Il senso della lotta per Eracle

Affrontare con coraggio le paure, come gli eroi, aiuta a conoscere meglio se stessi

Peter Paul Rubens. "Eracle e il lone di Nemea". Museo nazionale dell’arte della Romania

di Massimo Biecher. Cosa rappresentano i simboli che compaiono nella descrizione della lotta di Eracle con il leone di Nemea.

Fabio Massimo Biecher.

Nei due numeri precedenti, avevamo analizzato singolarmente le figure di Eracle del Leone di Neméa dove, come in passato, il modello di riferimento con cui abbiamo affrontato il nostro studio è quello proposto da James Hillman, secondo il quale, dietro ai miti dell’antica Grecia, si nasconderebbero allusioni e riferimenti alle dinamiche della psiche.

Anche in questo caso si possono reperire diverse versioni del medesimo racconto, ma qui ci limiteremo a riportare la versione di Pseudo Apollodoro, che ci riferisce che l’eroe, dopo essere stato incaricato da Euristeo di procurargli la pelle dell’invincibile leone di Neméa, si mise in cammino. Durante il viaggio, si ferma i un paese di nome Cleone.

Lì viene ospitato da un uomo di nome Molorco, il quale, per onorare la Xenia, la legge morale che imponeva di onorare un ospite, gli offre un sacrificio in suo onore.

Eracle invece chiede di posporlo di 30 giorni, il tempo da lui ritenuto necessario per compiere la missione. Giunto nei pressi di Neméa scoccò alcune frecce, che però non riuscirono a trapassare la pelle del mostro e infastidito, si rifugiò nella sua tana, dove Eracle lo rincorse e soffocò con la sola forza delle mani.

Al termine della lotta, l‘eroe scuoiò il leone e indossò la pelle, quindi si addormentò per 30 giorni al termine dei quali andò prima a Cleone dove assieme a Molorco fece il sacrificio ed infine a Tirinto, dove Euristeo, sorpreso dalla vittoria e temendo per la sua incolumità, impedì a Eracle di entrare in città.

Chi era Molorco?

Il senso della lotta per Eracle
Correggio: “Molorco fa un sacrificio a Ercole”

Del medesimo racconto, ci siamo imbattuti in due traduzioni leggermente diverse. Una dice che “[Eracle] venne ospitato presso un uomo povero, Molorco”,  l’altra, “[Eracle] si fermò presso la casa di un garzone, Molorco”.

La natura polisemica del greco antico genera spesso queste discrepanze ed allora abbiamo recuperato il testo originale, dove ed abbiamo verificato che il termine che ha destato in noi sospetti è keretes che, a seconda dei 3 vocabolari da noi consultati, vuol dire sia povero, misero, indigente, ma che letteralmente, secondo il vocabolario LSJ, significa “colui che vive del lavoro delle proprie mani”. Mani che costituiscono un simbolo ricorrente in questa storia.

Molorco pertanto, metaforicamente parlando, è un individuo che conduce la sua vita in modo indipendente e senza “manipolare” il prossimo come fa Euristeo con Eracle.

30 giorni per portare a compimento la missione
Guidati dal motto che nei miti greci nulla è per caso e tutto è allegorico, ci siamo domandati cosa si nascondesse dietro a questo enigma. Ebbene, nella lingua dei popoli che si affacciavano sul mar Egeo, 30 si diceva triakonta che all’ascoltatore suonava qualcosa come “tre pali” o “tre pertiche”.

Se invece veniva rappresentato graficamente secondo il sistema allora in uso, la cosiddetta numerazione ionica, il segno  numerale che lo raffigurava era la lettera dell’alfabeto λ – lambda.  Secondo gli studi eseguiti da W. Deonna – l’archeologo svizzero, nonché direttore del museo archeologico di Ginevra – tutti i monumenti che possiedono un piedistallo a forma triangolare contengono riferimenti all’elevazione spirituale o all’anelito di ricollegare la terra al cielo.

Ora, se osserviamo il grafo che rappresenta la lettera lambda, esso può essere virtualmente inscritto all’interno di un triangolo con la punta verso l’alto (△), simbolo che sembra voler indicare il cielo e nel caso delle religioni, la divinità.
Dal punto di vista psicologico potrebbe rappresentare lo sviluppo o la crescita che si consegue dopo un percorso di conoscenza di sé, quello che conduce a conoscere noi stessi, la nostra vera essenza o, come direbbe Hillman, la nostra ghianda. Ma prima dell’ascesa ci deve essere una discesa.

La discesa nella caverna a due ingressi

Foto di minka2507 da Pixabay.

Vediamo quali elementi interessanti si ritrovano nel racconto della lotta tra i due. Dopo essere stato appena scalfito dalle frecce scagliate dal figlio di Zeus, l’animale il cui nome forniva una delle due radici che costituivano il sostantivo basileys cioè Re, si rifugiò in una caverna con due differenti ingressi.

Due sono gli elementi degni di nota. Il primo: gli autori del passato per indicare il luogo dove si era rifugiato il mammifero, avrebbero potuto usare i termini antron, tana, oppure spelaion, cioè  caverna o grotta. Perché invece hanno usato spelaion?

Dal glossario di speleologia, apprendiamo che mentre il primo è una cavità superficiale, spesso usata da uomini o animali per proteggersi, lo spelaion rappresenta una cavità rocciosa all’interno di una montagna, quindi un luogo che evoca per certi aspetti proprio i mondi sotterranei dell’anima.
Il secondo elemento riguarda il riferimento al fatto che la caverna del leone possieda due entrate. Questo indizio, all’interno del nostro contesto, sembra un’allusione al fatto che due sono i percorsi possibili che si possono intraprendere per conoscere se stessi. Uno che fa uso della ragione e che fa venire a galla il materiale inconscio mediante l’analisi delle esperienze che hanno riguardato i traumi o le sofferenze subite, l’altra che invece,  si avvale dell’immaginazione e dell’associazione libera di idee per portare luce dentro la psyche.

La colluttazione

Il senso della lotta per Eracle
Steve Reeves interpreta Ercole in un film del 1958.

Quando immaginiamo la battaglia di un eroe contro un nemico, viene spontaneo immaginare che il primo sia armato di tutto punto. Stando alle fonti che ne parlano, a Eracle per averne il controllo fu sufficiente la forza delle sue mani.

È troppo facile pensare che il semidio fosse un energumeno dotato di forza poderosa; ma noi, che amiamo leggere queste storie in trasparenza, cominciamo col ricordare che il leone simboleggia non tanto il re della foresta, quanto, come disse Jung, le forze selvagge e primitive e quegli istinti, che solo una persona padrona di sé è in grado di gestire, controllare o maneggiare.

Che la strada intrapresa sia quella giusta, ce lo conferma l’etimologia. Il sostantivo keir che incontriamo nei testi originali significa mano, pugno o braccio ed il verbo che da esso deriva è keirizo, vuol dire maneggiare, amministrare, gestire e controllare.
Fatte queste premesse, combattere il leone con le proprie mani equivale a dire che Eracle – malgrado avesse ucciso la propria moglie in preda all’ira indottagli da un incantesimo della matrigna Era – con questa prova aveva dimostrato a se stesso di possedere il dominio di sé e dei propri istinti.
È come se da questo racconto trasparisse che l’autocontrollo è un’attitudine che spetta a noi sviluppare e che nessuno ce lo può donare.

Atena aiuta Eracle

Il senso della lotta per Eracle
La Atena, dea della ragione, ma anche della arti, della letteratura, della filosofia, del commercio e dell’industria.

Ma la missione non è finita qui. Euristeo aveva preteso che gli venisse consegnata la pelle del felide e adesso per il figlio di Alcmena disarmato si pone il problema di doverlo scuoiare. Interviene allora Atena che gli suggerisce di usare le unghie dell’animale.
Il fatto che intervenga la dea che incarna la ragione, quindi la razionalità, ci suggerisce che Eracle giunge a questo risultato non tanto grazie all’intuito, ma tramite il ragionamento.

Qual’è il senso che sta dietro a tutto ciò ? Siccome è semplice intuire il collegamento con l’aggressività, riteniamo che gli antichi volessero farci intendere che l’energia istintiva e pulsionale non va usata contro di sé o gli altri, ma va sublimata e trasformata, mediante l’uso della ragione, in uno strumento che ci conduca alla conoscenza di noi stessi e quindi alla nostra evoluzione.
E difatti Ercole, che d’ora in poi indosserà la pelle del leone, sta proprio ad indicare che egli è colui che è in grado di dominare ed usare in maniera consapevole, l’aggressività. Non ne è succube.

Un tema simile lo avevamo incontrato qua do abbiamo parlato di Efesto, il quale, figura agli antipodi rispetto al fratello Ares/Marte, aveva trasformato la rabbia che covava verso la madre, guarda caso Era, per apprendere la tecnologia stato dell’arte di allora, la metallurgia, e diventare un costruttore di armi.

Eracle e la corona di sedano selvatico

Ruediger Dahlke.
Torwald Dethlefsen

C’è un’altro elemento singolare degno, di una seppur concisa, spiegazione. Il Kerenyi ci riferisce che l’eroe, dopo aver dormito per trenta giorni consecutivi, al risveglio indossa una corona di sedano selvatico: ci siamo posti la domanda se vi fosse un riferimento al mondo della psiche.
Se analizziamo il sedano selvatico dal punto di vista della fitoterapia, dando per scontato che le sue virtù terapeutiche fossero note anche tra gli elleni, scopriamo che tra le tante proprietà, ve ne sono alcune che possono tornare utili alla nostra indagine. Tra queste, sembra che esso agisca sui reni e, essendo sia antinfiammatorio che analgesico, ne migliori la diuresi.

Secondo gli psicoanalisti junghiani Dethlefsen e Dahlke, i reni dal punto di vista simbolico hanno a che fare con le relazioni e la socialità; e quando i reni non sono in grado di filtrare cosa che non è buono per noi, da un punto di vista simbolico è come se la nostra psiche ci stesse dicendo che il nostro rapporto con gli altri è divento tossico.
Ebbene, Eracle aveva avuto seri problemi di relazione, seppur sotto l’effetto di un incantesimo, con la moglie ed il figlio.

Il senso della lotta per Eracle
Baltimora. Ercole, scultura del 1 sec a.ch. conservata nel Walters Art Museum.

Se invece rileggiamo l’omicidio sotto una prospettiva diversa, ma soprattutto non letterale, è come se in quell’occasione Eracle avesse rinnegato sia il bambino che è in sé (Hillman lo chiamerebbe il puer), sia la moglie, ovvero l’Anima, che nel senso di archetipo junghiano rappresenta l’insieme delle qualità psicologiche femminili presenti nell’uomo, come l’empatia, l’ascolto delle emozioni, il sesto senso.
Il sedano pertanto ci indica che, scendendo in profondità di se stessi, se ne esce rappacificati e sereni (il bisogno di dormire di Eracle), capaci di relazionarsi con gli altri in maniera più rilassata e meno aggressiva con gli altri.

Il vero eroe è chi affronta le proprie fragilità

Come abbiamo potuto vedere, questa prima fatica, alla quale abbiamo dedicato già 3 approfondimenti, è ricca di insegnamenti e simbolismi utili per comprendere alcuni aspetti legati ad alcune nostre paure. Pur risuonando dentro ciascuno di noi in maniera diversa, come tutti i racconti mitici del resto, una aspetto prevale sugli altri, ovvero, che in questo episodio, Eracle incarna la figura di chi ha computo un salto di qualità.

Molti vasi e statue lo ritraggono con indosso l’inscalfibile pelle del leone, il che ci fa pensare che egli è diventato simile a un leone. Anzi come un basileus o, come dicevano gli antichi greci, un Re, il cui senso da un punto di vista etimologico vuol dire padrone di sé. Non è eroe chi, sprezzante del pericolo, affronta battaglie di ogni tipo, ma colei o colui che ha il coraggio di affrontare le proprie debolezze e le proprie fragilità.

Foto di copertina: Peter Paul Rubens “Eracle il leone di Nemea”- Museo nazionale dell’arte della Romania

Per saperne di più:
Pseudo Apollodoro da https://www.theoi.com/Text/Apollodorus2.html#7 [2.5.1] Glossario di spelologia
Francesco Perri “Dizionario di mitologia Classica” Garzanti
Karoly Kerenyi “Gli dei e gli eroi della Grecia” Il Saggiatore
Waldemar Deonna “Il triangolo sacro” Ed. Medusa
Dethlefsen – R. Dahlke “Malattia e destino” Ed. Mediterranee

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Ha studiato ingegneria elettronica, oggi è responsabile export. Migliora la sua competenza professionale approfodendo gli studi di economia, scienze comportamentali, psicologia e leadership. Mailto: massimo.biecher@icloud.com