di Donatella Galletti. Riproponiamo (in ritardo) la mostra su Bosch che c’è stata a Palazzo Reale.
Si è conclusa a Milano a Palazzo Reale una interessantissima mostra su Bosch. Purtroppo per motivi non dipendenti da chi scrive, il numero di Karmanews di marzo è saltato e quindi non abbiamo potuto pubblicarla nei tempi previsti.
I quadri del pittore in esposizione sono tra i più rappresentativi e sono arrivati da Spagna, Portogallo, Belgio e dagli Uffizi.
I curatori della mostra sono:
Bernard Aikema (già professore di Storia d’Arte Moderna presso l’Università di Verona), Fernando Checa Cremades (professore di Storia d’Arte all’Università Complutense di Madrid e già direttore del Museo del Prado) e Claudio Salsi (direttore Castello Sforzesco, Musei Archeologici e Musei Storici e docente di storia dell’incisione presso l’Università Cattolica di Milano).
Il percorso museale è stato scelto, come dice il titolo, prendendo in considerazione un Rinascimento diverso rispetto a quello che conosciamo, di chiarezza, armonia, equilibrio. Infatti in mostra c’erano opere di vari autori, che ancora più di un secolo dopo la morte di Bosch riprendevano le sue creazioni e idee.
A corredo della mostra c’era infatti una Wunderkammer, la ricostruzione di una camera delle Meraviglie, che nel ‘500 proponeva una raccolta di oggetti particolari, esotici, curiosi e sconosciuti ai più.
Ogni sala è stata corredata di cartelloni esplicativi e la visita alla mostra è stata possibile seguendo una comoda e piccola audio guida compresa nel prezzo del biglietto.
Il mistero di Bosch

Indubbiamente Bosch – ovvero Jeroen Anthoniszoon van Aken (s’ Hertogenbosch, 1453 – 1516) – affascina proprio per la singolarità nei dipinti, per quell’indefinito dei suoi personaggi che sembra arrivare alla comprensione di chi guarda saltando la parte razionale e qualsiasi ragionamento.
È come se offrisse un’intuizione profonda parlando direttamente all’anima senza che ci si possa spiegare come è arrivata l’informazione.
Dare un giudizio o un’informazione qualsiasi è imprudente per qualsiasi critico: infatti tutti si limitano a una descrizione di quanto si può vedere, dando eventualmente indicazioni sulle metafore possibili per l’epoca e una decodifica attraverso una comparazione con un linguaggio simbolico che ora si è perso.
Dal mondo animale all’Empireo

Il Trittico dei santi eremiti (1495-1505) è una delle prime opere in esposizione. Le figure dei santi e buona parte del paesaggio sono dipinte in modo tradizionale, ma il loro mondo è popolato da figure simboliche.
Come in altri quadri di Bosch, si possono notare tre livelli, che mi hanno fatto venire in mente i tre livelli nei quali è scomposta la realtà per gli Inca: anche in questo caso ci sono un livello sotterraneo, che si vede come se il manto erboso fosse stato tagliato e posto in sezione dietro un vetro, il livello nel quale viviamo e quello celeste, con un cielo azzurro che illumina una campagna dello stesso colore.
Alle spalle del santo c’è un contenitore cilindrico che nella parte terrena e superiore sembra di vetro, di terracotta invece nella parte sotterranea. Sottoterra un piccolo foro nel recipiente sembra l’ingresso di una tana. In primo piano davanti al cilindro si vede una specie di piccolo drago che uccide un topo, alla sua sinistra uno scheletro di topo e una coda che sbuca da un cilindro nel terreno. Siamo al livello della violenza pura, simile uccide simile, nessuna pianta o radice in vista.

Tornando al nostro cilindro, si passa alla parte centrale, che posa su una corona di spine. All’interno prega un uomo vestito con un saio, in uno sfondo rosso scuro inondato da piccole gocce di luce. Nella parte superiore del recipiente è contenuto un cielo azzurro con sole, luna e stelle. È un microcosmo all’interno della composizione, una specie di nota esplicativa. Se si volesse paragonare ai Tarocchi avremmo il Diavolo, la Morte, l’Eremita e il Sole.
Credo che una comparazione tra quadri di Bosch contenga una chiave di lettura di quanto sopra: nelle Quattro visioni dell’Aldilà, conservato alla Gallerie dell’Accademia di Venezia, ci sono Caduta dei dannati, Inferno, Paradiso terrestre, ascesa all’Empireo. Proprio nell’in quest’ultimo c’è un tunnel di luce, azzurro, verso il quale si dirige l’anima. Il significato del recipiente nel quadro potrebbe essere lo stesso, espresso in modo più criptico: da una vita a livello animale, si passa attraverso la preghiera a un mondo superiore e finalmente si arriva alla Luce.
Trittico delle tentazioni di Sant’Antonio
Il trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio è forse uno dei più rappresentati, soprattutto nei particolari, per l’originalità dei personaggi. Quando ho visitato la mostra, davanti all’opera c’erano almeno venti persone concentrate ad ascoltare la spiegazione dell’audio guida. Mi sono concentrata sui pannelli in grisaglia bianco e grigio monocromo che chiudono il dipinto, quasi mai presi in considerazione dai critici e sgombri da spettatori alla mostra. Ho riscontrato all’interno una vera poesia, rapporti geometrici di composizione, una storia umana che mi è apparsa come la Stele Rosetta di Bosch, l’inizio e l’origine della metamorfosi dei personaggi.
Anche qui, come nel Trittico degli eremiti, ci sono scheletri in primo piano, il Calvario, un gruppo di persone che si lasciano prendere dall’aggressività di alcuni.
A destra si vede quello che sembra un mercante, l’unico personaggio grasso e pasciuto, con un bimbo sulle spalle che dà un pomo d’oro a un armigero pronto con la bocca aperta.
Modernissimo: il denaro e l’avidità dominano le situazioni e si insegna già da piccoli ad apprezzare i beni materiali.
A sinistra la Morte con un berretto e la falce è speculare al mercante. Alcuni visi, deformati ma riconoscibili, ricordano da vicino i personaggi formati in parte da animali del trittico. Tutto nel dipinto, come a mio parere nei dipinti di Bosch, ha una geometria e una corrispondenza interne studiate e armoniche.
L’eredità del fiammingo
Per quanto belli, i dipinti di altri autori che ripropongono personaggi simili a quelli dei quadri di Bosch, non raggiungono lo stesso risultato, perché il contesto è diverso, come lo è la costruzione del dipinto. Sono elementi recuperati e riusati, a mio parere, inseriti nel linguaggio del nuovo pittore senza cogliere l’integrità del messaggio di Bosch. Se per Bosch dovevano essere così perché erano funzionali a uno scopo in una visione unitaria, negli emuli rimangono citazioni sparse. Mi fanno pensare a formule magiche o più pragmaticamente a ricette mancanti di alcuni ingredienti.
Molto interessanti gli accostamenti pensati dai curatori, che vanno dagli arazzi che richiamano elementi di Bosch anticamente presenti alla corte spagnola, riuniti insieme per la prima volta in un museo, a stampe raffiguranti streghe, ai calamai con figure mostruose o al diavolo animato della Wunderkammer.
È curioso come cercando in rete si trovino bellissime guide ai quadri in mostra che indicano tutte le attinenze alchemiche e i simboli usati noti agli alchimisti, dalla nigredo alla regina bianca, rossa e nera ecc. Si trova però traccia di un volume scritto per confutare queste teorie, perché pare che ai tempi di Bosch, dove viveva, non fossero a disposizione libri di alchimia, arrivati più tardi. Un altro mistero.
Per saperne di più:
Analisi del trittico delle delizie
Analisi del trittico delle tentazioni di Sant’Antonio
Alchimia creata secoli dopo Bosch
Sito della mostra a Palazzo Reale
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