di Maria Grazia Parisi. Non sempre è negativo: ci insegna a conoscere le nostre risorse e ad affrontare gli imprevisti.
Siamo soliti definire traumi gli eventi in grado di segnare di più – in negativo – la vita di una persona.

Ma si possono considerare molto condizionanti anche situazioni che in fondo, magari col tempo, hanno avuto un epilogo positivo ma che, sulle prime, sono state spiazzanti o inattese e che per questo hanno richiesto un faticoso adattamento, come trasferimenti, cambiamenti, viaggi o incontri che sono stati vissuti, al momento, come portatori di stress.
Si tratta, comunque, di esperienze della vita che stabiliscono un evidente “prima” e un “dopo”, e che danno l’impressione, se non addirittura la certezza, che ciò che eravamo o ciò è andato perduto in quel certo momento non sarà mai più recuperabile.
Gli ultimi anni sono stati, a livello globale, densi di eventi scioccanti: pandemie, chiusure, divieti, obblighi, ristrettezze, crisi, guerre.
Niente sarà più come prima

Certo, anche qualche avvenimento lieto, qua e là, qualche respiro di sollievo. Complessivamente, però, tutti ricordiamo meglio ciò che ci ha messo in difficoltà e possiamo dunque dirci traumatizzati, a qualche livello, dal semplice fatto di avere vissuto un periodo così straordinario, senza parlare delle perdite tangibili di persone, cose, ruoli, beni o abitudini che hanno interessato così tanti di noi.
Che cosa è realmente traumatico? Perché agisca in modo davvero condizionante sul nostro sistema nervoso e sulla nostra psiche, occorre che un evento abbia almeno qualcuna di queste caratteristiche: che sia inatteso o spiazzante e che venga sentito soggettivamente come inevitabile, cioè di fronte al quale, almeno per un certo periodo, non sia possibile fuggire o non sia possibile contrastarlo con le proprie forze. Spesso è vissuto anche come incomprensibile, ignoto o inedito, strano o assurdo, e a volte come ingiusto o ingiustificato, immeritato o inaccettabile.
Una dura scuola di vita

Pur essendo un’eventualità potenzialmente distruttiva dell’equilibrio psichico e fisico, qualcosa di buono il trauma ce l’ha, almeno dal punto di vista della biologia.
Attraverso l’impatto con una situazione prima sconosciuta, pericolosa e sfidante l’essere vivente – se sopravvive – impara a conoscere il mondo anche nei suoi aspetti inediti, inaspettati e difficili da gestire o risolvere, impara a adattarsi a situazioni estreme e a risorgere.
Potremmo definirlo una dura scuola di vita. Quando sopravviviamo a un trauma, lo dobbiamo sia alle strategie della nostra mente razionale, ma anche e in realtà ancor prima al nostro mero istinto di sopravvivenza, che risiede nel corpo e nelle risposte che esso mette in atto, in primis quelle azioni istintive che chiamiamo emozioni.
Dopo un trauma, anche se “niente sarà più come prima”, conosciamo un nuovo pezzo di mondo, una eventualità mai immaginata in precedenza e, conoscendola, nel tempo potremo imparare a gestirla.
La nostra biologia, però, ci spinge semplicemente a non voler più riprodurre le circostanze che hanno generato il trauma stesso. Tenderebbe, quindi, a mantenerci in una zona di sicurezza, instillandoci la paura di rivivere la situazione traumatica e di stare male di nuovo, condizionando e limitando le nostre scelte e azioni. Questo può stimolare comportamenti auto-protettivi o la ricerca di una qualche forma di controllo su eventi simili futuri, ma il costo in termini di ansia è spesso altissimo.
La trasformazione del trauma

Si può uscire, da un trauma?
Malgrado alcune scuole di pensiero dicano di no, chi scrive ha invece la certezza che si può uscire da quasi tutte le situazioni di trauma più forti e saggi di prima.
Certo, ci vuole il coraggio di guardarlo in faccia, possibilmente aiutati (il fai-da-te nella maggior parte dei casi non è affatto consigliabile).
E bisogna avere chiaro il potere condizionante dei traumi, la loro fisiologia e la loro stratificazione.
Perché, come è noto da tanto tempo anche agli psicanalisti, più un trauma è antico e più potere condizionante ha.
Sulla base di queste conoscenze è quasi naturale, per chi tratta i traumi e i loro effetti sulla psiche, doversi avventurare nel vasto e fantasmagorico mondo dei traumi sepolti, difficilmente accessibili alla coscienza e addirittura preconsci, cioè avvenuti in età a cui di solito attribuiamo un’assenza di ricordi.
Per l’organismo, però, l’adattamento è fondamentale, perciò non deve stupire che ogni evento fisicamente o psicologicamente “traumatico” abbia lasciato traccia nel sistema nervoso, anche se non sotto forma di ricordi facilmente rievocabili. Non magari nella coscienza, quindi, che rappresenta una frazione minima dei contenuti elaborati dal sistema nervoso stesso, ma sicuramente nel corpo e negli aggiustamenti che ha dovuto compiere per sopravvivere. Il corpo ha una sua memoria implicita, infatti, in grado di registrare e riprodurre ogni evento e adattamento importante che ha vissuto.
Sciogliere le memorie traumatiche

Su questa base, siamo in grado di recuperare le sensazioni fisiche legate al trauma, accompagnate da sentimenti o impressioni psichiche, e a lavorarci per scioglierle, a qualsiasi epoca risalgano.
Perlomeno dal quarto-quinto mese di gestazione in avanti, cioè da quando il feto ha completato il suo sviluppo, ci sono indizi sulla capacità di ricordare sensazioni precise, che hanno determinato uno specifico adattamento che si è poi ripercosso sul funzionamento della persona.
L’origine di molte insicurezze e del dover essere “perfetti” a tutti i costi l’ho visto spesso legato al fatto che il feto “sapeva” che i genitori volevano che fosse, per esempio, del sesso opposto. L’essere nati con parto cesareo può talvolta generare dubbi sulla propria capacità di essere all’altezza, perché può essere stato vissuto come: “Non sono sicuro che ce l’avrei fatta da solo”, eccetera.
In realtà, anche le fasi precoci della gestazione, o addirittura, se le persone sono sensibilizzate all’argomento, incarnazioni precedenti potrebbero essere altrettanto bene esplorate e le sensazioni fisiche e le impressioni psichiche riportate in questo modo a galla potrebbero essere utilizzate per sciogliere gli effetti di eventi traumatici, oggettivi o soggettivi che siano.
Il lavoro di trasformazione del trauma

In quest’ultimo caso, non avendo io quasi mai la possibilità di una verifica diretta (lascio questo campo a chi ha più esperienza e competenza specifica), come invece spesso succede per i traumi peri-natali, almeno una certezza emerge.
Che sia un ricordo evocato dal vissuto “reale” del corpo o una sensazione prodotta da qualche condizione particolare del soggetto, che si tratti, cioè, di una sensazione legata a un evento plausibile e ricostruibile o che esprima qualcosa dell’inconscio individuale o, perché no, collettivo, l’importante è che, se il corpo risponde, animandosi con una sensazione precisa, il lavoro di trasformazione del trauma che ne ricaviamo è reale ed efficace in quanto genera un tangibile cambiamento nel vissuto di quella persona e nel suo futuro atteggiamento.
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