di William Giroldini. Un’allucinante e pericolosa avventura alla ricerca dell’oro alchemico.
Tutto è cominciato una calda sera dell’estate 2020, a Milano, durante una bella conferenza del prof. Alessandro Barbero, noto storico divulgatore di cui abbondano i video su Youtube.
Ero capitato quasi per caso a quella conferenza, da titolo accattivante, Alchimia e alchimisti, tutta la verità svelata.
Per fortuna la conferenza era tenuta all’aperto, con un leggero venticello, sennò il caldo sarebbe stato insopportabile. Insopportabile come il mio vicino di sedia, un tipo di circa sessant’anni, barbetta bianca con pizzo al mento, occhi rossastri, alito schifoso, e una strana orecchia a sventola, ma solo a carico dell’orecchio destra.
Si presentò come Conte Von Berzelius, e mi disse che si interessava assai all’Alchimia.
«E lei? le interessa?», disse rivolgendosi a me. «Be’ un po’ si, sono chimico, quindi…».
«Ah! Interessante, ha per caso un suo biglietto da visita?».
“Beh, sì… Ecco qua un mio biglietto». Lo prese, lesse ad alta voce (col suo fiato che mi arrivò dritto in faccia, dannato Conte, vai dal dentista ogni tanto!).
«Mm… chimico, fisico e parapsicologo?».
«Sì… più o meno faccio ricerca in vari settori». Questa fu tutta la conversazione di quella serata.
Mi stava proprio antipatico.
Si può trasformare un metallo vile in oro?

Torniamo alla interessante conferenza di Barbero. Ecco il sunto delle sue due ore e mezza di conferenza: gli alchimisti cercarono invano per tre secoli di trasformare i metalli vili (piombo, mercurio o rame) in oro zecchino. Ma non ci riuscirono mai, perché è impossibile trasformare un metallo vile in oro. Amen.
Peccato che le conclusioni di Barbero siano errate. Introduco qui una piccola digressione. Infatti è perfettamente possibile trasformare per esempio il mercurio in oro. Davvero? Direte voi.
Beh, andate su internet e cercate “mercurio (metallo)” su Wikipedia. Troverete, circa a metà pagina, che un tipo di mercurio (un isotopo del mercurio se vogliamo usare un termine più preciso) e precisamente il mercurio 197 si trasforma spontaneamente in circa 64 ore in…oro puro (Au 197). La trasformazione avviene mediante un processo chiamato “Cattura elettronica”.
Molto bene, cavolo! Direte voi, già pregustando che potrete diventare schifosamente ricchi producendo mercurio 197. E poi aspettando 64 ore. Ora andate all’Università di Milano e chiedete a un fisico come fare a produrre il mercurio 197. Sorridendo e trattandovi come un fastidioso callo su un piede, il fisico vi dirà che basta trovare un posto lontano dai centri abitati (almeno 50 km ma meglio di più), costruire una centrale atomica da 200 MegaWatt (costo: 10 miliardi di euro), piazzare del mercurio vicino a dove c’è la più alta diffusione di mortali neutroni, aspettare qualche mese, poi recuperare il mercurio, purificare l’oro che contiene, e rivenderlo al più vicino negozio di “Compro Oro”.
Il problema è che questo metodo è leggermente antieconomico: infatti produrre un Kg di oro per questa via vi costerà circa diecimila volte di più che andare a setacciare pazientemente pagliuzze d’oro sui fiumi auriferi del Klondike. Fine della digressione, e torniamo al nostro racconto.
Un alambicco pieno d’oro
Era l’estare del 2021, e io stavo boccheggiando dal caldo afoso, quando a mezzanotte circa del 13 agosto mi suona il telefono: chi poteva essere, se non quel micidiale rompiscatole del prof. Harris, mio amico esperto di qualsiasi cosa.
Invece no, questa volta no. Era il Conte Von Berzelius, di cui mi ero quasi scordato, e avevo anche buttato via il suo biglietto da visita. Senza tanti preamboli, mi chiede se ero in grado di analizzare un campione di metallo, che probabilmente conteneva oro. Oro!
«Be’, sì posso farlo, Conte. Ho i reagenti giusti». Mi disse che mi avrebbe portato il campione alla Stazione Centrale di Milano, il giorno dopo, provenendo da Torino. Nel bar della Stazione mi consegnò una storta di vetro, un alambicco di antica e pregevole fattura, contenente del materiale scuro di aspetto metallico su fondo. Per chi non lo sapesse, una storta è un recipiente di vetro usato dagli alchimisti con un becco ricurvo e una apertura chiudibile con un tappo.

Presi l’antica storta e nel mio laboratorio hobbistico (ovviamente in cantina) mi bastò aggiungere acido nitrico concentrato. Questo acido scioglie quasi tutti i metalli meno che l’oro. E così avvenne: il campione conteneva almeno un 80% di oro, il resto era una strana varietà di metalli: mercurio, rame, argento, anche palladio, osmio, rutenio, cerio, scandio e altri che non riuscii a identificare. Il giorno dopo il Conte mi telefonò prestissimo per sapere tutto del suo campione. Gli dissi che c’era oro dentro, e tanto anche. Ne fu ovviamente molto contento, e gli chiesi da dove venisse quello strano campione e la relativa storta.
Mi disse che mi avrebbe spiegato tutto, ma aveva bisogno di un esperto di lingua latina per tradurre un libro antico. Ne conoscevo per caso uno? «Sì che lo conosco!», risposi. Era ovviamente il mio amico prof. Harris, archeologo, esperto di lingue morte (latino, greco antico, aramaico, assiro-babilonese, geroglifici e non so che altro…).
Allora il Conte ci invitò tutti e due nel suo castello privato posto nell’antico borgo di Neive (Cuneo) promettendoci vitto e alloggio gratis, e una ricompensa di 2000 euro a testa per un lavoro da fare presso la sua dimora.
«Quale lavoro?».
«Si tratta di tradurre un testo alchemico antico del 1604, già appartenente al mio bis-bis-bis nonno Von August Berzelius».
Spinti dalla curiosità e dall’idea che potesse trattarsi di un testo alchemico interessante, partimmo in auto il giorno appresso io e il prof. Harris per quel di Neive.
Giuro che se possibile, non andrò mai più in auto con la macchina del prof. Harris. Quando sta al volante si trasforma, come il Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Sorpassi azzardati a destra e sinistra, strombazzamenti, mano con corna fuori da finestrino a quelli sorpassati, e ancora tutto e di più.
Quando arrivammo (tutti interi, non so come) il Conte ci fece entrare nella sua dimora, che a dire il vero non somigliava molto a un vero castello ma ad una antica piccola casa nobiliare del 1500. A parte questa precisazione, praticamente c’era lo stesso antico arredo di quella lontana epoca e una piccola biblioteca in cui si notavano antichi testi, molti dei quali di argomento alchemico.
Due strani personaggi

Il Conte viveva in quel luogo assieme a un servo, Jacob (così lo presentò), brutto, basso, tarchiato, gobbo, ma con due braccia assai robuste, una specie di piccolo armadio dotato di braccia e due tozze gambe, e uno strano orecchio a sventola sulla destra. Ma, pensai, che cavolo di personaggi, fra tutti e due.
Dopo qualche convenevole, il Conte rivelò finalmente tutta la storia.
«Sapete», disse «circa un mese fa mentre facevo fare dei lavori di sistemazione della mia cantina, è saltato fuori un ingresso parzialmente murato in fondo alla cantina. Tolti pochi mattoni, ho scoperto un tunnel con scale in pietra che portano a un antico e autentico laboratorio alchemico, presumo del mio bisavolo Von August Berzelius. Il quale si trova attualmente ancora dentro il suo laboratorio!».
Eccezionale! Subito ci accompagnò a visitare quella incredibile scoperta. La scala in pietra che scendeva nel laboratorio non aveva alcuna illuminazione, quindi utilizzammo delle torce a Led per farci strada. In fondo alle scale si apriva un’altra porta in legno massiccio, che dava su un antro largo circa 6 metri x 8, provvisto di un forno con camino (che dava sull’esterno della abitazione) e un tavolo di lavoro di legno di quercia zeppo di alambicchi e storte e reagenti strani, e libri sparsi un po’ dovunque.
E l’antenato Von August ricurvo sul banco di lavoro e seduto su una poltrona in pelle. Stecchito, morto da secoli, ma perfettamente conservato! La pelle sembrava ancora intatta sul cranio e sul corpo, solo un po’ giallastra e dura come una pelle di pecora conciata. Gli occhi erano aperti, quasi vitrei. Vestiva un abito costituito da una lunga tunica sporca e con corti pantaloni. Vicino a lui c’era aperto un libro scritto in latino, con disegni e simboli tipicamente alchemici.
«Ma come fa a essere perfettamente mummificato e conservato?».
«Non so, proprio non lo so», rispose il Conte allargando le braccia. «Magari lo scoprirete voi».
Una mezza idea mi era balzata in testa, su questo mistero, ma nel frattempo dovevamo iniziare il lavoro per cui ci erano stati promessi 2000 euro a testa. Tradurre il testo alchemico di Von August Berzelius.
Il lavoro si protrasse per quasi due settimane, dato che si rivelò essere ben più complicato di quanto ci aspettassimo. Il problema era attribuire un significato chimico preciso a certe espressioni latine e alchemiche.
Per esempio sono facili “sulphur” e “hydrargirium” (rispettivamente zolfo e mercurio), ma trovai grande difficoltà per altre espressioni, in particolare quando veniva descritto un ingrediente fondamentale per preparare la misteriosa lapis philosophorum, cioè la Pietra Filosofale, che sarebbe in grado (secondo gli alchimisti) di trasformare direttamente metalli vili in oro.
Il testo parlava di un non meglio precisato seres agros (Terre cinesi), senza chiare indicazioni di che cavolo fosse e dove trovarlo. Così riuscimmo a tradurre le parti essenziali del testo per fabbricare la Pietra Filosofale (tralasciando la parte filosofico-spiritualistica, di cui non fregava niente a nessuno). Ma con ancora dubbi sulla natura delle seres agros.
Facciamo il primo esperimento
Venne il momento di testare la ricetta. Decisi di fare prove molto in piccolo (di circa 1 grammo) perché qualcosa mi suggeriva che poteva essere assai pericoloso. L’antenato del Conte non aveva una buona cera, anche se era ben conservato.
Pazientemente, recuperammo molti ingredienti da un annesso piccolo magazzino di 3 metri x 3 posto a destra del laboratorio alchemico. Altri ingredienti li ordinammo via Internet, fra cui 4 Kg di formiche rosse del Madagascar e diversi rospi delle pianure padane.
Seguirono quattro tentativi di preparazione della Pietra Filosofale. Ma quando mettemmo del mercurio a contatto con queste preparazioni, nulla accadde. Eravamo ormai convinti che il buon Barbero avesse ragione (gli alchimisti avevano inseguito una bufala per secoli), quando ebbi l’idea giusta circa la misteriosa seres agros. Ordinai via internet delle “Terre rare” cinesi cioè miscele di ossidi di osmio, rutenio, cerio, scandio, e anche palladio e altri metalli rari.
Poi al quinto tentativo, sul fondo della provetta di vetro, appena miscelato la nuova pietra filosofale con mezzo grammo di mercurio, si intravide una luce azzurrastra uscire dalla miscela di reagenti. La provetta era tenuta in mano fra due dita dal servo Jacob e agitata in senso antiorario come prescritto dalla antica ricetta latina. Avvicinai anche il mio contatore Geiger portatile: l’ago del contatore era impazzito, quella poca roba emetteva un sacco di radiazione gamma (una forma molto energetica di luce). Ci allontanammo prudentemente di qualche metro, mentre Jacob doveva continuare ad agitare in senso antiorario la provetta. Il suo pollice e indice avevano assunto un colore giallastro, e la pelle delle due dita era diventata tipo pergamena.
Dopo mezz’ora circa, la luce si spense. La trasformazione era finita. Allora aggiunsi senza indugio un poco di acido nitrico concentrato alla provetta: subito uscirono fumi rossastri, mentre sul fondo della provetta restava una polvere gialla, metallica.
Era oro! oro puro! L’antenato di Von Berzelius aveva realmente trovato la formula alchemica per ottenere l’oro. Il più bello e desiderabile di tutti i metalli. Simbolo di perfezione assoluta. Con ogni probabilità la trasformazione avveniva per mezzo di una cosiddetta “fusione nucleare fredda” come quella ipotizzata da Martin Fleischmann e Stanley Pons nel 1989. Fusione molto controversa, difficile da riprodurre. Ma ora noi avevamo in mano una verità storica e scientifica.
Prigionieri di un pazzo criminale

Il Conte aveva appena finito di congratularsi con noi per il successo della operazione, quando all’improvviso ordinò a Jacob di prenderci e rinchiuderci dentro il piccolo magazzino del laboratorio. Inutile fu ogni nostro tentativo di opporci: quel piccolo bastardo gobbo aveva una forza straordinaria nelle braccia e ci spinse dentro senza problemi. Poi chiuse a chiave la pesante porta di quercia. Inutilmente urlammo e protestammo col malefico Conte.
Ecco le sue parole beffarde: «Cari amici, vi ringrazio di cuore per il vostro contributo. Ora però ho da fare, voglio preparare almeno un kilo d’oro, e i soldi che vi avevo promesso li spenderò meglio per tutti i reagenti che mi servono! Vi auguro buona permanenza qui! Magari fra qualche anno o qualche secolo altri vi troveranno, spero ben conservati, ma morti. Di voi non ho più bisogno!». La risata sadica risuonò per tutto il suo castello.
Eravamo nelle mani di un pazzo criminale. Che altro avrebbe fatto?
Lo scoprimmo presto. Nel buio pesto dello sgabuzzino, potevamo sentire i rumori e le voci del laboratorio. Il giorno dopo di mattina presto arrivarono Jacob e il Conte e si apprestarono a fare una bella preparazione in grande (due kili di reagenti mi sembra). Quando fu il momento fatidico di mescolare (con agitazione antioraria) la pietra filosofale e due kili di mercurio, il Conte disse a Jacob di effettuare il lavoro mentre lui doveva uscire per un impegno col suo dentista.
Il buon Jacob era molto robusto ma altrettanto scemo.
Mentre eravamo al buio nel magazzino, dopo due ore di tramestio e rumore di alambicchi e liquidi mescolati e riscaldati, vedemmo una luce azzurrastra entrare nel magazzino passando attraverso il buco della serratura di ferro.
La fase finale della trasformazione era in corso. Allora dissi al Prof. Harris di buttarsi a terra, e di stare a lato della porta protetti da circa un metro di solido spessore di muro antico. Non un muro come quelli moderni in cartongesso… Dopo un’ora la luce azzurrasta si spense, ma dal laboratorio non proveniva nessun rumore.
Dopo tre ore arrivò il Conte, che effettuò personalmente la purificazione finale del metallo aurifero grezzo con acido nitrico. Poi uscì di nuovo dal laboratorio e nessun altro rumore ci pervenne per un altro giorno.
La fortuna fu dalla nostra parte

Mentre aumentava la nostra fame e la sete, soprattutto la sete.
«Professore, qui la situazione diventa sempre più critica, dobbiamo uscire da qui, o siamo morti. Avrei una mezza idea»
«Quale?» chiese lui, con voce flebile e triste.
«Nel magazzino di un laboratorio alchemico ci sono sempre alcuni prodotti: prima cerchiamo delle candele (che ho intravisto la prima volta), le accendiamo col suo accendino, poi cerchiamo barattoli con sopra scritto Salpetre, Sulphur e Lignum carbones. Sono gli ingredienti della polvere da sparo (salnitro, zolfo e carbone). Se li troviamo possiamo fare saltare la serratura!».
La fortuna fu dalla nostra parte. Trovammo tutti e tre i barattoli di antico vetro coi nostri prodotti, li mescolammo in un mortaio macinandoli bene con un pestello. Il tutto alla pericolosa luce di due candele vicine a quella polvere nera esplosiva. Poi, con un foglio di carta trovato per terra, introducemmo la polvere nera nella serratura attraverso il buco della chiave, picchiando la porta per comprimere bene la polvere dentro la serratura. Infine facemmo una breve miccia col resto della polvere avvolta a mo’ di sigaro nella carta.
«Abbiamo tre secondi prima del botto, quando accenderò la miccia», dissi al professore. «Si butti a lato protetto dal robusto muro!». Era lo stesso robusto e spesso muro che ci aveva protetto dalla mortale radiazione gamma due giorni prima…
Il botto fu tremendo, ma la porta si aprì: eravamo liberi! In mezzo al denso e puzzolente fumo, intravedemmo nel laboratorio il cadavere rigido come un baccalà e mummificato del buon Jacob.

Ormai la cosa ci era chiara: nella fase finale della reazione alchemica, quando il mercurio diventa oro, viene liberata molta radiazione gamma, che non solo uccide in pochi minuti chi è vicino, ma uccide persino tutti i microbi del corpo. Onde per cui il corpo non può più andare in putrefazione e si conserva mummificato per secoli! Ovviamente il Conte l’aveva capito ma non aveva esitato a sacrificare il deforme Jacob. Dovevamo trovarlo e fare i conti.
Dal forno del laboratorio prendemmo (per autodifesa eventuale) due attizzatoi di ferro, poi salimmo fra il denso fumo soffocante le scale della cantina e finalmente giungemmo al piano superiore. Nessuno: il castello sembrava deserto, del Conte nessuna traccia.
Nel suo studio, e lì trovammo il suo personal computer: l’unica cosa moderna di quella antichissima dimora. Lo accesi: per fortuna non c’era alcuna password, e subito cercai i siti internet visitati di recente con Google. Infatti, sapendoli cercare, Trovai tutti i siti visitati e scoprii che il Conte aveva comprato un biglietto aereo da Linate a Palermo, e poi dopo aver cercato un pullman da Palermo a Sciacca, aveva affittato una vecchia masseria vicino alla spiaggia di Sciacca, in una zona abbastanza isolata.

Ma non era finita qui: rovistando nel suo studio, trovammo un kilo di oro purificato e nascosto in un’antica cassapanca. e anche tre ricevute di spedizioni di grossi pacchi con le Poste Italiane proprio all’indirizzo della masseria di Sciacca. Perché tutto questo? Che aveva in mente il maledetto Conte? Una mezza idea mi si affacciò nella mente.
«Che facciamo Professore, ora che sappiamo dove è andato il Conte?».
«Lo inseguiamo e lo bracchiamo senza pietà, non deve sfuggirci», disse il professore.
Così anche noi prenotammo due biglietti Linate-Palermo e tornammo a Milano con l’auto del Prof. Harris (senza dimenticarci di prendere l’oro che era nostro di diritto per il mancato pagamento della nostra consulenza e per coprire le spese generali). Altro viaggio allucinante in macchina, con sorpassi folli e almeno due semafori rossi passati allegramente, mentre io mi aggrappavo disperato alla maniglia della portiera. Pregavo i Santi e Gesù bambino.
Arrivati sani e salvi a Milano, partimmo il giorno stesso per Palermo. A Sciacca con un taxi ci facemmo portare a mezzo kilometro dalla masseria, facendo poi il resto del percorso a piedi, per essere notati il meno possibile.
La masseria si presentò davanti i nostri occhi circondata da olivi, fichi d’india e arbusti mediterranei. L’aspetto era decisamente decadente, un mezzo rudere.
Poi lo vedemmo mentre eravamo nascosti a meno di 50 metri. Era proprio lui, il Conte Von Berzelius. Era intento a trascinare un corpo (sembrava un extracomunitario africano) legato per i piedi. Faceva caldo e ansimava. Dopo averlo buttato dentro una fossa già scavata (evidentemente) in precedenza, iniziò a sbadilare terra su quel cadavere, sempre ansimando e asciugandosi la fronte madida di sudore.
«Che facciamo professore?», chiesi ad Harris.
«Ora ci penso io», rispose.
Prese il telefonino e fece una telefonata rigorosamente anonima alla locale stazione di Polizia di Sciacca. «Venite subito alla vecchia masseria in fondo a via (omissis). c’è un tizio che ha ammazzato uno e ora lo sta seppellendo! Fate presto!».
Venti minuti dopo una macchina della polizia raggiunse silenziosamente la masseria, ne scesero tre poliziotti che beccarono il Conte in piena flagranza di reato.
Lo ammanettarono e lo portarono via. Noi due invece ne approfittammo per entrare subito nella masseria, dove trovammo una stanza attrezzata a laboratorio alchemico e recuperammo una storta con dentro due kili di oro grezzo, il libro originale latino che avevamo tradotto e un foglio con la ricetta tradotta che avevamo dato al Conte. Se e quando la polizia fosse tornata alla masseria, avrebbe solo pensato a un laboratorio clandestino per fabbricare anfetamine…
Dal Giornale di Sicilia, il giorno dopo, leggemmo: “Un uomo, tale Conte Von Berzelius, è stato arrestato con l’accusa di omicidio, occultamento di cadavere e violazione delle norme anticovid» (stava seppellendo uno senza indossare la mascherina!!).
Con un buon avvocato avrebbe potuto dimostrare che il cadavere non presentava alcun segno di violenza (vero! a parte che era mummificato di fresco) quindi lui non aveva ammazzato nessuno, e seppellire un cadavere trovato per caso per evitare che puzzi all’aperto, è un reato non molto grave. E un’analisi del laboratorio clandestino non avrebbe trovato alcuna traccia di anfetamine.
Ma per la storia della mascherina, nessuno gli avrebbe levato una giusta multa da 250 euro.
Questo resoconto potrebbe finire qui (il Conte ora sta all’Ucciardone di Palermo in attesa di processo). Quanto a noi due, abbiamo equamente diviso l’oro recuperato. Lo utilizzerò per giuste cause (finire di pagare il mutuo, comprare una macchina sportiva nuova etc.).
Ma a beneficio dei lettori curiosi di sapere come si fabbrica l’oro con l’Alchemia, ho deciso di riportare il pro-memoria che il Conte aveva scritto di suo pugno in aggiunta alla ricetta per fabbricare la pietra filosofale. Ho solo omesso due-tre cose per impedire che qualche solerte lettore provi a ripetere le gesta piuttosto moralmente discutibili del Conte.
Il testo integrale degli appunti del Conte
♠ Sulla spiaggia antistante la masseria, mettere cartelli in lingua araba, francese e spagnola con su scritto “Cercasi operai volenterosi lavoro facile 200 euro/giorno. Tel. (omissis)”.
♠ Fare scavare preventivamente da un operaio (extracomunitari, che approdano sulla spiaggia) una fossa di metri 2 larga 1 e profonda 1.5 metri.
♠ Pietra Filosofale: In un recipiente di ferro smaltato, introdurre Kg 3 di spemitura a freddo di Kg.4 di formiche rosse del Madagascar e due rospi della Pianura Padana. Aggiungere poi Kg. 0.42 di Zolfo, Kg 0.8 di polvere di zinco, Kg. 0.5 di Salnitro, Kg. 0.76 di Solfato di Rame, Kg. 0.2 di Potassio Cloruro, grammi 10 di Palladio Cloruro, e infine Kg. 0.8 di Terre Rare cinesi provenienti dalla provincia del (omissis) e precisamente dalla miniera di (omissis) vicino al fiume Huang He. Mescolare con cura in senso antiorario e scaldare a fuoco lento per tre ore fino a ottenere una massa scura e semisolida di odore seminauseabondo. Fare raffreddare e polverizzare in mortaio.
♠ Trasmutazione: In una storta di vetro caricare Kg. 2 di mercurio proveniente dal Monte Amiata e Kg. 1 di Pietra Filosofale. Mescolare con cura in senso antiorario.
Avviso: avvisare per telefono l’operaio di iniziare questa operazione solo dopo che avrò raggiunto una distanza di 100 metri dalla masseria, e al riparo dietro un muro a secco di spessore 1 metro.
♠ Aspettare due ore e mezza, tornare al laboratorio, recuperare la storta col prodotto grezzo, e seppellire il cadavere.
♠ Ripetere il ciclo di produzione al punto b.
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