Questo pazzo pazzo clima

Un aggiornamento sulla situazione mondiale e gli accordi tra le potenze

 di Cristina Penco. Gli eventi catastrofici, sintomi del riscaldamento globale, sono in aumento. Ci sono soluzioni?

I ghiacciai continuano a ritirarsi. E, in generale, aumentano gli eventi catastrofici, dalle ondate anomale di calore alle alluvioni fino alle trombe d’aria. Tutti sintomi del riscaldamento globale. Le analisi degli esperti e le dichiarazioni d’intenti, che però devono tradursi in azioni concrete.

La giornalista Cristina Penco.

I ghiacciai, sulle Alpi italiane, si stanno ritirando sempre di più. Mostrano “un marcato regresso dei settori frontali” a causa dei cambiamenti climatici, come spiegano gli esperti. Dal 2019 al 2020 sul settore orientale la massima regressione, finora, pari a 83,5 metri, si è registrata nel Ghiacciaio di Saldura Meridionale.

Senza dimenticare i quarantotto metri in meno per la fronte del Ghiacciaio dei Forni, sul settore centrale. Sembrerebbe soggetto alla stessa sorte anche il Glacionevato del Calderone, sul Gran Sasso, in Abruzzo. È quanto è emerso dalla seconda edizione della Carovana dei ghiacciai, la campagna realizzata da Legambiente con il supporto del Comitato Glaciologico Italiano (Cgi).

Effetti del riscaldamento globale
Lo scioglimento dei ghiacciai avviene parallelamente ad altri fenomeni atmosferici associati a esso, come, per esempio, siccità, desertificazione, diluvi, grandinate massicce, aumento della temperatura dei mari e innalzamento degli oceani. Tutte manifestazioni del cosiddetto “riscaldamento globale”, che indica il cambiamento del clima terrestre sviluppatosi a partire dalla fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo e tuttora in corso.

Le principali cause sono ormai ben note e sono strettamente legate all’azione dell’uomo: utilizzo di combustibili fossili, allevamenti intensivi del bestiame, deforestazione, con conseguente incremento dei gas serra presenti nell’atmosfera, in particolare anidride carbonica, metano, gas fluorati, ossido di azoto. E il tutto avviene secondo un circolo vizioso che si autoalimenta.

Caldo record a novembre 2021

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Gerd Altmann da Pixabay

A livello globale, il mese di novembre 2021 è stato stimato come il quinto novembre più caldo mai registrato, secondo quanto ha reso noto un comunicato firmato Copernicus, il servizio meteo dell’Ue.
La temperatura media mondiale, nello stesso periodo considerato, è stata quasi 0,2ºC inferiore rispetto a quella di novembre 2020, che aveva già segnato un record, ma molto vicina alle temperature degli altri mesi di novembre più caldi: nel 2015, 2016 e 2019. La temperatura, nel Paesi europei, si è complessivamente avvicinata alla media 1991-2020, sempre per l’intera stagione autunnale.

L’Irlanda, la Gran Bretagna e la Scandinavia meridionale hanno registrato un caldo autunnale pressoché senza precedenti. Le regioni in cui le colonnine di mercurio hanno toccato gradi notevolmente al di sopra della media, sia per novembre sia per la stagione, includono la maggior parte del Nord America, specialmente il Canada nord-orientale, gran parte della Siberia e la maggior parte dell’Africa e del Medio Oriente. Il mese e l’intera stagione sono stati più freddi della media nell’estremo oriente della Russia e in Alaska, e in gran parte dell’Asia centrale e dell’Australia.

La situazione italiana

Questo pazzo pazzo clima
Foto di David Mark da Pixabay.

Che l’andamento climatico sia ormai fuori controllo si può vedere bene anche analizzando esclusivamente la situazione specifica del nostro Paese. In base ai risultati del Rapporto dell’Osservatorio CittàClima 2021 di Legambiente, in Italia, dal 2010 al 1° novembre 2021, sono stati registrati 1.118 eventi meteorologici estremi, tra alluvioni, trombe d’aria e ondate di calore (133 nell’ultimo anno, +17,2% rispetto alla scorsa edizione del rapporto) in 602 comuni (+95 rispetto allo scorso anno, quasi +18%) con 261 vittime (9 solo nei primi dieci mesi di quest’anno).

Di anno in anno, dunque, continua a crescere il numero degli episodi catastrofici e dei comuni colpiti nella Penisola. Sono state individuate 14 aree del Paese dove si ripetono con maggiore intensità e frequenza maltempo e danni. Si tratta di ampie zone urbane e di territori costieri dove la cronaca di simili episodi è senza soluzione di continuità: intere città come Roma, Bari, Milano, Genova e Palermo, ma anche la costa romagnola e quella settentrionale delle Marche, con 42 casi, così come la Sicilia orientale e la costa agrigentina con 38 e 37 emergenze.

A Siracusa, l’11 agosto, si è raggiunto il record europeo di 48,8 °C. Ma sempre questa parte della Trinacria, così come il catanese, è stata teatro di devastazione a seguito del medicane (uragano) Apollo. Nell’area metropolitana di Napoli si sono verificati 31 eventi estremi. Tra gli altri territori, ci sono il Ponente ligure e la provincia di Cuneo, con 28 casi in tutto, il Salento, con 18 eventi di cui 12 casi di danni da trombe d’aria, la costa nord Toscana (17 eventi), il nord della Sardegna (12) ed il sud dell’isola con 9 casi. Quattordici, invece, quelli legati a episodi di forti grandinate.

Le proposte di Legambiente

Tornado a Licata
Agrigento. Ciclone su Licata.

Per l’associazione ambientalista italiana ci sono almeno quattro obiettivi prioritari a cui tendere per ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici.

Innanzitutto, l’approvazione del Piano di adattamento a essi: il fatto che finora non sia stato varato ha inciso pure sulla programmazione delle risorse di Next Generation UE (strumento temporaneo per il rilancio dell’economia nell’Unione Europea da oltre 800 miliardi di euro).

Si tratta di un documento necessario per arrivare preparati alla fine del 2022, quando sarà possibile rivedere gli interventi previsti dal Recovery Plan (la visione strategica che ogni Stato membro dell’Unione ha delineato per l’utilizzo dei fondi per la ripresa), nelle aree urbane e non solo reputate più a rischio.

Ma è altrettanto necessario prevedere finanziamenti e interventi mirati per le 14 aree del Paese più colpite dal 2010 ad oggi. Per Legambiente il “Programma sperimentale di interventi per l’adattamento ai cambiamenti climatici in ambito urbano” del Mite (Ministero Transizione Ecologica) – che finanzia interventi nei Comuni con più di 60 mila abitanti – va certamente in questa direzione, ma occorre fare qualcosa di più, individuando le aree prioritarie e introducendo un fondo pluriennale per le città.

Va rafforzato, inoltre, il ruolo delle Autorità di Distretto e dei Comuni negli interventi contro il dissesto idrogeologico. Infine, bisogna rimettere mano alle norme urbanistiche per salvare le persone dagli impatti del clima: si continua a costruire in aree a rischio idrogeologico, ad intubare corsi d’acqua, a portare avanti interventi che mettono a rischio vite umane durante piogge estreme e ondate di calore.

Bilancio della COP26
Esperti provenienti da tutto il mondo si sono riuniti da poco a Glasgow, in Scozia, insieme a Capi di Stato, scienziati, attivisti e imprenditori, per concordare un’azione concertata e collettiva, nell’ambito di una sfida tutt’altro che insignificante.

Si è parlato di oltre 30 mila delegati, che hanno partecipato alla 26a Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (COP26).

Ma che cosa è stato concluso, al termine del summit? Ha ragione Greta Thunberg, la giovane attivista verde svedese, a parlare di “bla bla” inconcludente e opaco, da parte di leader che ha accusato di “bluffare” sugli impegni, mentre lei e tanti altri ragazzi, ma non solo, sono rimasti fuori, in piazza, sotto la pioggia, per continuare a esercitare pressioni “dal basso” e sensibilizzare l’opinione pubblica?

Anzi, secondo la Thunberg, il documento finale stilato al termine della conferenza mondiale mostrerebbe che “sono riusciti persino ad annacquare il bla bla”, come ha detto la stessa Greta in un’intervista rilasciata alla BBC.

Premesse, promesse e macanze
Nel documento finale della Cop26 qualche piccolo passo avanti c’è stato, ma in generale aleggia un po’ di vaghezza. Una delle principali novità riportata nel testo è che Paesi del mondo mirano ora a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi dai livelli pre-industriali.

L’Accordo di Parigi del 2015, invece, poneva il limite a 2 gradi, e fissava a 1,5 gradi il punto ottimale. È stato poi posto l’obiettivo minimo di decarbonizzazione per tutti gli stati firmatari, attraverso il taglio del 45% delle emissioni di anidride carbonica al 2030 rispetto al 2010, e zero emissioni nette intorno alla metà del secolo.

Le nazioni sono state invitate anche a ridurre in modo consistente gas serra (metano e protossido di azoto). Oltre 130 Paesi (tra cui Russia, Cina, Brasile) si sono accordati per fermare la deforestazione al 2030, con uno stanziamento di 19,2 miliardi di dollari, e per ridurre del 30% le emissioni di metano al 2030 (ma senza Cina, India e Russia).

Un patto di collaborazione tra USA e Cina

Joe Biden.
Xi-Jinping

Venticinque Stati (inclusa l’Italia) hanno deciso di porre un freno al finanziamento di centrali a carbone all’estero, e altri 23 di cominciare a dismettere il carbone per la produzione elettrica.

Va premuto l’acceleratore sull’installazione di fonti energetiche rinnovabili e sulla riduzione delle centrali a carbone e dei sussidi alle fonti fossili.

Sul fronte degli accordi internazionali raggiunti durante la Cop26, la novità più rilevante da segnalare risulta il patto di collaborazione fra Usa e Cina sulla lotta al cambiamento climatico.

Le superpotenze rivali accettano di lavorare insieme su tutti i dossier che riguardano il clima, dalle rinnovabili alla tutela degli ecosistemi. La Cop26, infine, ha riconosciuto formalmente l’importanza di giovani, donne e comunità indigene nella lotta alla crisi climatica.

Ha stabilito, inoltre, che la transizione ecologica debba essere giusta ed equa, sollecitando gli Stati ricchi a raddoppiare i loro finanziamenti. Tuttavia il fondo, pari a 100 miliardi di dollari l’anno, resta una promessa, visto che non è stata fissata una data per la sua attivazione. Inoltre non sono stati previsti stanziamenti ad hoc per colmare le perdite e rimediare ai danni del cambiamento climatico nei territori più vulnerabili.

Per saperne di più: ♣

Ritiro dei ghiacciai
Report Legambiente
Conclusione Cop26
Il commento finale di Greta Thunberg alla Cop26

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Giornalista, genovese di nascita ma milanese di adozione, si occupa di attualità, costume, società, non profit, moda ed entertainment, e anche di teatro e cinema ("grandi fabbriche di sogni", dice, "officine di creatività e cultura"). Anche se si è dedicata prevalentemente alla carta stampata, è presente in rete e ha fatto brevi incursioni in radio e in Tv. Mailto: cristina_penco@yahoo.it