di Donatella Galletti. Un racconto sul mistero che si svolge fuori dal tempo nel castello di Galliate.
La torre si ergeva intrepida: aveva affrontato attacchi, fatti cruenti dentro e fuori, amori, affetti e devozione. Le basi della fortezza costruita attorno all’anno Mille erano ancora solide e nascoste sotto i mattoni dei Visconti, con i loro ricordi.
Non era semplice continuare ad abitarla.
I capelli corvini e il giubbotto di pelle, il vestito in velluto cremisi, l’eleganza del duca erano sempre con lui, ma non avrebbe rivelato il proprio nome a nessuno, non ancora.
Estranei si avventuravano nella sua magione, profanandola in assoluta leggerezza, passandogli accanto ignari e senza rispetto.
Ombre, non erano altro che ombre, di fronte ad una realtà ben definita, che era il suo essere, il suo sentire che non era cambiato. Il tempo non era forse un’idea? Ne era certo.
Abitava al primo piano della torre del Castellano, quella a Nord Est, e i visitatori potevano ancora vedere il bel pavimento in cotto, senza forse intuire che i colori con i quali era stato dipinto erano vivi, fatti dai migliori pittori della zona.
Alle pareti c’erano affreschi di scuola leonardesca, non inferiori a quelli del Monastero di San Maurizio a Milano. Gli arazzi appesi alle pareti arrivavano dalla Francia, preziosissimi, intessuti d’oro.
Entrando, arrivati dalle strette scale, si passava un corridoio altrettanto stretto, costruito per la sicurezza, così che due armigeri con la spada e lo scudo avrebbero avuto difficoltà ad entrare, e avrebbero comunque dovuto deporre le armi.
A metà corridoio gli aveva detto il padre che c’era un tempo una cappelletta, risalente chissà a quale secolo, con una Madonnina da pregare. Ora rimaneva un piccolo riquadro e il senso di compostezza proprio delle chiese.
Alla fine del corridoio una pesante tenda di cuoio proteggeva il duca e i suoi ospiti dalla fredda aria che arrivava dalle scale, e un secondo tendaggio di velluto rosso introduceva in modo più consono alla grande ed elegante sala quadrata.
Sulle volte dipinti gli stemmi della casata, dei Visconti, e prima di entrare, passata la tenda, un dolce paesaggio lacustre, con piante ed animali da cacciare che si affacciavano a salutare l’ospite senza timore.
Mastro Leonardo aveva dato l’idea e anche qualche tocco personale, quando era stato al Castello a creare la grande sala del tesoro, nel sotterraneo della torre, con quell’ingegnosa apertura meccanica e segreta. Sì, era stata profanata in seguito e il meccanismo si era guastato.
Le luci della sala erano calde, l’atmosfera accogliente, il fuoco acceso nel braciere.
Guardò alla grande finestra, arrivavano altri visitatori. Le loro sembianze gli erano famigliari, qualcuno di loro lo riconosceva, ma le vesti erano di una strana foggia, arrivavano ridicoli al suo cospetto, ma non erano i buffoni di corte.
Una dama sembrò notarlo: era così tanto tempo che si voleva sfogare e raccontare come era stato colto di sorpresa alle spalle, nonostante tutte le sue precauzioni.
Un giorno erano arrivati due figuri in armatura, preceduti dalla loro grande rabbia, e si erano lamentati per questioni di terre. Come osavano? Era lui il Signore delle terre attorno e poteva disporne come preferiva, non doveva nulla a nessuno. Oppugnavano pergamene leggendo articoli e codicilli, sostenendo che volevano le terre per sé e che il Signore del Castello avrebbe dovuto concederle, più che prendersele con la forza e la prepotenza. Parlavano in modo forbito, ma era il verbo della prepotenza: la loro, non la sua, che era nato per diritto con borgo e Castello.
Li aveva mandati via, ma quando erano tornati lo avevano colto alle spalle, pugnalato prima, poi gli avevano tagliato la gola con un pugnale, sempre standogli alle spalle, codardi.
Era caduto a terra. Il suo corpo era lì, per terra, e si guardava incredulo per tanta tracotanza altrui. Eppure aveva conservato una vitalità tale da superare il fatto fisico.
Ogni tanto si mostrava, ma non riusciva a far apparire agli altri, con i loro marchingegni che dipingevano senza pennelli, che una luce blu che vagava, a volte nel fossato, a volte sulla torre.
Stava bene, era il Signore del luogo, perché avrebbe dovuto andarsene?
Disegni di Donatella Galletti
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