di Massimo Biecher. La Chimera rappresenta i dilemmi e le contraddizioni che ci pone la vita: ma noi come reagiamo di fronte ad essi?
Nei miti greci vi sono alcuni personaggi, come i mostri e gli eroi, che incarnano le paure che quotidianamente proviamo ed i suggerimenti su come esse, secondo gli antichi, vadano affrontate. In questa puntata affrontiamo il simbologiamito
La storia di Bellerofonte
Cominciamo col narrare la storia facendo riferimento all’Iliade di Omero e al libro Biblioteca dello scrittore del II sec a.C. Pseudo Apollodoro. L’eroe è un giovane di nome Ipponoo, soprannominato Bellerofonte per aver ucciso un tale di nome Bellero. Di nobile nascita, era figlio di Glauco, Re di Corinto, mentre secondo Apollodoro, era figlio del dio Poseidone.

Evidenziamo che attribuire la paternità ad un dio non era un espediente letterario, che agli occhi di un lettore contemporaneo può apparire inverosimile ed ingenuo, ma secondo la nostra rilettura starebbe ad indicare un determinato attributo psicologico che caratterizzava il protagonista.
Egli ci viene descritto come un personaggio dalla vita travagliata e costellata da una serie di vicende sfortunate che iniziano con l’assassinio involontario di un concittadino di nome Bellero, che lo costringe a rifugiarsi nella città di Tirinto per espiarne la colpa.
Qui viene ospitato dal Re Preto e dalla regina Stenebea (da stenos, forte e potente, e da boys, vacca).
Gli antichi, che tra l’altro consideravano la vacca come l’animale forte e possente a cui far trainare l’aratro, volevano forse suggerirci che lei fosse particolarmente capace a dirigere ed influenzare gli altri e, in questo caso, il proprio marito. Infatti, venendo respinta da Ipponnoo che aveva tentato di sedurre, manipolò il marito, convincendolo del contrario.
A questo punto Preto, costretto ad onorare le leggi greche relative all’ospitalità che gli impedivano di uccidere un ospite, lo invia dal re Liobate assieme ad una lettera che conteneva l’invito di eliminare a posto suo il nostro eroe. Invece di macchiarsi di questo delitto, Liobate chiede a Bellerofonte di abbattere la Chimera che stava facendo razzia del suo bestiame, sicuro che non sarebbe sopravvissuto. Invece, in groppa al suo cavallo alato, il mitico Pegaso, lui la sopprime.
Descrizione della Chimera

Ma chi era questa figura enigmatica che è entrata a far parte del linguaggio comune con l’espressione che fa riferimento ad un’illusione o ad un’idea improbabile ?
Nell’Iliade Omero ce la descrive “[…] di stirpe divina, non di uomini, nella parte anteriore un leone, nella parte posteriore un serpente, e nel mezzo una capra, respirando in avanti in modo terribile la potenza del fuoco ardente.”
Al contrario delle figure bestiali precedentemente incontrate, più che un mostro temibile questa figura ci sembra uno scherzo della natura.
Di lei sappiamo che era la figlia di Tifone, il mostro più terrificante di tutti e di Echidna, che nella metà superiore era una ninfa ed in quella inferiore al posto delle gambe, aveva due serpenti.
È probabile che l’aspetto bizzarro che la caratterizzava, derivasse proprio dai suoi genitori.
Ma facciamo un passo avanti e domandiamoci quali fossero, al di là del suo aspetto fisico ed in accordo con l’approccio da noi adottato, gli archetipi che questa figura personificava.
Cosa simbolizza questo animale mostruoso?
Cominciamo col far notare che suo padre, come avevamo spiegato nell’articolo dedicato al combattimento che era intercorso tra lui e Zeus, rappresenta l’archetipo della rabbia incontrollabile ed esplosiva, frutto di una ferocia vendicativa che aveva per obiettivo la madre Era, mentre da Echidna, eredita il serpente velenoso situato a posto della coda. Infatti in greco antico echidna vuol dire vipera, ovvero serpente velenoso.
La chimera pertanto, che secondo il racconto di Pseudo Apollodoro sfogava la sua aggressività “devastando il paese e tormentando il bestiame”, condensava in sé una rabbia distruttiva e generalizzata.
Vediamo adesso, mediante l’analisi etimologica del nome, se siamo in grado di rinvenire qualcos’altro.
Iniziamo col dire che in greco antico il nome si pronunciava chimaira, ovvero capra, di cui ricordiamo, possedeva il collo e la testa e che si tratta di un animale che ben si adatta ai climi freddi.
Un altro indizio ce lo fornisce lo studioso di mitologia Kerenyi, il quale riporta alcuni racconti che asserivano che fosse vissuta un solo inverno.
Un archetipo legato ai paradossi e ai dilemmi

Sarà un caso, ma la parola con cui il nome chimaira condivide la radice è chiòn, che significa neve, che se da un lato ci riporta al freddo dei climi invernali, dall’altro è un’immagine che si pone in antitesi con il calore sprigionato dalle fiamme emesse dalla bocca del leone.
Non solo, ma se osserviamo con attenzione alcune immagini, notiamo che la testa della capra è rivolta all’indietro, in senso opposto alla direzione in cui si rivolge lo sguardo del felino.
Queste considerazioni ci fanno comprendere che questo capriccio della natura condensi in sé l’archetipo che sta dietro ai dilemmi, alle contraddizioni, ai paradossi ed alle stravaganze.
Tra l’altro c’è una montagna dell’antica Licia, che tutt’ora emette fiamme attraverso le pietre, battezzata dagli antichi Chimera.
Di fronte ad una siffatta visione, ci pervade un sentimento di disorientamento, stupore o sgomento, simile a quello che proviamo quando ci troviamo a dover scegliere tra due alternative, una in antitesi all’altra.
Oppure allo stato d’animo che avvertiamo quando, di fronte ad una contraddizione apparentemente insanabile, proviamo la sensazione che ci manchi la terra sotto i piedi.
Come reagire a questo stato d’animo?
Facciamo la premessa che durante i nostri studi, abbiamo scoperto – e molte evidenze in favore di questa tesi ce lo hanno confermato – che lo scopo di questi racconti è quello di contenere anche alcuni suggerimenti su come paure o turbamenti, possano essere affrontati. Nel caso di oggi, cosa volevano dirci gli antichi su come reagire ai contrasti, ai paradossi o come riconciliare le contraddizioni ?
Noi ne abbiamo scoperti due. La prima, incarnata nel personaggio di Amisodaro, la seconda la incontreremo nel prossimo articolo, quando parleremo di Ipponoo-Bellerofonte e del cavallo Pegaso.
Amisodaro: colui che è senza rancore
Di questa figura di secondo piano, ci sono giunte ben poche informazioni.
Sappiamo che era un Re della Licia e padre di due giovani resi immortali dal fatto di aver partecipato alla guerra di Troia. Ma in quelle poche righe che parlano di lui, troviamo un indizio molto interessante per la nostra ricerca. Citiamo il passo dell’Iliade: “Amisodaro, colui che allevò la furiosa Chimera, una rovina per molti uomini”.
Ora, il termine allevare, presuppone che questa creatura sia stata nutrita, educata e cresciuta da una persona che evidentemente non si sentiva a disagio di fronte ad essa, né tantomeno, diversamente dal Re Liobate, la temeva.
Come avrà fatto allora Amisodaro a stabilire una relazione ?
Non disponendo di altre fonti letterarie abbiamo pensato che forse, anche questa volta, partendo dal presupposto che per gli antichi valesse in detto nome omen abbiamo effettuato una ricerca etimologica intorno al nome del Re.
Ed infatti, Amisodaros deriverebbe dall’unione dalla particella privativa a e dal termine misos, che significa odio, rancore o risentimento e da daros, che significa a lungo o lungamente. In altre parole, Amisodaro sarebbe colui che è in grado di restare lungamente senza rancore.
La Chimera come desideri o aspirazioni personali

Da alcuni vocabolari dei contrari, leggiamo che chi è senza rancore è colui che prova sentimenti come indulgenza, comprensione, perdono, concordia, fratellanza e solidarietà, attributi che ben si confanno alle persone dotate di un buon equilibrio interiore. Oppure di coloro che sono capaci di mantenere la calma di fronte agli imprevisti e di ricomporre i dissidi.
Stiamo parlando di quell’attitudine che permette la cosiddetta congiunzione degli opposti, la stessa che il filosofo del VI sec a.C. Eraclito chiamava l’enantiodromia, ovvero ricercare l’armonia in mezzo alle contrapposizioni ed alle contraddizioni.
Ricordiamo che Carl Jung ispiratosi a questo concetto filosofico, affermava che il mondo psichico di ciascuno di noi è fatto di contraddizioni che se però vengono rimosse od ignorate, vuoi perché ci spaventano, vuoi perché è difficile accettarle, diventano inconsce finendo per farci perdere la cosiddetta consapevolezza di sé.
Insomma, da un punto di vista archetipico, la Chimera rappresenterebbe quei desideri o aspirazioni personali che per tutta una serie di motivi legati all’educazione od al contesto storico in cui viviamo, siamo costretti a mettere da parte e ad ignorare, finendo per generare una sorta di disagio che, restando inespresso e sotterraneo, conduce come dice il racconto omerico, ”alla rovina molti uomini”.
Ecco allora che per superare i contrasti interni, i disagi indefinibili e quindi inconsci, per compiere quel processo di scoperta della nostra parte più autentica, quello che Jung chiamava il processo di individuazione, è necessario possedere lo spirito di Amisodaro, cioè di colui che mediante la ricerca dell’equilibrio, giunge alla ricomposizione delle contraddizioni interne ed esterne.
Non è ignorando o facendo le guerre contro gli altri o noi stessi che cresciamo, ma solo accettando, integrando o riconciliando tutto ciò che è diverso od apparentemente contraddittorio.
Per saperne di più:
♣ La chimera su Wikipedia
♣ Esiodo Theogony. 319 si parla di chimera
♣ Pseudo Apollodoro Biblioteca 2.3.1 e 2.3.2
♣ Omero, Iliade VI 180-184 descrizione chimera
♣ Hes. Th. 300 descrizione echidna
♣ Omero, Iliade XVI, v. 328 Amisodaro
♣ Omero, Iliade 16.328
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