di Massimo Biecher. Una figura mitologica che incarna una dote indispensabile per affrontare la vita.
Come abbiamo già constatato in altri racconti epici, questi sono caratterizzati dalla sinteticità, dal possedere una prosa asciutta ma ricca di dettagli, che contengono indizi e riferimenti al mondo della psiche.
Per coloro che, come noi, sostengono come Antoine de Saint-Exupéry, “che l’essenziale sia invisibile agli occhi”, essi costituiscono il punto di partenza delle nostre ricerche.
Concepito dal dio Poseidon

Cominciamo con due passi estratti da Igino l’Astronomo, detto anche il mitografo, e da un brano di Esiodo. Teofane, la fanciulla più bella di tutte, era figlia di Bisalte. Quando molti corteggiatori la cercarono da suo padre, Poseidon la rapì e […], in forma di ariete, giacque con lei trasformata in pecora e da questa unione nacque Crisomallo, l’Ariete dal vello d’oro.
Esiodo, nel Catalogo delle donne, scrive: “L’Ariete [dal vello d’oro]. Fu colui che trasportò Frisso ed Elle. Era immortale [ἄφθιτος ] e fu dato loro dalla loro madre Nefele. E aveva un vello d’oro.”
Come in tutte le storie del passato, anche qui è presente un particolare che non esitiamo a definire bizzarro. Pseudo Igino narra che l’ariete protagonista di questa storia è ricoperto da un mantello di lana d’oro. Una mera interpretazione letterale ci farebbe associare questo animale all’emblema di ciò che conduce alla ricchezza ed al potere che ne deriva.
Come mostreremo più avanti, l’oro è ben più che un segno, è un simbolo e quindi coagulatore di significati che collegano due mondi diversi, quello della psyche e quello della mitologia greca.
Il breve passaggio tratto da Esiodo, inoltre, contiene un indizio interessante. Esiodo usa l’aggettivo ἄφθιτος – afthitos, generalmente tradotto con “immortale”, ma anche con “indistruttibile”, “non caduco”.
Andando a fondo, afthitos può essere derivato dalla lettera α (alpha privativa), ossia da un prefisso che attribuisce un senso negativo a ciò che segue, e dal verbo φθίνω – ftino, che rinviava a significati come “incessante” e “continuo”. Come vedremo nella seconda parte, se a questi aggettivi attribuiamo il senso che ne deriva, otteniamo due delle qualità che caratterizzano l’archetipo che il montone del vello d’oro rappresenta.
L’Ariete: il dono di Ermes a Nefele

Un altro indizio interessante lo troviamo in un passaggio di Pseudo Apollodoro all’interno del libro Biblioteca. Nel racconto si dice che Nefele, la madre dei due giovani Frisso ed Elle, che in quel momento si trovavano in pericolo di vita, diede ai figli un montone dal vello d’oro che aveva ricevuto da Ermes.
Anche quest’ultima circostanza, apparentemente inserita a caso, alla luce degli approfondimenti effettuati sul racconto di Orfeo ed Euridice, serve a svelare un’altro aspetto legato al tema che stiamo trattando.
È possibile infatti, che Ermes/Mercurio, definito da taluni il dio “psicopompo” (letteralmente la scorta o la guida nell’anima), incarni da un punto di vista archetipico quelle doti indispensabili per praticare l’introspezione personale, riflettere su chi siamo e giungere alla conoscenza del propio sé.
Aggiungiamo infine che proprio l’epiteto di psicopompo, se analizzato per il suo significato intrinseco e rappresentato nell’immagine qui accanto raffigurata, sembra confermare la nostra riflessione secondo cui egli, più che accompagnare le anime nel mondo dei morti, è colui che aiuta a far affiorare il materiare inconscio presente nell’anima.
Ermès è il dio che incarna la riflessione individuale, ovvero colui che permette di fare conoscenza di noi stessi, in particolare di quel luogo profondo della psyche che Jung amava chiamare il mondo dell’inconscio.
Entrando nella propria anima

Torniamo adesso ai versi di Pseudo Apollodoro. Il passo che nel testo tradotto da quello inglese di Sir James George Frazer, antropologo e storico delle religioni, recita così: “Ma Nefele prese lui (Frisso) e sua figlia (Elle) e diede loro un montone dal vello d’oro, che aveva ricevuto da Ermes”.
Quello che attrae la nostra attenzione è che, nel passaggio originale, il verbo usato per “diede loro” è lambano. Oltre che assumere il significato di «prendere», «afferrare», «accettare» o «ricevere» sta anche per «afferrare con la mente», «percepire», «considerare». Questi ultimi tre verbi sembrano essere più in linea con quanto finora da noi sostenuto.
Potremmo dire che la donna facendo introspezione, autoanalisi, guardando nei meandri della propria Anima, trova dentro di sé l’archetipo associato all’Ariete dal vello d’oro. A questo punto il medesimo passaggio suonerebbe così: “e Nefele afferrò con la mente/percepì un Ariete dal vello d’oro, che le fu “offerto”/”concesso” da Ermes”.
Questa seconda traduzione, è più vicina alla prerogativa che abbiamo assegnato al dio psicopompo e ci fa intendere che i principi primi legati al montone sacro siano innati. Stiamo parlando dell’istinto che ci può salvare nelle situazioni di pericolo, che ci tira fuori dalle situazioni difficili quando ormai tutto sembra essere perduto e che all’interno di questo episodio fantastico è rappresentato dal dono di Ermes a Nefele.
Chi erano i genitori dell’Ariete dal vello d’oro?

Nelle storie antiche nulla di ciò che è presente va preso alla lettera, ma va osservato, come diceva Hillmann, in trasparenza. Al lettore odierno, infatti, potrebbe apparire stravagante che un essere divino, Poseidon, trasformi se stesso e la propria amata, Teofane, in due animali e che dalla loro unione scaturisca il protagonista della nostra storia, cioè l’Ariete del vello d’oro.
Proviamo invece a rileggere questo racconto in modo alternativo, analizzando la sezione 188 delle Fabulae di Pseudo Igino già riportata all’inizio.
Teofane, la figlia del re Bisalte, era una donna così bella ed attraente da attirare le attenzioni sia di diversi uomini che quella del dio Poseidon. Da questo dettaglio possiamo intuire che ella fosse sì un oggetto del desiderio, ma con un’accezione diversa dalla quella con cui solitamente viene intesa.
Infatti nei racconti che parlano delle divinità, il desiderio va inteso come madre della motivazione. La pulsione, per dirla alla Freud, che precede la messa in movimento in direzione di ciò che ci piace intraprendendo tutte le azioni necessarie ad ottenere quanto prefisso.
Il ruolo di Teofane

Di Teofane, abbiamo poche informazioni. Per scoprire le caratteristiche da lei simbolizzate, dobbiamo analizzare etimologicamente il nome, partendo dall’assioma, più volte dimostrato, che all’interno delle storie ambientate nell’eta del bronzo nel bacino del Mediterraneo valesse il detto Nomen Omen.
Teofane deriva da θεός, Theos, dio, divinità. Ma anche dal verbo φανήῃ – phanèe, mettere in luce, far apparire, mostrare, far vedere, far risplendere, rendere visibile, rivelare, svelare. In altre parole sarebbe colei che rende visibile la divinità, che la svela, oppure che fa risplendere la sua essenza. Quasi che, unendosi col dio dei mari, rendesse possibile che tutti potessero venire a conoscenza dei prodigi che lui era in grado di fare.
Fuor di metafora, Teofane svela le meraviglie che siamo in grado di fare quando siamo messi in movimento dall’archetipo personificato da Poseidon. Quali sono i prodigi che è in grado di creare queetso dio? Sono più di una le etimologie che ci fanno comprendere la complessità della figura del fratello di Zeus.

Per interpretare il principio psicologico che è chiamato ad interpretare all’interno specifico di questo contesto, analizziamo un passo del Cratilo di Platone. “(Dice) Socrate: Credo che il nome di Poseidon sia stato dato da colui che per primo lo applicò, perché la forza del mare lo trattenne mentre camminava e gli impediva di avanzare; fungeva da legame dei suoi piedi. Così chiamò il signore di questo potere Poseidon, considerandolo un vincolo del piede. La “e” è inserita forse per eufonia.”
Il sostantivo ποδῶν – podòn è il genitivo plurale di πούς, effettivamente può essere tradotto con piedi, oppure, come proposto dal vocabolario Liddel Scott Jones, deriva dal sostantivo πέδον – pedon cioè da suolo, terra, campo o ciò che poggia sulla terra.
Poseidon sarebbe colui che ha i piedi per terra o meglio ancora, i cui effetti si manifestano sul mondo concreto. La concretezza tipica delle cose che hanno a che fare con la materia, col mondo fenomenico e non con il mondo spirituale.
Teofane pertanto, sarebbe colei che rende visibile un aspetto che attiene o si ripercuote nella concretezza della vita e pertanto Crisomallo, figlio di entrambi, incarna un aspetto i cui effetti hanno a che fare con i lati pratici della vita.
Un buon punto di partenza
Quello che abbiamo scoperto finora, ovvero che l’Ariete incarna una qualità caratterizzata dall’essere “incessante e continuo”, che è già presente almeno a livello inconscio in ciascuno di noi ed i cui effetti si manifestano sul piano materiale, costituiscono un buon punto di partenza per la nostra indagine.
Ma se vogliamo ottenere una raffigurazione più circoscritta, dobbiamo proseguire la nostra analisi ed indagare altri aspetti della storia che riguarda questo ovino che è entrato di diritto nella storia e del mito.
(1a puntata- continua)
Foto di copertina, da un vaso esposto al Museo Archeologico di Atene.
Per saperne di più:
Daniele Lo Rito e Marianna Velotto, saggio: «Analisi del mito di Cerbero Orfeo ed Euridice » di Massimo Biecher, Analisi del mito di Cerbero, Orfeo ed Euridice (incluso nel libro La mitobiografia e l’iridologia).
Francesco Perri – “Dizionario di mitologia Classica” Garzanti
Karoly Kerenyi – “Gli dei e gli eroi della Grecia” Il Saggiatore
Waldemar Deonna – “Il triangolo sacro” Edizioni Medusa 2008
Paul Veyne – «I greci hanno creduto ai loro miti?»
Plotino – Enneadi: Testo greco a fronte Mondadori ed 2012
Jung – L’uomo ed i suoi simboli” – Raffaello Cortina editore 1983
James Hillman – Il codice dell’anima – trad. Adriana Bottini, Adelphi, Milano 1997
James Hillman – “Plotino, Ficino e Vico precursori della psicologia junghiana” da Academia.edu
James Hillman – “Re-visione della psicologia” Adelphi
Leave a Reply