Oltre la porta del tempo

Solo un puro poteva passare di là. E lui sapeva di avere una missione

di Donatella Galletti. Un’avventura incredibile al di là dello spazio-tempo. Come sognava da bambino.

Aramis sapeva quello che gli stava succedendo. O forse no. Si era staccato dagli altri, come attratto magneticamente dalla roccia, dalla porta.

Oltre la porta del tempoSi era ricordato un sogno ricorrente di quando era bambino, nel quale vedeva un’immensa pianura, con degli esseri alti, dalla pelle chiara, con copricapi allungati e colorati, come fossero lunghissime piume. Non avevano le mani, ma piuttosto lunghe dita con l’unghia ricurva, come fossero zampe di un uccello.

Erano in cerchio e apparivano intenti, stavano facendo un rito. Aramis avanzava nel centro del cerchio, camminava ma gli sembrava più di pattinare. Quando sognava aveva al massimo quattro anni, forse neanche, ma si vedeva adulto, giovane e prestante, alto anche lui, dal portamento slanciato ed elastico.
Se pensava di saltare poteva anche arrivare dieci metri più in là, come se non ci fosse gravità. Indossava un alto copricapo di piume bianche e azzurre ed un mantello bianco ornato sul bordo da motivi geometrici ricamati su un nastro d’oro, con un sottile bordo rosso scuro verso l’orlo del mantello, e altre due sottili strisce blu e verde chiaro verso l’interno.

Sapeva di essere insignito di una carica e di una missione, perché, come arrivava, tutti nel cerchio sollevavano le braccia verso l’alto, si zittivano e lo guardavano.
Il silenzio durava qualche minuto, quindi si sentiva un mormorio intonato, come uno zzz, che si modulava su tre note.
Uno dei personaggi nel cerchio gli andava incontro e gli portava una specie di corona. Era fatta di un materiale che Aramis non aveva mai visto, come fosse argento o platino, con la struttura di piume.

Oltre la porta del tempoErano tante strisce vicine che stavano dritte e si muovevano al minimo spostamento della testa o ad esempio di una mano. Non dipendevano dagli elementi, il vento non le spostava di un millimetro.
Quenciuk, questo il nome del sacerdote che gli poneva in capo la corona, gli parlava guardandolo.

Non si sentivano suoni di parole, ma Aramis percepiva tutto il discorso, che era pressapoco così: «Tu sei finalmente arrivato, sei il prescelto, il tuo vero nome è Maniùk, non devi aver paura di noi, il potere ti è stato dato.

Stai vivendo sulla Terra, ma questo è un sogno, una tua percezione materializzata grazie al pensiero di grettel, ovvero quello che sulla Terra si chiamerebbe una macchina per destabilizzare e risintonizzare la realtà, così da poter passare da un mondo all’altro senza problemi.
Col grettel, che si ottiene con una operazione particolare sul corpo, puoi inserire nella tua realtà, in una o nell’altra, chi vuoi.
Solo chi ha un pensiero limpido, però, può usufruirne».

Aramis, ovvero Maniùk, ascoltava in silenzio, annuiva serio serio, perché sapeva di avere una missione che era stata decisa molto prima che il suo corpo fisico scendesse sulla Terra.
Non tutti potevano, ora ricordava: occorreva molto esercizio, di vite e di anni, o il grettel sarebbe sfuggito al controllo e avrebbe creato una realtà distorta, pericolosa per sé e per gli altri. 
Quenciuk continuava a parlare. «Vedi Maniùk, chi avrai vicino nella tua vita terrena viene scelto da te, non solo prima di averlo a fianco, ma anche al momento.
La purezza di spirito è un requisito importante, perché se tu dovessi prendere una decisione per egoismo o per perseguire un piacere personale, o dei sensi, le persone coinvolte potrebbero soffrirne o anche ammalarsi e morire. Non accade a tutti, ma a te sì».

Maniùk rifletteva. Certo, si era riproposto di essere come un cavaliere antico, quello delle favole che la mamma gli leggeva alla sera, e sapeva bene cosa significasse avere dei valori. L’oro, l’argento, i diamanti non valevano nulla, mentre i valori erano la vera ricchezza e il vero potere.
«Maniùk, ora stai bene attento», continuò Quenciuk, mentre gli altri in cerchio intonavano prima sottovoce e poi con tono più alto quello che sembrava un lungo fischio, che gli entrava nelle membra facendo vibrare tutto il corpo.
«Il copricapo che hai è del prescelto, è formato da quelli che sembrano fili inanimati, ma sono invece senzienti. Amplificano tutto ciò che è attorno e può causarti del bene o del male, insieme alle energie terrestri e celesti che vanno mescolate con saggezza per ottenere il passaggio.».

Oltre la porta del tempo
Foto di 李磊瑜伽 da Pixabay.

A Maniùk tutto era chiaro. Certo, non poteva essere che così.
«C’è bisogno che tu abbia anche un corpo umano, altrimenti le energie del pianeta su cui siamo non possono fare da tramite. Il nostro e questo hanno due sistemi fisici, matematici e vibratori diversissimi, quindi per ottenere un unico denominatore comune occorre un translatore, ovvero un insieme che abbia un potere senziente, volontà, un animo puro: le nostre origini ma anche elementi umani.

Tutto questo messo insieme ti permetterà di entrare in quella porta che ad un umano, centrifugato nel DNA con una componente nostra e un 85% terreno, non è visibile».

Quenciuk era pronto. Il fischio diventava sempre più forte, e a quel punto Aramis si svegliava piangendo, non perché fosse spaventato, ma frustrato e disperato di non aver portato a termine la missione assegnatagli e di essere in panni umani, addirittura di un umano piccolo e bisognoso, non autonomo come invece si sentiva dentro.
Era grato ai suoi genitori che ragionavano con lui come con un adulto, a differenza di altri che trattavano i loro bimbi come scimmiette, dicendo: «Tanto è un bambino e non capisce».
Piangeva e la mamma correva a consolarlo. Le raccontava il sogno ed era preso molto sul serio. In genere si riaddormentava e non ci pensava più.

Oltre la porta d’oro, proprio quella del sogno

Ora si avvicinava alla porta nella roccia e gli sembrava di essere nel sogno. Attorno a lui la zona desertica era sparita, c’erano piante rigogliose, soprattutto felci e palme gigantesche, gigantesche dracene.
La porta era ricoperta d’oro, brillava ed era giorno, si vedeva un cielo azzurro violetto con due soli alti nel cielo.
Osservò meglio: c’erano simboli geometrici tutto attorno alla porta e tre grandi simboli al centro. Come nel sogno Quenciuk gli si fece incontro e gli posò il Cerws, questo il nome del copricapo argenteo, sul capo. I fili iniziarono ad ondeggiare.

Oltre la porta del tempo
Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Attorno a lui i personaggi che già conosceva si inchinavano e intonavano lo zzz prima e il fischio a tre note poi.
Questa volta Maniùk si avvicinò alla porta, istintivamente posò le mani sui simboli, ed ecco che dai suoi palmi vide uscire una luce fortissima azzurra, come quella dei lampi prima del tuono, azzurra di un azzurro indicibilmente bello.
Posò con delicatezza le mani sui primi due simboli, poi sul secondo e sul terzo insieme di nuovo e ancora lo rifece con un rituale che sapeva di conoscere, mentre leggero danzava senza muoversi dal posto.
Il Cerws si allungò, tutti i fili si tesero verso la porta, dalla quale uscì un Cerws in oro che iniziò a intrecciarsi con quello argenteo in una danza elegante e delicata.
Gli sembrava emettessero una musica, sicuramente si stavano scambiando informazioni e codici.

Lentamente il portale si schiuse. Lasciandosi alle spalle i sacerdoti in cerchio, Maniùk entrò.
Con un colpo secco la porta si richiuse.
Di fatto non c’era stata nessuna apertura come si intende di una porta terrena, né chiusura, perché Maniùk era semplicemente passato attraverso come quando si immerge la mano in acqua zuccherata, una materia densa ma che si lascia penetrare.
Il suo corpo si era fuso allo stesso modo, ma ancora aveva una parte terrena che aveva bisogno di razionalizzare e sentire una porta aprirsi e chiudersi.

Foto di Nika Akin da Pixabay

Davanti a lui c’era un grande spazio circolare, che gli apparve prima come una nebbia, poi con tante lucine minuscole, come lucciole, verde chiaro, luminosissime. Le luci diventavano sempre più numerose e intense, l’ambiente si poteva definire come con un’estensione di almeno dieci chilometri quadrati: sembrava in espansione continua. Più Maniùk lo guardava, più diventava grande, immenso.

«Ed ora dove vado?», si disse. Avanzò di qualche passo. Il mantello che indossava aveva preso a luccicare con minuscole luci blu azzurrine, che sembravano comunicare con quelle verdi. «Se sono qui, ho una missione, ma non ricordo che mi abbiano mai spiegato di cosa si tratta».

Maniùk si sentiva bene, l’ambiente era tranquillo e accogliente, sembrava avere una sua fluidità, come se fosse in continua trasformazione. Avanzò verso il centro, estasiato dalle lucine che danzavano, ma a un certo punto si sentì cadere sempre più in basso, sempre più veloce, con una sensazione di vertigine. Il terreno era bianco, come camminare sulla nebbia o su una nuvola, solido, ma non si poteva capire se ci fosse una discontinuità di solidità.
Non poteva accorgersene, per questo era caduto in una buca che si stava rivelando profondissima. Sprofondò per un periodo imprecisato, che gli sembrò lunghissimo, sempre più veloce, quando ad un certo punto sentì sotto i piedi come un morbidissimo cuscino.

Tutto era bianco e indistinto. Guardò davanti a sé. C’era un vecchio che sembrava il Mago Merlino del libro di favole che gli leggeva la mamma da piccolo, quello con le gesta di Re Artù, il suo preferito.
«Buongiorno Maniùk», disse Merlino. «Ben arrivato». Maniùk era un po’ disorientato, ma non lo diede a vedere. «Buongiorno Mago Merlino», disse con reverenza. «Sei Mago Merlino?».
Il vecchio, dai lunghi capelli bianchi, lunga barba anch’essa bianca ed una lunga veste azzurra con figure in oro ricamate, lo guardava divertito.

«Mio buon Maniùk, ricordi cosa ti ha detto Quenciuk?». Maniùk non si ricordava in quel momento, ovvero si ricordava ma non sapeva quale sarebbe stata la risposta giusta. Il mago proseguì e lo tolse d’impaccio. «Quenciuk ti ha sempre detto che puoi forgiare la tua realtà. Qui non sei in un mondo terreno, è una specie di Terra di Mezzo nella quale le vibrazioni del mondo dal quale provieni e della Terra si incontrano. Siccome è fluido, quello che tu pensi si avvera.
Il modo più semplice di parlarti e di farti capire quanto ti vogliamo trasmettere è proprio apparirti nella forma di Merlino. Il mio nome è Markantus, ma se lo preferisci puoi continuare a chiamarmi Merlino.»

Maniùk si ricordò che doveva avere un pensiero puro, senza aspettative.
«Buongiorno Markantus», disse rispettoso. Bastò pronunciare il nome ed ecco che la forma di Merlino sparì lentamente per trasformarsi in un personaggio molto alto, blu, con occhi grandi, una bocca piccola, un naso solo accennato ed una pelle liscia, senza peli o capelli, lucida. Null’altro addosso.
«Ora ti vedo, penso di vederti come sei».
Markantus non diede risposta e proseguì. «Tra poco avrai bisogno di avere con te Arabella e Lino, ma lascia che ti faccia vedere il motivo per il quale sei venuto». Il timbro di voce di Markantus era diverso, più alto e metallico, non solo l’aspetto.

Nel centro del lago Titicaca

Una veduta del lago Titicaca.

Entrarono in uno spazio enorme, quindi scesero, o almeno a Maniùk sembrò una discesa, in uno spazio più ristretto, dai bagliori rossi. Al centro c’era quella che sembrava una macchina, con uno schermo ovale posto in orizzontale che faceva vedere immagini tridimensionali in continua trasformazione.
Maniùk poteva decifrare solo i colori: blu deciso, rosso fuoco e verde. Ogni tanto usciva quello che sembrava fumo. Si sentiva un rumore di sottofondo.

«Questo, Maniuk, è il centro del lago Titicaca. Gli abitanti lo ritengono a ragione un luogo magico. Gli antichi saggi erano molto più avveduti di quanto si possa pensare, quello che oggi viene fatto passare come ingenua superstizione era sapienza antica, grande sapienza. Tu arrivi, come noi, da un pianeta oltre Orione. La Terra in tempi antichi è stata da noi creata e colonizzata.
Gli esseri umani sono stati creati come esperimento, per vedere se si potesse creare un sistema che sopravviveva a se stesso e degli esseri che potessero dare un contributo alla Federazione planetaria. In realtà in quel tempo la Federazione ancora non esisteva, ma questo è un discorso complesso, che implica il concetto di assoluta relatività e inesistenza del tempo terrestre e non solo.»

Maniùk si era seduto su uno scranno simile a quelli del Tempio della Fertilità e ascoltava attento. Markantus proseguì. «L’esperimento ad un certo punto è sfuggito di mano, perché gli umani si sono accorti di poter fare a meno di essere comandati. In realtà è andato oltre le aspettative. Popolazioni di altri pianeti hanno però deciso di impossessarsi della Terra e del suo contenuto vivente, perché quella che voi chiamate anima è un materiale utile che su molti pianeti manca.
Per intenderci, è come l’uranio o il litio o l’oro sulla Terra. Molti ucciderebbero per averne sempre di più. Per farla breve, ci fu una guerra, tra chi voleva e vuole impossessarsi delle anime e tra chi invece vuole vedere se proprio queste anime riescono a raggiungerci staccandosi alla fine dal corpo terrestre, questo solo quando hanno compiuto un numero prestabilito di quelle che chiamate buone azioni, insomma si sono purificate.
Tra gli umani veri esistono ibridi: c’è chi è dei nostri, come sei tu, ma anche coloro che arrivano da pianeti predoni di anime hanno i loro ibridi.»

Maniùk ascoltava paziente, ma continuava a chiedersi cosa avrebbe dovuto o potuto fare lui.
Markantus proseguì. «Questa che vedi è una macchina. Controlla le energie di scambio al centro del lago Titicaca, e siccome nel mondo tutto è collegato con un’energia molto più potente di quella che chiamate quantica, tutte le acque del pianeta hanno beneficio se qui tutto è in pace e ordinato».
Maniùk sapeva dell’energia quantica, aveva letto Gregg Braden ed altri autori, ma non riusciva ad immaginare qualcosa di più immediato e potente.

«Dunque, per quanto ne so, per energia quantica si intende un passaggio di energie e di informazioni anche da una parte all’altra del mondo, immediato. Quale energia potrebbe essere più potente?»
Markantus paziente rispose: «Questa energia contiene un filo senziente del nostro DNA collegato a quello umano, quindi agisce non solo sul piano fisico, ma anche su quello eterico, astrale, e sul nostro pianeta.
Il sistema, come ti dicevo, è regolato da questa macchina, che ha però bisogno di un ponte umano per essere messa a punto, soprattutto in periodi difficili come questo, nei quali le energie del mondo, come voi lo conoscete, vengono messe a soqquadro.
Si parla tanto di aumento della vibrazione, ma è solo una parte della verità, perché se non viene ripristinata e messa a punto, incrinerà l’asse terrestre e la rotazione del pianeta.»

Markantus tacque e guardò Maniùk con attenzione, fissandolo con i profondi occhi scuri dalle palpebre blu, sottili e schiuse.
«Markantus, sono pronto a fare ciò che mi chiedi. Sarà pericoloso?»
«Sì, un grado di pericolosità c’è sempre, e in questo caso grande, ma il beneficio ottenuto vale il rischio, e noi faremo in modo di proteggerti. Ora è il momento di chiamare Arabella e Lino Alserio».
«E come?», chiese Aramis. In quel momento si sentì un rombo di tuono e Markantus sparì. Aramis si era ricordato del suo nome terrestre, questo era bastato a cambiare stato vibrazionale.
Provò a dirsi che si chiamava Maniùk, ma nulla succedeva, solo una nebbia bianca tutto attorno a sé. Che fare ora?

(2a puntata – continua)

Foto di copertina di Stefan Keller da Pixabay

1a puntata: Aramis e il viaggio nel tempo

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Laureata in Lingue e Letterature Straniere, diplomata in chitarra classica e in chitarra ad indirizzo liutistico, si interessa da sempre a tutte le discipline che possono aiutare a definire la conoscenza della persona e il miglioramento dei rapporti sociali e dello stile di vita di ciascuno, nonché alle arti in generale. Le piacciono la storia, i castelli ma anche i monumenti del Neolitico, i misteri irrisolti e tutto quanto può arricchire il patrimonio interiore.