di Cristina Penco. Se l’inquinamento dei mari continuerà, nel 2050 il peso della plastica presente nelle nostre acque supererà quello dei pesci, con danni irreversibili per l’ambiente.
Le tartarughe appena nate raggiungono il mare a fatica, facendosi largo tra la microplastica che ingolfa la spiaggia. L’immagine-simbolo arriva da Lara Beach, a Cipro, un’oasi minacciata dall’inquinamento nel parco naturale della penisola di Akamas. Sembra siano state inascoltate, negli ultimi anni, le numerose e frequenti denunce degli ambientalisti sullo stato di abbandono e degrado in cui versa la zona.
Il Mediterraneo, con la sua notevole biodiversità, è uno degli ecosistemi più minacciati al mondo dalle microplastiche. Secondo rilevazioni e stime, in tutto il suo bacino, ogni anno, sarebbero oltre 40mila le tartarughe marine destinate a perdere la vita a causa di questo genere di inquinamento.
Sui suoi fondali sono stati rilevati finora almeno 1,9 milioni di frammenti nocivi (dati WWF), come quelli di cui è piena la spiaggia di Cipro, su una superficie di un solo metro quadrato.
Più in generale le contaminazioni negli oceani costituiscono la più grande minaccia per la sopravvivenza delle testuggini.
Attualmente una su due, tra loro, si ritroverebbe con materiale tossico nello stomaco, ricettacolo, oltretutto, di virus, batteri e molto altro. Il rischio di occlusioni, soffocamento, strangolamento e ferite letali per queste creature è più che mai alto.
Il danno delle microplastiche
Stiamo parlando delle cosiddette “microplastiche secondarie”, prodotte dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi, come buste di plastica, bottiglie o reti da pesca. Nell’ambito dei rifiuti marini, la loro quantità è in aumento in modo preoccupante. Già quattro anni fa, nel 2017, l’Onu aveva dichiarato che c’erano 51 mila miliardi di particelle di quel genere che infestavano i mari del pianeta, 500 volte più numerose di tutte le stelle della nostra galassia.
Le microplastiche “primarie”, invece, sono particelle aggiunte volutamente a prodotti d’uso comune come i cosmetici o quelle che si formano per effetto abrasivo, ad esempio nell’utilizzo degli pneumatici o nel lavaggio dei tessuti. Ma anche queste concorrono, purtroppo, alla presenza della marine litter, della spazzatura negli oceani, minacciando costantemente l’ecosistema.
Nuovi divieti sulle spiagge
In Thailandia, quest’estate, le autorità stanno correndo ai ripari per preservare l’ambiente marino, tanto da mettere dei paletti ai turisti che si vogliono tuffare nelle acque cristalline che lambiscono oasi e piccoli paradisi incontaminati.
A fronte di sanzioni elevate, superiori ai 2.000 euro, sono state bandite lozioni e creme solari che rischiano di interferire con l’ecosistema, soprattutto coi coralli più delicati, ostacolandone la riproduzione e contribuendo allo sbiancamento. Gli ingredienti messi all’indice sono ossibenzone, ottilmetossicinnamato, 4-metilbenzilidene canfora, utilizzati di solito come filtri per le radiazioni Uv; e poi il butilparabene, adoperato come conservante o come profumo.
Già dal 2020 l’isola di Palau, in Micronesia, nell’Oceano Pacifico, era stata la prima realtà al mondo a vietare la vendita e l’importazione di prodotti solari contenenti 11 componenti ritenuti tossici per l’ambiente. E, prima ancora, nel 2018, lo stato delle Hawaii aveva annunciato l’intenzione di vietare l’ossibenzone e l’ottilmetossicinnamato dalle lozioni solari commercializzate sulle isole, misura applicata all’inizio del 2021.
Disastri ambientali
Non parliamo, poi, dei disastri ambientali, come quello che si è verificato in tempi recenti nelle acque al largo della capitale dello Sri Lanka, Colombo. Un incidente nel quale è divampato un incendio che ha sprigionato fumi tossici e si è verificato uno sversamento nelle acque di oli e combustibili.
È quello che è successo a una nave cargo partita da Singapore che trasportava centinaia di tonnellate di prodotti chimici, affondata al largo della costa occidentale cingalese, dopo aver preso fuoco a causa di una perdita di acido nitrico (a fronte di un carico di 25 tonnellate di questa sostanza oltre a ingenti quantità di idrossido di sodio e altre sostanze altamente nocive).

Secondo i dati forniti dal Centro mediterraneo sui cambiamenti climatici, l’acido nitrico riversato dalla nave dovrebbe essersi dissolto rapidamente in acqua, mentre le microplastiche stanno galleggiando sulla superficie, dirette verso la riva.
Le previsioni elaborate indicano che le sostanze fuoriuscite dovrebbero raggiungere la costa entro 15 ore dal momento della rottura dei serbatoi e spandersi in un’area compresa tra Negombo, città a 37 chilometri a nord di Colombo, e l’area di Panumugama, nello stesso distretto. Sulle spiagge circostanti si sono arenati rifiuti nocivi, microplastiche e detriti bruciati provenienti dall’imbarcazione.
Una marea nera di greggio
A febbraio 2021 la costa mediterranea israeliana è stata raggiunta da una marea nera di greggio – forse fuoriuscita da una o più petroliere che stavano navigando al largo – spinta da una tempesta. Migliaia di volontari si sono mobilitati per ripulire le spiagge, cercando di mettere in salvo tartarughe e altri animali marini totalmente ricoperti dal materiale inquinante, ma l’impresa sembra infinita: in quattro ore sono state raccolte tre tonnellate di catrame in un’area di 200 metri.
Ci vorranno settimane, forse mesi, per completare la pulizia, secondo la valutazione dell’Autorità per la Natura e i Parchi Nazionali.

“Un chiaro monito rispetto alla necessità di liberarsi dal giogo dei combustibili inquinanti e di completare quanto prima la transizione verso le rinnovabili”, come ha sottolineato la ministra dell’Ambiente Ghila Gamliel durante un sopralluogo insieme al primo ministro Benjamin Netanyahu.
Da più parti c’è una nuova sensibilità ambientale, non solo presso gli attivisti, ma anche tra le istituzioni. Eppure resta ancora molto da fare.
Dal 1992 a oggi, quando è stata istituita la Giornata mondiale degli Oceani, organizzata da The Ocean Project e dal World Ocean Network e riconosciuta dall’Onu dal 2008, lo stato di salute dei mari a livello globale purtroppo non è migliorato, anzi.
Nonostante gli allarmi ricorrenti sull’importanza di preservare gli ecosistemi marini, lanciati anche in occasione delle giornate per la biodiversità e per l’ambiente, lo sfruttamento delle risorse, l’inquinamento e l’emergenza climatica mettono a rischio la sopravvivenza delle specie marine e dei milioni di persone che vivono delle risorse oceaniche, essenziali per la produzione di ossigeno, oltre che di cibo, e per l’assorbimento della CO2.
I dati diffusi da Legambiente
Secondo i dati diffusi da Legambiente in occasione della 28esima edizione di Clean Up The Med, campagna dell’associazione ambientalista che ha visto oltre 1.500 partecipanti per la pulizia delle spiagge estesa a tutto il Mediterraneo, a fronte dell’iniziativa portata avanti da più di 1.500 volontari dagli 8 ai 70 anni in 16 Paesi diversi sono state raccolte in 630 sacchi di immondizia dieci tonnellate di rifiuti, di cui il 90% è plastica: bottiglie e bottigliette, seguite da tappi, bicchieri e frammenti eterogenei.
Nel 60% delle spiagge monitorate sono stati ritrovati guanti, mascherine o rifiuti legati alla cattiva gestione dei dispositivi di protezione anti Covid, in Libano e Tunisia in quantitativo maggiore, ma presenti anche in Algeria, Croazia, Grecia, Italia e Spagna. La pandemia, certo, ha aggravato la situazione, ma questa era già gravemente compromessa. E, secondo le valutazioni degli esperti, se gli attuali trend d’inquinamento non verranno modificati, nel 2050 il peso della plastica presente nelle nostre acque supererà quello dei pesci.
Urgono politiche comuni
Ai monitoraggi della campagna Clean up the Med si sono aggiunti quelli effettuati su sette spiagge mediterranee “da sogno”: Isole Baleari (Menorca), Creta (Skaleta), Istria (Labin), Salento (Lecce e Taranto), Cirenaica (Apollonia) ed Epiro (Parga). Si tratta di luoghi rinomati e ricercati dai turisti che però nascondono consistenti quantità di beach litter, spazzatura da spiaggia, 335 ogni 100 metri lineari, dei quali l’87% costituito da plastica, proveniente, in particolare, da cotton fioc, tappi, reti da pesca, bottiglie e mozziconi di sigaretta.
“C’è l’urgenza assoluta di adottare politiche comuni a tutte le coste del Mediterraneo nella gestione dei rifiuti, sia nella loro produzione che nel loro smaltimento”, ha commentato Giorgio Zampetti, Direttore Generale di Legambiente. “A livello europeo la direttiva SUP, per ridurre il monouso in plastica, e a livello nazionale, il decreto legislativo per il suo recepimento rappresentano un traguardo importante”.
Ha aggiunto Zampetti: “Per mettere in atto una vera e propria rivoluzione contro il marine litter occorrerà estendere il bando dell’usa e getta a tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, unito a norme più stringenti anche sugli altri rifiuti più comuni che si trovano sulle spiagge”. Tutti siamo chiamati a vivere l’ambiente marino – l’ambiente in toto – in modo responsabile. E a fare, ciascuno, la propria parte.
Immagine di copertina: credits Pxfuel free download
Per saperne di più:
https://www.wwf.it/cosa-facciamo/campagne/generazionemare/
https://www.eea.europa.eu/it/segnali/segnali-2018/articoli/un-oceano-di-plastica
https://www.italiaoggi.it/news/thailandia-crociata-contro-le-creme-solari-2529372
Non solo oceani: un video girato a Roma da Alida Mazzaro sullo stato del Tevere
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