Aramis e il viaggio nel tempo

Racconto di una vacanza, forse immaginata, forse vissuta, con un tuffo nel mistero

di Donatella Galletti. Era un viaggio di piacere, alla scoperta delle vestigia Inca. Ma il mistero li attendeva ad Aramu Muru.

Erano quasi arrivati a Chucuito. Arabella e Aramis erano appassionati di cultura Inca ed erano arrivati in Perù per visitare i siti archeologici più significativi. Quel giorno avevano prenotato un tour che li avrebbe portati a vedere la misteriosa porta di Aramu Muru. Si erano alzati presto, perché il pullman sarebbe arrivato alle sette e mezzo a Chucuito, un grazioso villaggio tipico, e dopo un’ora avrebbero visitato Amaru Muru.

Aramis e il viaggio nel tempo
Chucuito (Perù). Tempio della Fertilità.

Ancora assonnati, erano stati portati al Tempio della fertilità, dove si ergevano numerose pietre di forma fallica. Arabella sospettava che si trattasse di un espediente per turisti e le veniva un po’ da ridere: prima non aveva mai fatto caso in città come i paracarri fossero dopotutto simili a questi e di forma fallica.

Nel giro di qualche migliaio di anni sarebbe arrivato uno studioso a dire che le città italiane erano di tipo patriarcale e, visto il calo delle nascite, erano stati posti dei monumenti particolari che.. Il suo pensiero venne disturbato dalle chiacchiere vuote dei suoi compagni di gita.

L’atmosfera era colma di sacralità, spezzata dai numerosi turisti che fotografavano e si facevano selfie senza pensare che quel luogo doveva essere stato per pochi e rispettosi visitatori, probabilmente precluso alle masse.
Sbirciò il marito, che guardava lontano, verso il perimetro del tempio.
«Arabella, che ne pensi di quelle mura? Sono megaliti, guarda i bordi smussati e come si incastrano l’uno nell’altro con delle curve. Sembra plastilina».
Arabella guardò con più attenzione. «Sì, hai ragione, mi sembra un bel mistero. I falli avrebbero potuto sagomarli meglio, con quella tecnologia».

Aramis e il viaggio nel tempo
Foto di Chbec da Pixabay

La guida stava dando qualche spiegazione: non si sapeva esattamente come le mura fossero state costruite, ma era inequivocabile che il tempio fosse della fertilità; e c’era una lunga tradizione, che arrivava ai giorni nostri, di donne che dopo aver visitato il luogo rimanevano finalmente incinte.
«Anche da noi ad Aosta e in Piemonte ci sono rocce che hanno quelle proprietà per tradizione. Una addirittura è in una chiesa, forse un antico tempio pagano».

Chi parlava era un giovanottone biondo, che si era rivolto ad Arabella. Era alto, occhi azzurri, un sorriso smagliante e cordialità che traspariva da tutti i pori.
«Mi dica di più, mi interessano i riti antichi», disse Arabella.
«Bè, in tutte le civiltà assicurarsi che la razza sopravvivesse è sempre stato di vitale importanza. Anche in Inghilterra ci sono siti megalitici con pietre dedicate alla fertilità, per non parlare del culto della Dea Madre in Sardegna e in altre parti di Italia e del mondo».

La guida li stava portando da un venditore di street food (ormai il termine era arrivato anche lì) e si comprarono qualcosa per colazione. Giusto il tempo di prendere un boccone e già dovevano salire sul pullman che li avrebbe portati ad Aramu Muru.
Salì con loro anche il visitatore prodigo di spiegazioni. Con un gran sorriso porse ad Arabella la mano da stringere. «Permette? Lino Alserio».
Arabella ricambiò la stretta. «Piacere, Arabella. Questo è Aramis, mio marito».

Sulle tracce degli antichi Incas
Aramis strinse la mano a Lino con curiosità. «Anche lei sulle tracce degli antichi Incas?».
«No, molto di più. Vede, secondo me non era possibile costruire dei megaliti con gli attrezzi dell’uomo preistorico. Deve esserci una parte di storia che va riscritta. Ormai le persone hanno modo di guardare materiale video online, di leggere in parecchie lingue e alcune spiegazioni come ce le hanno sempre date non sono più credibili».

«Non le dò torto», disse Aramis. «Credo che ormai la soluzione sia affidarsi a se stessi, a quanto si percepisce come vero. A volte ho come la sensazione di aver già visto certi posti, non so se in sogno e di sapere intimamente che quello che raccontano le guide non corrisponde a verità».
«Ah davvero!», si entusiasmò Lino. «Anch’io, sa, leggo parecchio, ma alla fine è quello che sento dentro, che mi dà la risposta».
«Va bene, ma la scienza, l’archeologia e lo studio accurato di anni dove li mettete? Non sì può certo trascurare», disse Arabella.

Aramis e il viaggio nel tempo
Hayu Marca, Valle degli Spiriti.

Ormai non aveva più voce in capitolo. I due uomini si erano incamminati insieme davanti a lei sul sentiero brullo e parlavano fitto fitto, come amici di vecchia data, dimentichi della sua presenza. Attorno c’era poca vegetazione, erano in alto, non c’era molto ossigeno e sarebbe stato meglio risparmiare il fiato.
In fondo si stagliavano dei monti, a cornice di una terra arida e senza rocce, quasi sabbiosa. L’unica roccia era quella che stavano andando a visitare, di colore rossiccio, liscia, sembrava che ci fosse un portale riscoperto solo in tempi recenti, neanche cinquant’anni prima.

«Siamo sulle montagne di Hayu Marca», disse Juan, la guida, mentre il gruppo si era riunito. «Il lago Titicaca, il più alto del mondo, è a pochi chilometri da noi e quando la porta che stiamo per vedere fu creata, lambiva la roccia. Il luogo in cui siamo è anche chiamato Valle degli spiriti, perché ci sono parecchi monoliti che assomigliano a persone o animali. La porta che stiamo per vedere si chiama Puerta de Hay Marca, ovvero degli Dei. Secondo la leggenda, gli eroi potevano passare nella città degli Dei proprio attraverso questa porta».

Il gruppo si avviò in quella direzione. La roccia era verticale, liscia, con due grandi scanalature ai lati e una piccola rientranza scavata in modo geometrico. «Che lei sappia, qualcuno è mai riuscito a passare attraverso questa porta? A me sembra molto solida, e non vedo perché darsi tanto da fare per creare una porta che è solo disegnata», disse un turista americano e si avvicinò alla porta bussando nella roccia per dare prova della solidità della stessa.

Aramis e il viaggio nel tempo«Sì, c’è una leggenda in proposito, che si è tramandata di padre in figlio.
Quando sono arrivati i Conquistadores, gli Incas hanno capito che il loro regno era finito e le forme dì sacralità sarebbero state distrutte, l’oro saccheggiato. Un sacerdote del tempio dei Sette Raggi scappò con un disco d’oro massiccio, con simboli incisi. Era sacro e si chiamava “La chiave dei Sette Raggi”.

Arrivò alla porta, che era guardata a vista da due sciamani, e fece con loro un rito segreto: appoggiò il disco d’oro nell’incavo rotondo che vedete nella roccia e…».
«Ah sì, certo», lo interruppe l’americano. «Mi lasci indovinare. La porta si aprì, un raggio blu lo avvolse e trovò la mitica Città dell’Oro. Indiana Jones insegna».
Juan era contrariato, ma non lo diede a vedere. Prendersi gioco delle tradizioni e leggende locali non era rispettoso e il turista era chiaramente ironico. Sospirò. Era così che poteva guadagnarsi da vivere.
«Sì signore, non ho altro da aggiungere, tranne che il sacerdote si chiamava Amaru Meru, è andata proprio come dice lei. È possibile che il termine “americani” derivi dal nome del sacerdote. Ora dobbiamo proseguire il nostro tour, perché sta arrivando un altro gruppo».

Juan avrebbe potuto parlare per ore e raccontare di tanti incontri e leggende, ma il tour prevedeva non più di mezz’ora di sosta e quegli zoticoni non meritavano altro. O zoticoni, o saccenti, come quel biondino che neanche lo ascoltava. Rimaneva una cittadina, Juli, detta “la piccola Roma” per le sue chiese, e per mezzogiorno sarebbero rientrati a Puno, fine del tour.

Le isole galleggianti del lago Titicaca
«Che ne dite di andare a mangiare qualcosa insieme?», chiese Lino ad Arabella e ad  Aramis. «Conosco un locale tipico che non vi deluderà». I coniugi acconsentirono. Davanti a piatti di pietanze coloratissime e invitanti, Lino chiese loro se avessero mai sentito parlare delle isole galleggianti del lago Titicaca.
«No, ma che significa?», disse Arabella. «Tutte le isole galleggiano».
«No», rispose Lino. «Le isole possono essere connesse al fondo marino, ma queste sono artificiali, costruite in tempi remoti».

«Quanto remoti? Intendi come barche?», chiese Aramis incuriosito. L’avventura lo attirava. «Remoti intesi come preincaici. Delle tribù pacifiche, minacciate dagli Incas, che erano parecchio sanguinari, decisero di fuggire in mezzo al lago e restarci, ma non potevano vivere in piccole barche. Usarono quindi un particolare tipo di canna, prendendone la zolla con le radici, per creare il fondo dell’isola, spesso tre metri, e stesero tanti e tanti strati di canne sopra, usando sempre canne per costruirsi capanne e oggetti utili. I loro discendenti ancora vivono sulle isole, si chiamano Uros. Le canne sono di totora, una canna palustre».

«Caspita, interessante». Aramis e Arabella si guardarono con uno sguardo d’intesa. Si doveva andare per forza, imperdibile. «Un’isola si costruisce in due mesi e dura quindici anni».
«Quando partiamo? Sai già come fare?», chiese Aramis.
«Sì, lo stavo già programmando, si può dormire sull’isola ospitati da una famiglia».
Detto fatto, partirono.

Il lago, con i suoi 190 chilometri di lunghezza, era splendido

Foto di PublicDomainPictures da Pixabay.

Gli Uros, a contatto con gli stranieri, stavano ormai perdendo la lingua e le tradizioni originarie, ma avevano una serenità nei tratti che era data da una vita semplice a contatto con gli elementi.
Ricordavano una innocenza perduta e facevano immediatamente notare come una vita cittadina avesse forgiato l’uomo facendone quasi un automa.

 

La famiglia con la quale si erano trovati a vivere e dormire Arabella e Aramis era particolare: era una giovane coppia con due bambini, tutti sorridenti. La madre svolgeva le faccende domestiche con serenità, emanava una specie di vibrazione che era come una musica calmante, che si poteva percepire avvicinandosi. Il padre pescava e portava il pesce da cucinare. Parlava un discreto inglese. Aveva guardato a lungo negli occhi Aramis, e si era deciso a parlargli in modo schietto. «Aramis, tu vieni da lontano».

Aramis pensava si trattasse di conversazione cortese.
«Sì, certo, vengo dall’Italia, è molto lontano, non all’altro capo del mondo, ma quasi».
«No, non intendo questo. C’è il concetto di lontano, e lontano. Uno si intende in senso fisico, ma l’altro è più ampio. Come vedi, noi siamo abituati a vivere su una terra che non ha legami, sta leggera sopra una superficie di acqua e non potrebbe essere altrimenti. Il lago Titicaca è magico».

Aramis, iniziava a interessarsi. «Vedi, mio padre è uno sciamano, oggi verrà in visita, e voglio fartelo conoscere. Mi ha insegnato tante cose, ma al giorno d’oggi non vanno rivelate. Vedi quanta superficialità c’è tra i turisti e anche tra quelli di noi che si vendono al denaro. Ballano, cantano, per due soldi, disprezzando i turisti, perché calpestano il sacro suolo che abbiamo costruito e non appartiene loro. Tu hai rispetto». Aramis ora lo guardava più attentamente. Gli occhi di Ki, così si chiamava, erano scuri e profondi, occhi che sapevano. Con la distrazione del turista, prima non lo aveva notato.

«Vedi Aramis, un viaggio, qualsiasi viaggio, è sempre all’interno di se stessi e di altre persone. Ogni incontro è significativo, se l’occhio vede e il cuore sente«. Aramis annuì. «Tu sei stato qui altre volte, forse te ne ricordi e per questo dovevi tornare.
Il lago Titicaca è il luogo sacro degli dei e nelle sue profondità custodisce tesori inimmaginabili. I tesori non sono solo oro e smeraldi, come voi europei potreste immaginare, ma i resti di una città che fu e che vive ancora allo stesso tempo. È come se fosse uno specchio».

In quel momento arrivarono i bambini e Ki corse loro incontro. Si parlarono nella loro lingua. Aramis, non sapeva come, ma capì che stava arrivando il nonno.
Yif, il nonno, scese da una piccola barca, per metà vestito in abiti tradizionali e per metà all’occidentale. Emanava un’aura di serenità e saggezza. Ki gli presentò Aramis, tradusse poche parole di convenevoli, poi Yif e Aramis si sedettero uno di fronte all’altro, in posizione di meditazione.

Ad Aramis sembrava che gli arrivasse un mormorio, un brusio piacevole che componeva un discorso, insegnamenti, anche se al momento non li capiva.
Arabella e Aramis avevano una stanza per loro, nella casa della famiglia. Sul letto era stesa una coperta coloratissima, fatta a mano.

Quella notte Aramis fece un sogno stranissimo e colorato, con colori vividi
Volava sopra il lago e vedeva esseri semitrasparenti che uscivano dalle acque e gli facevano cenni di seguirlo. Si immergeva con loro e andava giù, sempre più giù nel profondo dell’acqua azzurre, fino ad arrivare ad una specie di camera fatta d’aria rosata, leggera, inebriante.

Era come aria di felicità. L’attraversava, volando con loro, finché arrivavano ad un cancello d’oro, tutto lavorato finemente con motivi geometrici e simboli mai visti, sembrava scrittura, alcuni simboli si ripetevano.
Degli esseri blu, semitrasparenti e fluttuanti, lo accolsero, gli diedero un casco verde, come quelli dei palombari, due antenne rosse da indossare sopra il casco, e degli scarponi blu, che lo tenevano sul fondo e lo facevano camminare come pattini sui pavimenti lucidi e dorati del palazzo in cui erano entrati.

Il pavimento era come piastrellato e si vedevano varietà diverse di oro: tutto luccicava.
I muri erano tempestati di smeraldi e topazi blu, che formavano motivi geometrici, inserite in quelle che sembravano foglie di piante che in modo aggraziato si piegavano, d’oro anch’esse.

Proseguì per quello che a lui sembravano chilometri, sempre seguendo quegli esseri. Non era stanco, aveva una strana euforia, serenità, si sentiva benissimo e vitale come un bambino di due anni. Vide sotto di lui una cupola con edifici e strade, persone nelle strade, tutto era d’oro e sembrava illuminato dal sole al tramonto.
Gli esseri blu si disposero al suo fianco, come due guardie, si fermarono e gli fecero cenno di proseguire, doveva proseguire da solo.

Gli venne incontro una donna tutta d’oro, dai lunghi capelli, i cui tratti gli ricordavano Arabella. Gli fece cenno di seguirla. Si trovò a poco a poco a riemergere, vide una porta che sembrava di un tessuto elastico attraversabile.
Passò, con la sensazione di materia che si apriva e richiudeva attorno e dentro di lui, si voltò e vide la porta di Aramu Muru.
Il canto del gallo lo svegliò all’improvviso. «Arabella, dobbiamo tornare subito ad Aramu Muru».
«Sì, hai ragione, prima o poi dobbiamo tornarci.» Annuì Arabella. «No, subito» Le raccontò del sogno. Raccontò anche a KI quanto aveva visto, che gli sembrava essere più reale del reale.

«Sei un puro, è giusto che tu vada», disse Ki. «Mio padre mi ha confermato che avevo visto bene, la tua strada è lì».
Aramis chiese ad Arabella di invitare anche Lino e i tre, una volta lasciata l’isola, tornarono ad Aramu Muru da soli, senza guida, per potersi fermare quanto volessero.

La Puerta de Hay Marca

Avevano noleggiato una tenda per potersi fermare la notte ed ammirare la luna piena che sorgeva da dietro la roccia e si levava nella stessa direzione delle linee oblique. Le ore passavano. A un certo punto Aramis sembrò andare in trance. Si avvicinò alla porta nella roccia. Arabella e Lino tenevano gli occhi su di lui, in parte sorpresi dal suo modo di camminare, solenne e ieratico.
Aramis si avvicinò sempre più alla roccia cantando una cantilena in una lingua a loro sconosciuta, emettendo suoni alti e poi gutturali, ma in un insieme gradevole, sia pure strano.

Entrò nella porta, alzò le mani a toccarla
La luce della luna si rifletteva sui suoi capelli dando un riflesso argenteo e azzurrino. Emise un lungo fischio. Lo videro sciogliersi a poco a poco, diventare uno con la roccia e svanire al suo interno.
Attorno alla luna c’erano ora sei altre piccole lune luminosissime, che iniziarono a ruotare sempre più forte, emettendo un fischio. I due guardavano sbalorditi, a bocca aperta. Videro dei coni di luce scendere verso di loro, avvolgerli e…in meno di un minuto il luogo era deserto, non c’era più traccia di esseri umani.

(Vuoi sapere cosa succederà? Leggi il prossimo numero)

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Laureata in Lingue e Letterature Straniere, diplomata in chitarra classica e in chitarra ad indirizzo liutistico, si interessa da sempre a tutte le discipline che possono aiutare a definire la conoscenza della persona e il miglioramento dei rapporti sociali e dello stile di vita di ciascuno, nonché alle arti in generale. Le piacciono la storia, i castelli ma anche i monumenti del Neolitico, i misteri irrisolti e tutto quanto può arricchire il patrimonio interiore.