Di Massimo Biecher. Quanco lo zoccolo di Pegaso colpisce la roccia del Monte Elicona, scaturisce la fonte Ippocrene, una metafora di come rapportarci al nostro mondo interiore.
Sul numero scorso di Karmanews avevamo riletto in chiave simbolica il combattimento tra la Chimera ed il cavaliere Ipponoo in groppa al cavallo Pegaso. Tramite i presupposti teorici forniti dalla psicologia archetipica, siamo stati in grado di comprendere gli insegnamenti nascosti che gli antichi fornivano su come gli imprevisti, le contraddizioni ed i paradossi della vita, andassero affrontati.
Ossia mediante la fantasia e la creatività.
Avevamo anche accennato, seppur per sommi capi, all’episodio che riguardava il cavallo alato Pegaso, allorché egli con lo zoccolo colpì la roccia del monte Elicona, creando una fonte miracolosa di cui gli antichi dicevano che avesse il potere di ispirare chiunque vi si fosse abbeverato, lasciando sottintendere che lì potesse trovarsi la risposta alla nostra domanda.
Oggi ci soffermeremo più approfonditamente sulla fonte che da quella volta in poi, si chiamò Ippocrene, ovvero la fonte del cavallo, assieme ad alcuni episodi narrati da diversi autori dell’antichità che sono ad esso connessi, per scoprire dove possiamo rinvenire qualche insegnamento su come possiamo fare per far emergere la nostra creatività, dove alberga la nostra fantasia e quindi la nostra capacità di risolvere i problemi più difficili.
Premessa sul tipo di approccio adottato
Prima di addentrarci in questo argomento, che viene dopo quasi due anni di collaborazione con questo magazine durante i quali abbiamo reinterpretato i miti dell’antica Grecia, crediamo che sia arrivato il momento, soprattutto per coloro che non ci seguono fin dall’inizio, di soffermarci brevemente su alcuni concetti fondamentali che ci aiuteranno tra l’altro a comprendere meglio l’argomento di oggi.
Lo scopo delle nostre analisi, infatti, non è tanto quello di reinterpretare, magari in forma più moderna e più godibile, alcuni racconti che appartengono ad un mondo che non c’è più e che affidava la sua religiosità a divinità i cui comportamenti sembravano condizionati dalle medesime debolezze degli esseri umani, quanto piuttosto, come direbbe James Hillman, rileggere in trasparenza le storie degli dei per comprendere il funzionamento della psiche umana, delle emozioni e, come sostenuto da noi in diversi articoli, delle paure che in varia forma ci attanagliano.


Per questo dobbiamo dire grazie – prima che a James Hillman – anche a due filosofi italiani del passato, entrambi ispiratisi al neoplatonismo, quali Marsilio Ficino (1433 – 1499) e Giambattista Vico (1668 – 1744), i quali hanno scorto negli antichi miti le metafore del funzionamento della psiche umana.
Inoltre, i loro lavori furono di tale rilevanza per la cultura del loro tempo, che di Ficino si può senza ombra di dubbio sostenere che egli fu colui che ha influito in maniera determinante alla nascita ed all’affermazione del Rinascimento italiano.
Non è un caso pertanto, se l’arte rinascimentale, guidata da committenti sensibili alle tematiche sollevate da Socrate e da Platone – che sostenevano che l’anima e la psiche coincidevano – abbia prodotto innumerevoli opere di vario genere, che avevano per protagonista il mondo mitologico, non solo con lo scopo di fare arte, ma di rappresentare per immagini le dinamiche della psiche.
Oggi diremmo che, esattamente come gli antichi greci, facevano psicologia mediante immagini.

James Hillman, che reputava i due intellettuali italiani i precursori della psicologia archetipica, affermava che il termine archetipico aggiunto alla parola psicologia, era da vedersi come un’evoluzione del metodo analitico di matrice junghiana (ricordiamo che Hillman dopo aver ottenuto il dottorato del C.G. Jung Institute di Zurigo ne divenne il direttore).
E aggiungeva che la psiche/anima, ovvero il mondo interiore dell’uomo, è un luogo costellato di immagini e che a sua volta, è esso stesso creatore di immagini.
Cosa intendiamo per anima
Ma di quali immagini stiamo parlando? Quelle che, secondo Platone, non sarebbero altro che riproduzione di modelli, detti anche idee archetipiche, relegate in un mondo trascendentale denominato Iperuranio.
Ebbene, queste stesse immagini oltre ad essere il fondamento dell’universo e fornire il prototipo a cui le forme del mondo materiale si ispirano, fornirebbero la materia prima alla nostra anima e di cui, i miti dell’antichità se riletti in chiave metaforica, conterrebbero informazioni riguardanti le dinamiche interne della nostra psiche.
L’anima sarebbe da immaginare appunto, non tanto come una emanazione spirituale, ma all’interno di questo contesto o modello, sarebbe da intendere come un teatro dove i personaggi mitologici recitano, agiscono e parlano mediante un lessico che è costituito da immagini simboliche che a loro volta si manifestano sul piano materiale tramite sentimenti od emozioni.

Si tratta insomma di un modo nuovo ed alternativo di guardare alla psiche ed alle sue sofferenze, che oltre a fondare le sue radici sul modello della terapia analitica di Carl Jung, si rifà a dei racconti che ponendosi a metà tra i sogni e le favole, forniscono materiale simbolico che permette alla nostra anima di riflettere su se stessa.
Una riflessione però che non avviene sul piano logico/razionale, ma direttamente nel cuore, inteso come organo simbolico e quindi sede delle emozioni.
Proprio Hillman, rifacendosi ad un grande artista del rinascimento quale Michelangelo Buonarroti (1475-1564), citava il verso 49 delle cosiddette Rime: “Amor, la tuo beltà non è mortale: nessun volto fra noi è che pareggi, l’immagine del cor, che ‘nfiammi e reggi, con altro foco e muovi con altr’ale”.
Egli reputava infatti che l’artista si riferisse ad un particolare tipo di percezione, non si arresta davanti all’aspetto delle cose e delle persone, come avviene osservando con gli occhi o con la mente, ma che giunge in profondità perché mediante il cuore percepisce un’altro cuore.
Le Muse: il potere della musica
Per entrare nello specifico dell’episodio di Esiodo e del significato della fonte Ippocrene, dobbiamo prima inquadrare meglio i contorni e citare un episodio cronologicamente precedente a quello raccontato all’inizio della sua opera intitolata Teogonia.
Secondo i frammenti ritrovati riguardanti l’Inno a Zeus di Pindaro, gli dei dell’Olimpo, estasiati da come Zeus avesse messo in ordine il Kosmos, gli chiesero di creare delle voci che avrebbero dovuto magnificare la sua opera mediante parole e musica. Allora Zeus si unì alla dea Mnemosyne e da essi nacquero le cosiddette Muse.

Ora, sebbene esse siano diventate famose per la loro proverbiale bravura nel campo dell’arte, in realtà detenevano anche un potere che ai giorni nostri parrebbe più appropriato all’interno del contesto di favole per bambini. Quello di trasformare le persone in qualcos’altro.
A tal proposito ci viene in soccorso un racconto che troviamo ne Le metamorfosi di Ovidio, nel quale si racconta che esse furono sfidate nell’arte del canto da nove sorelle, le figlie del re Piero, dette anche Ematidi. Esse, vuoi perché avevano osato sfidare le Muse, vuoi perché il loro canto narrava del poco edificante episodio in cui gli dei alla vista del mostro Tifone che saliva sull’olimpo, si trasformarono per la paura in animali, (sul significato simbolico che sta dietro alla loro trasformazioni vi rimandiamo all’articolo già pubblicato qui ) sdegnate, tramutarono mediante il loro canto, le Ematidi in uccelli.
Questo racconto, secondo il quale il canto o la musica possano mutare la forma a cose o persone, che oggi ci appare ovviamente inverosimile, fuor di metafora, ci voleva dire una cosa che sappiamo già. Ovvero che la musica ha il potere di alterare lo stato emotivo di una persona, di influenzare indurre un determinato stato d’animo.
Cosa confermataci dal filosofo Giamblico, che nella sua biografia riferita a Pitagora, affermava che “[egli] credeva che anche la musica contribuisse molto alla salute fisica, se usata nei modi convenienti: soleva infatti dire – e non in linea secondaria – che essa adoperava una forma di catarsi. Cosi infatti [Pitagora] chiamava la cura per mezzo della musica.”
Gli antichi in poche parole, conoscevano l’uso della musica al servizio della terapia psicologica, quella che oggi si chiama musicoterapia, pensiero che fu ripreso e rilanciato quasi duemila anni dopo proprio dal filosofo toscano Ficino.
Platone il signore degli archetipi

Ritornando all’episodio precedente, sempre secondo i racconti mitologici, il canto delle Muse, quello che sconfisse le Ematidi, commosse tutti gli dei ed uno in particolare. Poseidone.
Cominciamo ad evidenziare che dall’analisi etimologica del nome del dio Poseidon, del quale parleremo in maniera assai più approfondita in un altro contesto, che il nome sarebbe composto da 2 sostantivi.
Il nome del dio dei mari, se analizzato da un punto di vista etimologico è uno di quelli che si presta, anche a causa della natura polisemica del greco antico, a molteplici interpretazioni.
In particolare, noi ipotizziamo che il nome sia composto dalla giustapposizione di posis vuol dire marito, sposo, ma anche signore o maestro, ed da eidos, che, guarda caso, è il termine usato da Platone ed i suoi seguaci per indicare l’archetipo o l’idea archetipica.
Il nome di Poseidone pertanto, alle orecchie degli antichi, suonava come il signore degli archetipi, ovvero che egli dominava il regno di quelle forme, di cui la realtà materiale, non sarebbero altro che un’imitazione, quella che sui libri di scuola viene riportata col termine, invero poco accessibile, che sarebbe la cosiddetta mimesi platoniana.
Aggiungiamo anche, che uno dei suoi epiteti più famosi, fosse l’Enossigeo, ovvero il dio dei terremoti, ed in quanto il dio dei mari, fosse padre di quattro figli il cuoi nome è ricollegabile alle acque in moto più o meno turbolento (ci riferiamo a Tritone, Roda, Cimoplea e Bentesicima). Pertanto, siamo di fronte ad un quadro di insieme relativo ad immagini che evocano proprio l’effetto che le emozioni generano all’interno del nostro corpo.
La fonte Ippocrene come accesso alle idee archetipiche

Ebbene, secondo i racconti, Poseidone impressionato, ma forse sarebbe più corretto dire, commosso dal canto delle Muse, chiede a suo figlio, il cavallo alato Pegaso di cui abbiamo parlato qui , di colpire con lo zoccolo la roccia nelle vicinanze al luogo dove in cui esse dimoravano, provocandone quindi la fuoriuscita di una fonte d’acqua che prenderà il nome di Ippocrene.
Questo passaggio è fondamentale, perché gli antichi con il termine krene che significa zampillo, ci stanno fornendo un’indizio riguardo a dove si trovi il collegamento tra il mondo degli archetipi, di cui Poseidon ne è il signore, ed il mondo terreno, che fuor di metafora, sarebbe il nostro corpo.
In questa sede indagando a fondo sull’etimologia del termine krene siamo giunti ad ipotizzare l’interpretazione secondo cui, poiché esso condivide per quasi-assonanza la sua radice con il verbo kerannumi che significa mescolare, unire, fondere insieme, questo luogo sul monte Elicona rappresenterebbe sul piano psichico il luogo dove gli archetipi o le immagini della nostra anima, si mescolano o si fondono con il nostro corpo, rendendosi quindi percepibili.
Ma questo luogo che non è solo simbolico, lo conosciamo già. Si tratta del nostro cuore.
Ricordiamo infatti che mentre l’organo meccanico in greco antico si diceva kardia, il luogo delle emozioni si diceva ker, ovvero il ponte tra il mondo delle emozioni ed il nostro corpo, il luogo dove gli archetipi e le immagini della nostra anima diventano emozioni.

Ma per poterle sentire e per accedere al nostro mondo interiore c’è bisogno di un cuore tenero, e non un cuore indurito come quello che possedeva Esiodo quando era un misero pastore e che, come raccontato nel verso 29 della Teogonia, grazie al canto soave delle Muse, subisce una trasformazione sia interiore che di fatto.
Riferimento che è utile per comprendere come si possa accedere alla nostra anima ed alla vera ricchezza in essa contenuta, lo troviamo inoltre, all’interno dell’episodio già citato in cui si fa riferimento alla roccia che Pegaso rompe col suo zoccolo, come ad intendere che da un cuore duro come la pietra non possono sgorgare le emozioni.
In altre parole, accedere alla fonte Ippocrene e quindi al mondo di Poseidone significa essere in grado di vedere l’essenza insita nelle cose, vederle come direbbe Michelangelo, da cuore a cuore e da un punto di vista pratico, come abbiamo visto nell’articolo dedicato al modo in cui Ipponoo/Bellerofonte ha affrontato la Chimera, trovarvi lo spunto, la creatività, la capacità immaginativa che serve per affrontare e risolvere i problemi della vita.
Ma anche per essere dei veri artisti.
La foto di copertina è di Manfred Antranias Zimmer da Pixabay
Per saperne di più
Igor Baglioni “La fonte Ippocrene” da Academia.edu
Pausania” Descrizione della Grecia”
P. Ovidius Naso “Metamorphoses” Arthur Golding, Ed.
Esiodo “Teogonia” -Perseus Digital Library.
Giamblico “Vita pitagorica” Laterza.
James Hillman – “Plotino, Ficino e Vico precursori della psicologia junghiana” da Academia.edu
James Hillman “Re-visione della psicologia” Adelphi
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