di Silvia Alonso. L’infelice storia di Felix, pagliaccio gentile, e di Astrid, malinconica e romantica pierrot.
C’erano una volta, in un verde campo sulle grandi colline toscane, una lunga distesa di allegri girasoli e proprio al loro fianco una piccola aiuola di malinconiche viole, che parevano confidare al vento il loro ricordo, come il velato lamento di un lontano dolore.
Se vi chiedete come possano coesistere in uno stesso campo dei fiori tanto diversi, per profumo e umore, sappiate che la storia di ogni essere vivente spesso nasconde misteriose velature, come a volte l’accostamento più impensabile di opposte tonalità di colore.
Il viola e il giallo, affiancati nello stesso prato, sprigionano una fantasia complementare, come se per una volta i raggi della luna si trovassero uniti a quelli del calore solare, affiancati nello stesso lembo di cielo, solo in apparente contraddizione.
Ecco dunque il misterioso segreto della loro storia
Tanto tempo fa, in due circhi molto famosi al mondo, vivevano un pagliaccio di nome Felix e un pierrot di nome Astrid. Le loro giornate trascorrevano serenamente in un susseguirsi di scherzi divertenti per il pagliaccio e di melodie struggenti per il pierrot.

Ogni mattina Felix si esercitava con la sua trombetta a intonare strampalate melodie che avrebbero fatto da accompagnamento alle sue scenette per regalare luminosi sorrisi al pubblico dei bambini.
Era quella la sua missione: per ogni sorriso regalato, riceveva in cambio un fiore che nelle sue mani si trasformava nuovamente in un gioco divertente, capace di generare altri sorrisi e così via, all’infinito. La felicità dei bambini era la sua realizzazione e il suo talento nel divertire i più piccoli era talmente potente che più volte era persino riuscito a guarire anche malesseri che sembravano senza speranza di soluzione.

Se il mondo di Felix era ricolmo di allegria, il pierrot Astrid preferiva invece vivere in un’appartata malinconia, trovando nella musica la sua fonte d’ispirazione. Trascorreva intere giornate componendo poesie e suonando il suo violino per accompagnare la danza dei ballerini e le acrobazie dei funamboli più temerari.
Il suo destino non era stare in prima fila a incantare il pubblico, bensì fare da spalla in disparte, con un tocco delicato, ai prodigi degli altri artisti che le erano grati per la sua dolce presenza, e in questo si sentiva realizzato.
Ma un giorno le cose cambiarono per entrambi
Sulla tenda del circo, al centro del cielo stellato dove aveva sempre brillato incontrastato il sole, si abbatté un nuvolone grigio denso di grandine, freddo e solitudine.
Felix, che era sempre stato campione di allegria e di episodi esilaranti, tanto da venire soprannominato il re dei pasticci, perse in poco tempo il suo leggendario buon umore, mentre Astrid, il cui talento musicale era diventato famoso in ogni circo, non riuscì più a suonare.
Fu veramente un bel problema, e presto sui due artisti non tardò ad abbattersi la catastrofe.
Lentamente, le grandi scarpe bombate del clown, alle cui estremità spuntavano i colorati calzini di sempre, apparvero sbiadite, come se si fossero riempite di ragnatele e di grigia polvere. I suoi pantaloni rattoppati con stoffe di fortuna sembravano ormai inutili, così come l’immancabile gilet a quadri e il cappello a bombetta dal quale spuntava, ormai senza vita, un enorme girasole, il suo inseparabile amico.
Presto il pagliaccio cadde in una specie di sonno, diventando vittima di una nuvola sottile che adombrò le sue giornate, una specie di malattia invisibile che tra gli adulti viene oggi chiamata depressione.
In realtà non ne era lui il responsabile: il problema stava nel fatto che il mondo gli era cambiato troppo in fretta sotto ai piedi e lui non era stato capace di adattarsi a quel giro di giostra che sembrava fatto apposta per appannargli la vista ogni volta un po’ di più.
I bambini che erano sempre accorsi estasiati all’annuncio del suo nome solo per vederlo inciampare in una pozzanghera d’acqua, ora dicevano di annoiarsi in sua compagnia: meglio divertirsi coi videogiochi e la televisione piuttosto che ridere di fronte a un povero straccione con il volto dipinto di ogni colore. Così un giorno, la sua presenza divenne addirittura ingombrante.

Sempre meno persone accorrevano tra il pubblico a vedere il circo, e le poche che c’erano desideravano numeri strabilianti, cose mai viste prima, non le classiche scenette coi fiori e l’ombrellino. Fu per lui la fine. Sentì arrivare un’ondata di tristezza inarrestabile che gli sommerse il cuore come in un naufragio, e da quel giorno si convinse di essere assolutamente inutile, timore che si tramutò presto in realtà.
A cosa poteva servire, infatti, un pagliaccio depresso?
Fu presto allontanato dal circo, senza avere altra meta che quella di andarsene in giro randagio, vivendo di elemosina, preda dello scherno dei più malvagi. Si ridusse a dormire per terra, quando non trovava rifugio sotto qualche tettoia di fortuna, nelle panchine dimenticate delle strade di periferia, tra i cani abbandonati e i rifiuti delle grandi metropoli.
Anche Astrid dovette fare i conti con i cambiamenti del mondo
Tuttavia, la natura appartata del pierrot la spinse a reagire, se così si poteva dire, con un moto di positività quando il circo in cui lavorava fu travolto dalla crisi. All’inizio la tristezza invase anche la sua musica, e il pierrot perse la sua solita vena poetica, ma poi, amando il vivere appartato, si allietò di potersi esibire in completa solitudine.

La sua musica toccava le note più sublimi quando era in preda alla malinconia, e immaginando che la sua unica ascoltatrice fosse la luna, e il piccolo fiore della viola che portava sempre nel suo taschino, intonava le più dolci ballate romantiche, le note predilette da ballerini e acrobati prendevano vita, e tutto sembrava trasformarsi in un’unica, magnifica poesia.
A lungo andare, però, l’iniziale serenità del pierrot finì per innervosire i suoi compagni: acrobati, contorsionisti, domatori e prestigiatori, preoccupati per il proprio avvenire, si sentirono irritati di fronte alla tranquillità di Astrid che anche nei momenti più difficili non tradiva nessuno sconforto.
Finché un giorno in cui un acrobata sbagliò il proprio numero, fu data la colpa al pierrot: dissero che la sua musica non permetteva la giusta concentrazione, che era troppo distante dall’umore generale e che così non si poteva più andare avanti.
Finì che Astrid fu allontanata dal suo circo
Tuttavia le accadde qualcosa di molto insolito: fu finalmente libera di confidare in solitudine il suo segreto, rivelandolo allo sguardo discreto della luna.
Astrid infatti non era un pierrot qualsiasi, bensì una bellissima ragazza che si nascondeva dietro alle sembianze di un clown bianco. Desiderava trovare l’amore della sua vita, qualcuno che la capisse fino in fondo e che la amasse al di là della sua avvenenza esteriore, ma tutto ciò non era potuto avvenire all’interno del circo.

Dopo aver trascorso la notte a cielo aperto, vide ai piedi di una panchina un girasole dall’aria sbiadita. Conosceva quel genere di oggetti per sapere che si trattava di un “cerca sorriso”, un tipo di vecchi trucchi usati dai clown. Veniva usato una volta per divertire i bambini, i pagliacci si riempivano le tasche dei loro petali che all’improvviso spruzzavano fontanelle d’acqua, lanciando farfalle o caramelle al sapore di fragola e mirtillo. Ma da tempo erano passati di moda: tutti erano alla ricerca di emozioni forti, e nessuno era più interessato alle semplicità dei fiori.
Al vederlo per terra, Astrid sentì dentro a sé uno strano richiamo. Decise di seguire l’esile scia di quello che restava del suo profumo, impresa non facile che riuscì a mettere in atto solo tenendolo ben stretto sul petto, direttamente sopra al cuore, vicino alla sua viola del pensiero.
Una strana musica sembrava giungerle da lontano
Era come il percorso invisibile di un sentiero magico, un codice segreto che sembrava mettere in contatto il suo violino con le vibrazioni di una voce amica, quella di una semplice trombetta. Da qualche parte nel mondo, al termine di quello strano viaggio, qualcuno la stava aspettando.
Giunta in prossimità di una ferrovia, nella periferia più estrema del paese, si arrestò di colpo. Vide un pagliaccio accovacciato su un marciapiede, in un gomitolo di gelo, il volto contratto per il freddo ma l’espressione ancora serena di chi non ha mai smesso di sognare. La fame e gli stenti se lo erano quasi portato via, il resto lo stava facendo la morsa del gelo.
Lo guardò commossa, capendo che dietro a quell’involucro di stracci si nascondeva l’animo più gentile del mondo, un poeta che come lei aveva serbato intatto lo spirito innocente di un bambino, un cuore buono che, a discapito degli stenti, gli illuminava ancora il volto.
S’inginocchiò al suo fianco tenendogli la mano. Quanto aveva dovuto soffrire! «Non mollare», riuscì a sussurrargli commossa. Ma la sua tromba sembrava non avere più vita, nessuna musica usciva più dall’imbuto d’acciaio del freddo strumento che ormai giaceva in preda alla sua stessa tristezza.
Ad Astrid non restò che un ultimo tentativo
Pensò che forse non tutto era perduto, che in fondo la vita non era altro che un breve soffio fatto di speranza. Appoggiò a terra il suo violino, e al suo posto afferrò tra le mani la tromba del pagliaccio. Le avrebbe infuso il suo soffio, suonando con tutto il suo amore, per i sentimenti che provava in quel momento, e per la vita che forse non avrebbero mai potuto vivere insieme. Le lacrime le bagnavano il volto, riversandosi sulle guance di Felix, come una volta le gocce di rugiada avevano fatto sulle loro rose, nei rispettivi sogni.
Quando quelle note sarebbero terminate, anche lei avrebbe aspettato che il freddo la prendesse per mano per condurla insieme al suo nuovo amico in un lontano paese, dove tutto era musica, sorrisi e poesia.
Si sdraiò accanto al clown, tenendosi stretta al suo abbraccio, e chiuse finalmente gli occhi, in un lungo saluto al mondo.
Il mattino dopo, i due corpi erano scomparsi, come se fossero evaporati in quello strano cielo scosso dal vento e tempestato di nuvole.
Al loro posto, in un prato poco lontano, spuntarono due piccoli fiori. Sembravano uniti da uno stesso respiro, nell’abbraccio sottile di una melodia invisibile che si fondeva seguendo la scia dei loro colori, diversi ma complementari.
L’allegria del girasole avrebbe per sempre consolato la dolce tristezza della viola, che il suo pensiero avrebbe rivolto a quel tempo lontano, in cui soave intonava le sue note, sotto lo sguardo benevolo della luna.
Ora, tra le verdi distese delle colline, i due fiori avrebbero per sempre vissuto vicini, guardando il passare delle nuvole come un tempo avevano guardato le stelle fisse sulla volta celeste del loro tendone.
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