La gentilezza: il segreto di un’unione felice

Essere disponibili nei confronti dell’altro, prestare le giuste attenzioni, non lasciare cadere nel vuoto i suoi inviti al dialogo e alla condivisione. Secondo recenti studi condotti da John Gottman, psicologo dell’università di Washington – ricerche decennali, iniziate a metà degli anni ’80 e ripetute periodicamente per verificare risultati ed eventuali variazioni – ciò che fa davvero la differenza nella durata di un rapporto di coppia non è una passione dirompente o la natura più o meno brillante e talentuosa di uno dei due, bensì la generosità nel desiderio e nell’atto di concedersi al partner quotidianamente. In una parola, la gentilezza.couple_ll_120522_wg
Com’è giunto Gottman a questa conclusione? Il resoconto delle sue ultime osservazioni è stato pubblicato sul magazine americano The Atlantic. A distanza di sei anni dal precedente focus, lo psicologo e i suoi collaboratori hanno scoperto che le coppie che hanno retto sono quelle in cui i partner si mostrano reciprocamente pronti a soddisfare i bisogni emozionali dell’altro; viceversa quelle apparentemente tranquille, ma in cui l’uno o l’altro vivono intimamente in uno stato perenne di preallarme, pronti ad attaccare o a essere attaccati, si sono separate o hanno divorziato.
Masters e Disasters: così, con una punta d’ironia, il ricercatore etichetta le tipologie emerse dallo studio. I primi sono coloro che sono pronti ad apprezzare le iniziative del coniuge e a rispondere a esse in modo propositivo; i secondi, viceversa, sono quanti non badano alle richieste di scambi d’interazione delle loro dolci metà e anzi, il più delle volte manifestano disinteresse o peggio, rimarcano sbagli e mancanze.Tutto può essere esemplificato dalla cosiddetta “prova del cardellino”. Poniamo che un marito appassionato di birdwatching richiami l’attenzione della moglie per mostrarle l’esemplare che ha appena adocchiato. Lei può correre alla finestra per condividere quel momento, oppure non curarsene affatto e continuare quello che stava facendo.

Lo psicologo americano John Gottman.
Lo psicologo americano John Gottman.

Certo la scena non è di per sé significativa, ma è interessante ciò che essa nasconde e sottintende: la ricerca di un confronto e l’importanza di assecondarla. Non in modo passivo, beninteso, ma partecipando a propria volta in prima persona allo scambio. Il segreto per un matrimonio duraturo, dunque, starebbe nel “venirsi incontro” costantemente, costruendo continui ponti tra partner per superare le divergenze e per rinsaldare l’unione.

Un’attitudine rivoluzionaria
«Siate ambiziosi, viaggiate, sognate, desiderate, impegnate a farvi una cultura e a trovare un lavoro. Cercate il vostro posto nel mondo. Ma soprattutto, non dimenticatevi mai di essere gentili».
È uno dei passaggi chiave del Commencement speech – una di quelle orazioni tenute da un personaggio famoso davanti a una platea di laureandi a stelle e strisce (come il celebre discorso pronunciato da Steve Jobs a Stanford nel 2005) – tenuto alla Syracuse University dallo scrittore George Saunders, autore del bestseller Dieci dicembre, osannato dal New York Times. Un discorso che ha fatto il giro del mondo tramite passaparola virtuale e tam tam mediatici.
L’invito alla gentilezza del letterato nasce, in particolare, da un ricordo personale che conserva il sapore amaro del rammarico. Se infatti si guarda indietro, Saunders non rimpiange i suoi periodi di povertà, e nemmeno certe leggerezze compiute in gioventù, bensì quelle situazioni in cui non è stato aperto a sufficienza verso il prossimo. E cita un caso concreto e personale: era in seconda media quando nella sua classe arrivò una ragazzina, Ellen (nome di fantasia per rispettarne la privacy). Molto timida, sempre in disparte, con occhialoni fuori moda e una ciocca di capelli tra le labbra per il nervosismo. Decisamente la preda ideale per i ragazzini più bulli… Poi un giorno la piccola sparì, traslocò nuovamente con la sua famiglia e di lei non se ne seppe più nulla.

George Saunders,
Lo scrittore americano George Saunders, autore di “Dieci dicembre”.

Ancora oggi, ogni volta che ci ripensa, Saunders prova dispiacere: è infatti vero che, rispetto alla maggioranza dei suoi coetanei, non prese mai di mira la povera Ellen, ma certo non la difese nemmeno apertamente. Si limitava a non darle fastidio, questo sì, magari osservandola da lontano quando, timorosa, usciva a giocare tutta sola nella parte anteriore di casa sua… Ma non era il genere di aiuto di cui avrebbe avuto bisogno la nuova arrivata per sentirsi accolta con un po’ di gentilezza, appunto.
Perché ci risulta tanto faticoso essere gentili con gli altri? Eppure chissà quante Ellen abbiamo incontrato da piccoli ma anche da adulti sul nostro cammino. Chissà in quante occasioni noi stessi siamo stati e ci troviamo a essere un po’ Ellen…
E se ci domandassero a bruciapelo di nominare le persone per le quali abbiamo provato più affetto, chiede Saunders, non inizieremmo proprio da quelle che con noi sono state più cordiali? Non trascuriamo il lato più sensibile che abbiamo dentro di noi e che è presente in qualsiasi altra persona che troviamo nei nostri ambienti, anche quella che in apparenza si mostra più dura e imperturbabile. Forse ci spaventa mostrarci gentili perché temiamo di passare per deboli, nell’errata convinzione che un sorriso, una carezza, una mano tesa in segno di offerta manifestino la nostra vulnerabilità. Che siano gesti passati di moda, poco spettacolari, non incisivi.

Dalai Lama
Il dalai lama Tenzin Gyatzo.

Eppure, dietro un’apparente fragilità, la gentilezza ha invece in sé qualcosa di profondamente rivoluzionario. «Kindness is my religion», ha affermato spesso il Dalai Lama Tenzin Gyatso. «Sono convinto che a qualunque livello, familiare, tribale, nazionale, internazionale, coltivare la compassione costituisca la chiave per aprire la porta su un mondo felice. Non abbiamo bisogno di diventare religiosi, non abbiamo bisogno di ideologie. Abbiamo invece bisogno di sviluppare le qualità umane».
Tornando nuovamente a Saunders, ecco come prosegue il suo Speech rivolto agli studenti: «Fate ciò che vi può indirizzare verso le risposte a quelle grandi domande, cercando di tenervi alla larga dalle cose che possono sminuirvi e rendervi banali. Quella luminosa parte di voi che esiste al di là della vostra personalità – la vostra anima, se ci credete – è tanto luminosa e brillante quanto nessun’altra. Luminosa come quella di Shakespeare, luminosa come quella di Gandhi, luminosa come quella di Madre Teresa. Sbarazzatevi di tutto ciò che vi può tenere lontani da quella luminosità nascosta» (© George Saunders 2013 – Traduzione di Anna Bissanti).
Non vengono forse in mente, per assonanza, le parole piene di speranza donateci da un’altra grande mente illuminata? Quella di Nelson Mandela, scomparso lo scorso dicembre: «La nostra paura più profonda è di essere potenti oltre ogni limite. È la nostra luce, non la nostra ombra, a spaventarci di più».
Occorre coraggio per tirare fuori quella scintilla divina che ciascuno ha dentro di sé, intimamente nascosta. «Io sono il padrone del mio destino, Io sono il capitano della mia anima» (dalla poesia Invictus).
In realtà ogni piccolo pensiero e gesto possono contribuire a celebrare la kindness nelle nostre vite quotidiane: ricordava il noto regista e sceneggiatore italiano Carlo Mazzacurati, che ci ha lasciato a inizio anno «ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile. Sempre».

Il libro di George Sauners
Il video con il suo intervento: http://www.youtube.com/watch?v=ruJWd_m-LgY

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Giornalista, genovese di nascita ma milanese di adozione, si occupa di attualità, costume, società, non profit, moda ed entertainment, e anche di teatro e cinema ("grandi fabbriche di sogni", dice, "officine di creatività e cultura"). Anche se si è dedicata prevalentemente alla carta stampata, è presente in rete e ha fatto brevi incursioni in radio e in Tv. Mailto: cristina_penco@yahoo.it