell’ascensore si ritrova anche in un’altra sala, fuori dal contesto nel quale normalmente si trova, in quanto è appunto una cabina appoggiata sul pavimento.
Lì per lì non ci si fa caso, ma se si guarda all’interno ci si accorge che le porte a vetri non hanno vetri e ci si può sporgere guardando in alto o in basso e vedendo numerosissimi piani sia sopra che sotto di sé. Si tratta di un gioco di specchi che danno l’illusione che il pavimento della sala non esista aprendosi nella profondità nella quale un ascensore può salire o scendere.
L’installazione ci mostra anche quanto siamo radicati nella nostra convinzione della realtà usuale: non viene in mente di toccare il vetro della cabina, che peraltro non esiste, perché sappiamo che un ascensore è fatto in un certo modo.
Nel momento però in cui si mette la mano attraverso il “vetro“, ci si rende conto di quanto la nostra percezione vada su determinati binari e tenda a non uscirne, come se avessimo una libertà e non fossimo in grado di usarla solo per il voler non osare, per seguire le consuetudini e i divieti di toccare un vetro che ci sono stati dati fin da bambini. Istruttivo.
La vita come un gioco di specchi
Il gioco di specchi viene usato per moltissime delle opere, ad esempio ci si trova nel percorso davanti a due camerini uno di fronte all’altro e sulle prime ci si chiede quale sia la funzione come opera d’arte.
Sono molto eleganti tutti a specchi e cornici brillanti in ottone: il visitatore entra e pensa di specchiarsi sui tre lati. Nella normalità entra però un elemento quasi onirico: di fronte a sé c’è un altro visitatore, nella cabina parallela, che rimanda un’immagine che non è la propria. Lo specchio non c’è, è un’illusione.
Ci si accorge presto che si tratta di un labirinto con 30 cabine. In alcune si può attraversare passando attraverso quello che dovrebbe essere lo specchio ( che non esiste) in altre no, tant’è è vero che per uscire si finisce col mettere la mano davanti a sé per vedere se ci sia un varco.
La propria immagine è comunque riflessa sempre all’infinito, questo rende difficoltoso capire se davanti a sé ci sia il vuoto oppure no. Si potrebbe pensare a una metafora di scelte che si fanno nella vita, tutto sembra uguale, ma solo alcuni percorsi portano all’uscita dal labirinto. Occorre osare ed oltrepassare le proprie convinzioni per venirne fuori.
Lo specchio messo a 45° su una grande facciata di un palazzo che rimanda alla struttura di Palazzo Reale, posta in orizzontale, permette di mettersi in posa su una finestra sul cornicione o appesi a un balcone e vedere la propria immagine come se fosse in verticale, come protagonisti di un enorme gioco di prestigio.
Ritornare a scuola… come un fantasma
Esiste ad esempio l’aula scolastica con dei semplici cubi neri che fungono da banco all’esterno e rimandano la nostra immagine all’interno di un’aula cadente con calcinacci per terra, una scuola a pezzi.
Si cammina a bordo del porticciolo con barche a grandezza naturale mosse da computer: affacciandosi al molo protetto da una ringhiera sembra effettivamente di trovarsi in un posto di mare di notte e che sotto le barche ci sia acqua, questo grazie a un sapiente uso dell’illuminazione oltre che del movimento e del suono.
Si arriva quindi ad una casa con un graziosissimo giardinetto interno, con piante vere, quadrato. Sbirciando dall’esterno dalle finestre si nota ben presto la propria immagine riflessa in due delle finestre laterali.
La stanza è triangolare nella realtà, e vorrei dire quale realtà? Anche averne visto il perimetro all’esterno e la mancanza di finestre oggettiva non ci toglie la convinzione, anche a posteriori, di aver vissuto in quel bellissimo giardino quadrato.
Altre opere sono costruite con gli stessi principi, ovvero con l’illusione data da specchi oppure con un video proiettato all’interno di una cornice che ci dà una scena normale di vita.
Il pensiero che sorge immediatamente è quanto sia reale la realtà nella quale viviamo che ci viene data dai sensi e da quello che l’occhio e l’udito ci riportano, e quanto invece sia una creazione della nostra mente. Gli schemi che ormai abbiamo in mente non ci permettono un pensiero laterale neanche quando gli stessi sensi ci dimostrano che la realtà è diversa da quella che vediamo.
Mi pare ovvio un richiamo alla Matrix o a film come The Truman Show.
La parte interessante della funzione dell’artista in questo caso è che l’opera può cambiare in base a come gli spettatori si dispongono di fronte ad essa mentalmente e quindi fisicamente: le pose vengono postate su Instagram (in ogni sala c’è infatti il tag da aggiungere e un invito a postare se stessi), la vera mostra quindi continua nelle numerosissime foto e video che si possono vedere al tag #Erlichmilano.
Lo spettatore entra in uno stato tra realtà e irrealtà, perché dopo un certo numero di opere il cervello inizia a lanciare segnali sul fatto che ciò che si vede non è quello che sembra.
Questo stato perdura all’uscita della mostra, tanto che vedendo gli archi del portico di Palazzo Reale il primo pensiero che ho avuto è che fossero un gioco di specchi. L’illusione sul reale è perdurata per un po’ di tempo in diverse parti della città.
Una mostra sicuramente da vedere.
Credits: Le ultime 5 foto sono di Donatella Galletti.
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