di Donatella Galletti. Una fiaba racconta l’origine di questi simboli, che vediamo sui monili o i portali delle chiese.
Ormai erano in viaggio da molti giorni. Dovevano arrivare ad un santuario su una collina che dominava la valle. I piedi dolevano e dovevano fare attenzione ai lupi. Nei boschi si nutrivano di bacche e quando possibile cacciavano o pescavano.
Erano in gruppo: Edlum e sua moglie, due fratelli di lui, un fratello di lei, il figlio che iniziava ad avere la barba e il piccolo, molto malato.
Era caldo. Da dove arrivavano loro, nei monti del Nord, il clima era a volte stridente da sopportare, causava ferite che non guarivano, soprattutto se si rimaneva a lungo nella neve, ma era per loro usuale. Il caldo dava loro sensazioni sconosciute, simili a quando erano malati e non riuscivano a muoversi o sfamarsi. Era comunque una sofferenza.

«Edlum guarda!». Albila, scostando una ciocca di lunghi capelli rossicci dal viso, indicò una collina che era apparsa in lontananza. Un’aquila sopra di loro roteava, accompagnata da una compagna. Dopo essersi abbassate come per essere sicure di essere notate, si diressero verso la collina.
Edlum si rivolse dolcemente ad Albila, moglie e amata: «Mia cara Albila, forse le nostre pene sono finite. Come ci aveva indicato tuo padre, qui troveremo una potente sciamana, che sa parlare con le Ombre e le fate del bosco, e con tutti gli animali amici, e potrà guarire nostro figlio».
Albila scoprì il viso del bimbo, che portava all’interno di un telo agganciato al collo. Era bianco, pallido e dagli occhi lucidi di sofferenza. Lo accarezzò e con decisione proseguì. Gli altri uomini erano silenziosi, come meditabondi.
Sfruttare l’energia delle piante, del bosco o di correnti sotterranee…
Durante il cammino non bisognava sprecare energie, era loro stato insegnato fin da piccoli. La concentrazione dava una connessione che allertava immediatamente in caso di pericolo, dava loro la direzione da prendere, diceva se fosse il caso di fermarsi a cacciare. Alcuni di loro potevano anche aumentare la velocità e passare davanti agli altri come volando.
Era tutta una questione di connessione, si poteva sfruttare l’energia delle piante, del bosco o di correnti sotterranee, ma non tutti potevano. La conoscenza si stava perdendo. Il padre di Albila era molto bravo in questo, era una persona speciale, sempre pronto ad aiutare gli altri. Non poteva però aiutare il nipote; per questo li aveva mandati alla collina a sud, dando loro un importante talismano di protezione e pietre speciali da portare alla sciamana.
Le aquile li guidavano. Si fermarono ad un ruscello a dissetarsi e a bagnare la fronte che scottava del bimbo. Salirono infine per un sentiero che si inoltrava nei boschi. Dopo l’ultima curva videro una radura. Apparve la cima della collina, come spianata, con del fumo aromatico che colpì i loro sensi e sentirono dei canti in lontananza, che risuonavano al loro interno. C’erano delle persone, delle tende coniche fatte di pelli e di rami ed erba e fango pressati e un cerchio di grossi e poderosi pali nel terreno.

Presi dalla scena in lontananza, non si erano accorti di un recinto, fatto di pali di legno orizzontali. Due grossi uomini con la barba lunga e i capelli lunghi annodati sul capo li fermarono. Dissero loro delle parole, ma non capivano, non era la loro lingua. Yancek, il fratello di Albila si fece avanti. Fece dei gesti veloci con le mani e con il capo, gesti ai quali i guardiani rispondevano, lasciando però interdetti i presenti.
«Yancek, cosa hanno detto? Perché non ci fanno entrare, siamo sfiniti e il bambino soffre».
«Albila, dicono che questo recinto è sacro. Chi non è dei loro o non è purificato nello spirito non può entrare, perché vanificherebbe il contatto con gli Spiriti che hanno qui e renderebbe la zona impura».
Edlum era pronto a battersi, ma Albila lo fermò. Il padre le aveva ben insegnato le regole di certi luoghi, fin da bambina. I suoi occhi si volsero ai guardiani, dopo essersi fatta avanti, poi lo sguardo cambiò, volto verso l’orizzonte.
Sembrava che Albila non fosse più lì, c’era solo il suo corpo. Tutti i presenti la rispettavano in silenzio.
Dopo un tempo indefinito, videro avvicinarsi una donna con un abito lungo e stretto, color malva e tante collane di conchiglie al collo e denti di lupo. Tra i capelli aveva due lunghe piume di aquila. Le donne si guardarono e si sorrisero, la sciamana guardò il cielo e poi la terra, più volte.
Improvvisamente si annuvolò sopra di loro e iniziò un temporale con forti scrosci di acqua.
«Albila, sei riuscita a farti capire?». Edlum conosceva la moglie, ma questo suo aspetto per lui era nuovo. Era un uomo semplice, suo dovere era proteggere e sfamare la prole e fare in modo che crescesse forte e valorosa. Albila era di una famiglia di sacerdoti, a contatto con gli spiriti della natura. Si stupiva che avesse scelto lui come sposo, che lo avesse accettato. Buona parte di ciò che faceva rimaneva segreto e così doveva essere. Edlum sapeva che era per il bene della famiglia o altrui e lo accettava.
I poteri della sciamana
«Edlum, mi stai ascoltando?», disse Albila. No, si era perso nei suoi pensieri. La guardò come un guerriero, per darsi un tono, sguardo acuto, pronto e coraggioso. «La sciamana mi ha detto che il bambino ha bisogno di cure immediate e lo guarirà, ma che noi siamo impuri e non può guarire un membro di una famiglia di impuri. Per questo motivo ha fatto venire la pioggia che ci lavi corpo e spirito, e ci chiede di procedere a carponi fino alla sua tenda, perché questo terreno è sacro e va rispettato».

Albila passò il bambino alla sciamana, che lo prese delicatamente tra le braccia e si allontanò. Il resto della famiglia la raggiunse carponi, seguendo un percorso ad anello come era stato indicato, fino a che tutti furono davanti alla tenda. Lì Annjuk, la sciamana, li fece inginocchiare e formò con le dita dei segni sopra di loro, cantilenando motivi sempre diversi. Usò un liquido dorato per formare altre figure sulle loro fronti e sui cuori.
I guardiani, che li avevano seguiti, legarono quindi le caviglie insieme a ciascuno di loro e i polsi dietro la schiena. Il temporale e i fulmini sembravano sempre più forti.
Albila, paziente, spiegava agli altri il rito. «Dovete pensare che ciò che vediamo ora è ciò che siamo. Siamo legati ed impediti nei movimenti, noi crediamo di essere liberi, ma la mente ci tende tranelli e ci chiude nei suoi schemi. Un membro della nostra famiglia, mio figlio, sta male perché è destinato a grandi cose, ma non può crescere e svilupparsi finché noi non liberiamo l’aria attorno a lui e ci liberiamo da vincoli. Il mondo non può essere cambiato senza un intervento superiore e una mente assolutamente libera per riceverlo».

Proprio in quel momento un fulmine cadde a pochi metri da loro. Il frastuono era contemporaneo ed assordante. Non potevano scappare, legati mani e piedi. Annjuk si dondolava, con il bambino in braccio, sempre cantando melodie. Il fulmine aveva dato fuoco ad una piccola catasta di legna, si alzò un fumo fragrante.
Albila tradusse le parole di Annjuk per tutti. «Ora, legati come siamo, dobbiamo fare tre giri di tutto il pianoro, ben consci di cosa significhi essere limitati e limitare qualcuno.
I tre giri sono segnati da sentieri ben precisi. Se voi li poteste vedere dall’alto, vedreste un sentiero che si intreccia su se stesso parecchie volte, per tornare poi al punto di partenza. Ogni curva segna un numero in armonia con i pianeti ed ha un simbolo preciso, è una connessione. Ogni curva che faremo ci farà abbandonare un aspetto di noi stessi che ci limita.
Tornati al punto di partenza avremo compiuto un’operazione magica nel tempo.
Il cerchio con i pali sacri
Il cerchio con i pali sacri che vedete, collega le energie terrestri a quelle celesti, equilibrandole. Ogni palo è connesso agli altri da nodi invisibili, simili al percorso che stiamo per fare. A voi sembrano tutti uguali, ma qui sta il potere e l’energia del cerchio. La sciamana lo può attivare, o disattivare per protezione da estranei. La musica, insieme all’intenzione, sono forme di attivazione».

Inutile dire che tutti seguirono le istruzioni e il bimbo guarì.
Il luogo era quello oggi chiamato Cortazzone, dove sorge la chiesa di San Secondo.
I nodi celtici rappresentati sono un retaggio più antico di quanto si pensi. A un certo punto vennero ripetuti in modo estetico, senza più conoscerne il significato magico e profondo, da seguire con profonda reverenza. I visitatori portarono la conoscenza e i nodi più a nord, e poi ancora un po’ più a nord, finché arrivarono in Irlanda. Questa la leggenda.
In copertina. I nodi celtici raffigurati sopra una finestre della chiesa San Secondo, a Cortazzone (Asti)
La foto di copertina e quella della chiesa sono di ®Donatella Galletti
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