di Massimo Biecher. Gli archetipi legati a Ipponoo e Pegaso e al combattimento con la Chimera.
Nella prima parte di questo articolo, avevamo introdotto la Chimera; grazie alla rilettura di questa figura mostruosa mediante i canoni della psicologia archetipica, che condensa in sé le cosiddette antinomie, le contraddizioni ed i paradossi della vita. Questa volta invece, esamineremo l’episodio più celebre, quello della battaglia che ha per protagonista Bellerofonte in compagnia del mitico cavallo Pegaso.
Chi era veramente Bellerofonte ?

Come abbiamo visto nella prima parte, il vero nome di Bellerofonte era Ipponoo che, a seconda delle fonti rinvenute, di era figlio del Re Glauco, oppure di Poseidone o, secondo Esiodo, di entrambi.
Partendo dalla constatazione che nei racconti dei miti greci nulla è per caso ma è tutto è metafora, abbiamo deciso di vedere cosa si nasconde dietro il nome del nostro eroe, nella speranza che esso ci indichi qualcosa riguardante la sua indole.
Se analizziamo da punto di vista etimologico il nome Ipponoos, notiamo che consiste nella giustapposizione di due sostantivi. Il primo è Ippos, che significa cavallo, il secondo è noos che vuol dire, intelligenza, perspicacia, intelletto e secondo il vocabolario Liddlle-Scott-Jones, saggezza.
In pratica gli antichi hanno voluto dirci che il figlio di Poseidone era colui che possedeva l’intelletto, la saggezza del cavallo, ovvero quell’istinto che ci porta a scoprire la nostra vera natura.
L’importanza dell’etimologia del nome
Incuriositi dalle qualità che poteva aver ricevuto in dote dalla madre Eurymede, abbiamo deciso di eseguire un’indagine etimologia del nome col solito metodo da noi usato, ovvero quello spiegato da Platone nel Cratilo, che si basa sull’associazione libera di idee, sull’assonanza che intercorre tra i termini o la loro eventuale relazione omofonica, scoprendo che deriva da eurys, quindi largo, spazioso e meden, che significa il niente, il nulla.
Ora, com’è possibile che Ipponoo abbia avuto per madre una persona che rappresentava il nulla assoluto, quindi una persona dotata né di spessore, né di intelligenza?
A sciogliere questo dilemma, ci viene in soccorso un racconto di Esiodo, il Catalogo delle donne secondo il quale ad informarci che fu lo stesso Zeus a scegliere per padre Poseidon (Glauco infatti divenne solo successivamente il padre adottivo), inviando poi sua figlia Atena ad insegnare ad Eurymede tutta la sua arte.
“ [Allora] un profumo meraviglioso si levò dalle sue vesti d’argento mentre si muoveva e la bellezza si diffondeva dai suoi occhi.” Che la menzione di un abito di argento sia significativa, lo deduciamo dal fatto che in greco antico argento si diceva ydrargyros, letteralmente il mercurio liquido. Ed essendo il mercurio, il metallo caro ad Ermes il dio dell’intuizione, Esiodo voleva dirci che ella avesse ricevuto anche questo dono. Dono che poi trasmetterà al figlio.
Pegaso, il cavallo alato

Per comprendere quali fossero gli archetipi concentrati attorno alla figura di Pegaso – guidati dal motto di Saint Exupery, “l’essenziale è invisibile agli occhi – abbiamo provato ad andare oltre alle apparenze. Le ali sul dorso infatti, stavano sicuramente ad indicare che fosse un animale libero ed indomabile e che quindi sarebbe stato assai arduo fargli indossare le briglie senza uno stratagemma.
Se consideriamo che il termine usato dagli antichi greci per briglie fosse kalinòs, che a sua volta proviene dalla radice kalà, che significa argine, diga, comprendiamo che esse evocavano sentimenti legati alla limitazione della libertà.
Zeus, pertanto, fa intervenire la figlia Atena che, essendo nata dalla sua testa, personifica l’intelligenza unita al buon senso, consegna nelle mani di Ipponoo delle briglie d’oro. Attenzione però, perché l’oro, che in greco antico si diceva crysos, all’interno di questo contesto non è un riferimento al metallo prezioso in sé, ma al Crisomallo, il famoso Vello d’Oro, quindi ad un materiale che trasforma l’indole di chi lo indossa.
E difatti Pegaso, diventa mansueto e disponibile a farsi cavalcare. Ma il nome Pegasos deriva da pegaìos e quindi da peghè (che significa fonte o sorgente) ed anche dal aggettivo sos (cioè tuo), quindi starebbe per “colui che sta presso la sua sorgente”. In altre parole incarnerebbe l’archetipo di coloro che, come afferma Jung nei Tipi Psicologici, hanno compiuto il percorso di individuazione, vale a dire quel “processo di differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale.”
Pegaso e le acque di Poseidone

Ma il cavallo di cui stiamo parlando è lo stesso che, sbrecciando con uno zoccolo una roccia del monte Elicona, provocò l’apparizione di una sorgente miracolosa, detta Ippocrene, che letteralmente significa “fonte del cavallo” e che in seguito venne consacrata alle Muse.
Queste acque ci fanno venire alla mente quelle del lago di Lerna che, come avevamo raccontato nel paragrafo già pubblicato su karmanews.it ed intitolato Amimone, il satiro e Poseidone, sgorgavano nel punto in cui la roccia era stata frantumata dal Tridente scagliato da Poseidon e simboleggiavano l’accesso al mondo delle emozioni e degli istinti.
Non solo, ma Esiodo al verso 23 del suo poema mitologico la Teogonia, ci informa che egli stesso, allora misero pastore, avvicinatosi un giorno presso la fonte Ippocrene, ricevette dalle Muse che dimoravano presso di essa l’ispirazione artistica che lo trasformò nel poeta immortale che ben conosciamo.
La porta d’ingresso alla propria anima
Ora, se invece di prendere alla lettera il racconto di Esiodo ragioniamo anagogicamente, desumiamo che egli volesse dire che questa, metaforicamente parlando, è la porta di ingresso che permette l’accesso ai mondi sotterranei della propria anima.
Quei mondi di cui Poseidon sarebbe il signore e dove ciascuno di noi può rinvenire la propria essenza e talento. Talento, che una volta scoperto, fece sì che Esiodo abbandonò il mestiere di pastore in favore di quello del poeta che per primo mise per iscritto le storie mitiche degli dei.
Questo racconto mitologico trova conferma nel modello elaborato da Platone, il quale usava indifferentemente i termini eidos-idea e ousia-essenza per indicare quelle immagini archetipiche che costituirebbero la materia prima sia dell’anima che dell’universo e che erano relegate in quel mondo trascendente, dove la forma coincide con la sostanza, detto Iperuranio.
La battaglia come metafora delle difficoltà della vita
Adesso che possediamo sufficienti indizi per osservare da una nuova prospettiva la battaglia tra il mostro ed il nostro eroe, procediamo con l’analisi del combattimento.
Dopo aver conficcato sulla punta della lancia un pezzo di piombo, Ipponoo in groppa a Pegaso scaglia l’arma in direzione della bocca fiammeggiante della Chimera; e l’arma, raggiunto il bersaglio, si fonde, causando la morte per soffocamento del mostro.
A prima vista ci verrebbe da dire: tutto qui? In realtà diversi sono i simboli, a nostro avviso estremamente interessanti, che possono fornirci indicazioni utili su come affrontare le contraddizioni della vita e sanare le controversie.
Invece di usare la lancia come avrebbe fatto qualunque altro cavaliere, Bellerofonte ha avuto quella che si potrebbe definire un’idea geniale, quella di inserire un pezzo di piombo sulla punta della lancia. Se ci pensiamo bene, nemmeno Zeus contro il mostro Tifone che emetteva fiamme incandescenti dalla bocca aveva avuto un’idea simile .
Da dove proviene questa genialità?

In parte dal fatto che egli, come abbiamo visto in occasione dall’analisi etimologica del nome, possedeva l’istinto del cavallo, ovvero era in grado di avere contatto diretto con gli archetipi primordiali, quelli che il filosofo americano Casey chiamava immaginazione archetipale o fantasia.
Tramite la madre, ha ricevuto l’intuizione, incarnata dal dio Ermes, colui che aveva con sé il caduceo, guarda caso il simbolo che rappresenta la congiunzione degli opposti, ovvero l’arte di saper mediare i conflitti.
Infine, essendo egli un cavaliere, è colui che sa tenere imbrigliato il proprio istinto, che sa andare dritto al bersaglio ed è in grado perseguire i propri obiettivi, simbolizzati qui dalla lancia che non va intesa come strumento di guerra, ma come mezzo duttile, adattabile e malleabile proprio come il piombo sulla punta.
L’insegnamento che traiamo da questo racconto è che gli imprevisti o le contraddizioni, quelle che che ci fanno mancare la terra sotto i piedi (ricordiamo che Ipponoo e Pegaso combatterono sollevati dal suolo) non vanno affrontati a testa bassa, ma mediante l’intuizione, la creatività e la fantasia.
Bibliografia
Carl Jung Mysterium Coniunctionis, Bollati Boringheri
Carl Jung – L’uomo ed i suoi simboli, Raffaello Cortina
Carl Jung – Tipi psicologici, Bollati Boringheri
Mario Trevi – Simbolo, progetto. utopia, Rivista di Psicologia Analitica
Jolande Jacobi – Il Simbolo, Bollati Boringheri
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