Il leone di Neméa e la libertà interiore

Continua il ciclo che spiega la simbologia che sottende al mito delle fatiche d'Ercole

di Massimo Biecher. Vediamo che cosa rappresenta simbolicamente il mostro affrontato da Ercole a Neméa.

Il leone di Neméa e la libertà interioreNella prima parte di questo articolo pubblicato su questo magazine lo scorso mese, ci siamo domandati quali fossero, dal punto di vista della psicologia archetipica, gli archetipi di cui Eracle (Ercole per i romani) si faceva interprete e perché Era, la moglie di Zeus, provasse un odio viscerale per lui.

Questa volta invece, affronteremo la figura del Leone di Neméa, che invitiamo a non immaginare come i leoni che osserviamo nei documentari, ma essendo, a seconda delle tradizioni, figlio di mostri come Ortro e la Chimera o di Tifone e Selene, era a tutti gli effetti un mostro vero e proprio.

Studiando ora questo simbolo come facciamo sempre attraverso le lenti della psicologia archetipica, saremo in grado di comprendere quali paure e di timori essa incarnava.
Per chi fosse interessato a comprendere su quali basi teoriche poggia la nostra ricerca, può trovarla pubblicata in questo articolo.

Chi era il Leone della leggenda ?
Cominciamo col dire che questo leone apparteneva ad Era, colei che Callimaco, poeta ellenico del IV secolo a.C., definiva “l’irascibile consorte di Zeus”. Il suo scopo era quello, secondo il frammento 108 dello stesso autore, “affinché potesse essere un duro lavoro per [Eracle] la progenie bastarda di Zeus.”

Il leone di Nemèa e la libertà interiore
Eracle contro il leone di Nemea, pittura del Diosfo, 500-475 a.C. Parigi, Musée du Louvre.

Questo leone venne abbandonato nei pressi di un paese di nome Neméa, dove tormentava la popolazione. Aveva la caratteristica di possedere una pelle impenetrabile ad ogni colpo inferto mediante lama, sia di ferro che di bronzo, e possedeva delle unghie estremamente taglienti. Ma la cosa che può apparire come una stravaganza tipica dei racconti mitologici, secondo lo scrittore Diodoro Siculo egli poteva essere “sottomesso solamente mediante la forza della mano umana”. Invitiamo a memorizzare questo dettaglio che risulterà cruciale per comprendere questa storia.

Eracle – che ricordiamo, fu inviato da un oracolo a sottomettersi al volere di Euristeo – fu comandato da quest’ultimo ad uccidere il felino e di consegnare al re di Tirinto la pelle dell’invincibile mostro.

In realtà Euristeo, che come abbiamo visto in un precedente articolo ed il cui nome significava “colui che è inferiore”, forse per un complesso d’inferiorità nei suoi confronti, covava la speranza che questa missione potesse rivelarsi fatale.

Che Eracle sconfisse e soprattutto come lo fece, ne parleremo approfonditamente nella terza parte, mentre questa volta, ci soffermeremo sulla figura del leone per capire quale tipo di paura esso rappresenti per noi.

Che cosa rappresenta, il leone da un punto di vista simbolico ?
Quando pensiamo al leone solitamente lo immaginiamo come il re della foresta, dotato di autorità e conscio del proprio valore. Basta un solo ruggito infatti, per far desistere ogni tentativo di aggressione nei suoi confronti.
C’è invece chi, come Jung, che riteneva che il leone rappresentasse quelle forze selvagge e primitive che sono di difficile gestione e che richiedono molta consapevolezza e padronanza di sé per poterle tenere sotto controllo.
Pertanto, il leone non è da intendersi un mero simbolo di regalità, quanto invece, é la capacità di dominare i propri istinti che rende l’individuo Re e padrone di se stesso.
Non a caso, anche questa volta, ci viene in soccorso l’analisi etimologia del sostantivo leone.

Etimologia di Leone

Il leone di Neméa e la libertà interiore
Brocca attica. Collezione British Museum

Rispetto ad altre volte, dobbiamo ammettere che l’analisi del lemma leone si è rivelata più difficile del solito, in quanto abbiamo scoperto, che esso è pervenuto ai greci attraverso altri popoli.
In realtà, è interessante far caso a come i popoli che si affacciavano sul mar Egeo, chiamavano il Re. Il termine per definire Re, era basileys, dove in realtà, la lettera ypsilon, andrebbe pronunciata come una “u” francese od una “ü” tedesca.

A questo punto è più facile scorgere una certa assonanza tra i sostantivi basileüs e basileon e scoprire che la parte iniziale, ovvero bas è il participio aoristo 2°, cioè è un tempo verbale che esprime in greco un’azione pura e semplice, del verbo baino.

Baino, a causa della polisemicità che contraddistingue la lingua di Omero, che assume diversi e non sempre univoci significati, può essere tradotto con trovarsi o stare, ma anche, come afferma il vocabolario Liddel Scott Jones, essere risolutamente calmo, fermamente controllato, composto, prosperoso, fiorente, benestante.
Allora, se uniamo baino con il sostantivo leon, il termine assumerebbe il significato di “colui che è come il leone”, allusione a chi è in grado di mantenere la calma, che sa restare composto e controllato in ogni circostanza, ma che è anche economicamente, benestante.

Ecco confermata la correlazione tra il leone ed il dominio di sé e come lo scontro tra Eracle ed il leone di Neméa rappresenterebbe la lotta che abbiamo compiere per dominare noi stessi, i nostri istinti e le nostre passioni più primitive. Il leone mitologico incarna tutto ciò che ha a che fare con il controllo di sé (ma anche degli altri) e che nelle forme più distorte, significa essere in balia di se stessi e dei propri problemi o nel caso della vita sociale, comportarsi con gli altri come dei manipolatori o dei veri e propri oppressori.

Euristeo non è un vero Re

Il leone di Neméa e la libertà interiore
Euristeo, re di Micene e di Tirinto.

A fronte di queste premesse, siamo in grado di scoprire un’altro aspetto riguardante la figura di Euristeo.
Facciamo per un momento un passo indietro. Pseudo Apollodoro, nel libro secondo della sua opera intitolata la Biblioteca, al punto [5.1], afferma che “Eracle giunse a Tirinto ed eseguiva ciò che gli veniva ordinato da Euristeo. Per prima cosa dunque gli ordinò di portargli la pelle del leone Nemeo”.

A prima vista ci verrebbe da dire che Euristeo, in quanto Re, ha dato un ordine di svolgere un compito, che se in condizioni normali, sottintenderebbe una delega a fare qualcosa cosa, nel caso di “colui che è inferiore” significa che egli non sapeva o non aveva il coraggio di eseguire.
Ovvero di impossessarsi della pelle che lo avrebbe reso invincibile a tutti gli attacchi di armi, perché non possedeva la capacità del leone di prevenire eventuali aggressioni contro la sua persona. In altre parole, non aveva alcuna autorevolezza ed era a tal punto incapace di essere un Re responsabile ed al servizio del suo popolo, che temeva per la sua incolumità.

Ricordiamo che quando Eracle alla quarta fatica gli consegnerà il bottino commissionato, cioè il cinghiale di Erimanto ancora in vita, egli si nascose per paura dentro una giara, dimostrando di non possedere alcun controllo su di sé.
Ma che questa storia abbia a che fare con la capacità di essere dominus prima di se stessi e poi degli altri, ne troviamo conferma andando ad approfondire il tema che riguarda la città di Neméa.

Cosa rappresenta la città di Neméa ?
Neméa – che in greco antico si dice egualmente Neméa – ci ricorda da vicino il verbo némein che significa distribuire, concedere, ma anche occupare, possedere, godere come cosa propria, abitare, amministrare, maneggiare, reggere, signoreggiare.
A cosa alludevano gli antichi? Per cominciare, dobbiamo dire che Neméa evoca in noi, e probabilmente lo faceva anche negli antichi greci, il sostantivo nèmesis, che oltre a significare biasimo, indignazione, vendetta o l’oggetto di un giusto sdegno nei riguardi di ciò che è riprovevole, ci ricorda anche il nome di una dea.

Lykoyurgos, al centro, tra Dionyos, Ambrosia e una delle Erinni. Staatliche Antikensammlungen, Monaco.

Némesis per l’appunto,  la dea che distribuiva le giuste pene a chi si macchiava di hybris, ovvero chi si comportava in maniera arrogante nei confronti degli dei. Rammentiamo che nel nostro contesto gli dei assumono un significato diverso dal solito: essi sono gli archetipi delle pulsioni, emozioni e sentimenti che popolano la psyche dell’individuo.

Di questa cittadina sappiamo che ebbe come Re un tale Lykoyurgos, il cui nome, derivando da lykos, lupo e da eirgo, cioè rinchiudere, serrare intorno, incalzare, escludere, rimuovere, allontanare, frenare, contenere, trattenere ed impedire, ci fa comprendere che egli, più che un Re, fosse un tiranno che teneva sotto scacco il suo popolo come un lupo che terrorizza un gregge.

A questo punto, Neméa rappresenterebbe quegli attributi del Re che se ingiustamente esercitati od esibiti, portano all’intervento della Némesi, la quale a sua volta, punisce gli uomini per essere stati superbi, egoisti, per aver goduto dei beni come se fossero stati una cosa di loro proprietà o come si dice, per aver signoreggiato su altri esseri umani.
La psicologia moderna definisce questa dinamica, autopunizione.

Prigionieri di un mostro interiore

L’XI carta degli Arcani Maggiori simboleggia la Forza che domina gli istinti.

Il leone di Neméa a questo punto verte intorno al tema della vera libertà interiore, della capacità di essere padroni di noi stessi e delle nostre vite.

Ma anche, all’interno della nostra lettura che privilegia le dinamiche del nostro mondo interiore e delle sue sofferenze, rappresenterebbe quei condizionamenti che ci tengono sotto scacco, prigionieri di un mostro interiore e che a causa di una paura inconscia, sorda e martellante, ci fa sentire succubi.

Il leone, che non incarna all’interno di questo contesto i nemici o gli impedimenti esterni, come lo possono essere dei genitori oppressivi o delle leggi liberticide, sono immagini che si attivano dentro di noi e che ci tengono in pugno finché non decidiamo di prendere la vita nelle nostre mani.

Neméa, al contrario, rappresenta l’altra faccia della medaglia, ovvero quell’arroganza che si identifica con l‘ego di colui che ritiene che la propria libertà coincida con l’esercizio del potere, che nel caso di leader e governanti, consiste nel fare ciò che si vuole (o che si pensa di volere) con cose e persone che non appartengono.

Ma essa stessa è una forma di schiavitù nei confronti del proprio ego.

E come vedremo meglio nella terza ed ultima parte, scopriremo che per liberarci da soli da questi condizionamenti non dobbiamo soccombere alla tentazione, come fece Euristeo di rivolgersi a qualcun’altro, ma come Eracle dobbiamo farlo noi.

L’immagine di copertina è la scultura Ercole e il Leone di Neméa di Marco Antonio Prestinari

Per saperne di più:
Esiodo, Teogonia, Perseus
Esiodo Teogonia, Perseus
Pseudo Apollodoro, Libreria
Diodoro Siculo, Libreria di storia 4. 11. 3  tratto da https://www.theoi.com/Text/DiodorusSiculus4A.html
Callimaco, Frammento di Aetia 55 (trad. Trypanis)
Callimaco, Frammento 108 (dallo Scoliasta nell’Ode Neméa 10.1 di Pindaro)
Manfred Kets de Vries – Leader, giullari ed impostori – Raffaello Cortina 1994

 

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Ha studiato ingegneria elettronica, oggi è responsabile export. Migliora la sua competenza professionale approfodendo gli studi di economia, scienze comportamentali, psicologia e leadership. Mailto: massimo.biecher@icloud.com