di Manuela Pompas. Pubblichiamo un articolo scritto per il bollettino dell’Aism, in ricordo di Eder, un uomo semplice, ma anche un grande sensitivo di grande levatura spirituale
Se ne è andato in silenzio, senza clamore, senza avvisare quasi nessuno della sua malattia, per non turbare né disturbare, come aveva fatto tutta la vita. Anche se molti lo cercavano – Giorgio Cozzi, che l’aveva scoperto, lo portava nei convegni e qualche volta in televisione – lui era rimasto modesto. Gestiva un bar a Solaro che poi aveva lasciato al figlio e non si era mai montato la testa. Eder era un semplice, un termine che nel suo caso è un complimento, come lo sono stati uomini di grande statura spirituale.
Ed è andato incontro alla morte con grande consapevolezza e serenità, certo che il trapasso sarebbe stato solo il passaggio da una dimensione materiale a una spirituale.
Una grande sensitività e sempre modesto
Personalmente avevo conosciuto Eder alla fine degli anni ’70. Ricordo il nostro incontro come fosse avvenuto ieri. Ero andata a intervistarlo per “Gioia”, il magazine femminile per cui lavoravo, e lui mi aveva raccontato la sua storia con la semplicità e la modestia che l’ha sempre accompagnato.
Avendo saputo che la facoltà che lo contraddistingueva era la psicometria, cioè la capacità di “leggere” gli oggetti, ne avevo portati con me, in particolare una coppia di orecchini a cerchio fatti con due fili di ottone intrecciati, che ovviamente avevano un storia.
Due anni prima ne avevo perso uno a Istanbul. Tornata in albergo la sera, li avevo appoggiati sul mobiletto del bagno, ma la mattina dopo ne avevo trovato uno solo. Avevo cercato l’altro dappertutto, perché pur essendo solo bigiotteria mi piacevano molto. Disfacendo la valigia una volta tornata a Milano avevo controllato di nuovo, ma l’orecchino non c’era più.
Otto mesi dopo la mia futura suocera aveva sentito cadere qualcosa di metallo sotto il suo letto e aveva raccolto… il mio orecchino. Era proprio lui, con la stessa fattura e la stessa sigla incisa nella clips. Altra cosa strana, quello che mi era rimasto avevo perso la doratura, mentre quello trovato da lei era come nuovo, come fosse appena stato dorato.
Avevo dato a Eder proprio l’occhino ritrovato. Lui l’aveva preso tra le mani, aveva chiuso gli occhi, concentrandosi. “È un regalo di un’amica, comprato su una bancarella”, disse. E io pensai: “Ecco, un altro bidone, come tanti altri che si inventa le cose”.
“No, mi sono sbagliato”, si corresse. “Questo orecchino per te rappresenta il collegamento tra la vita attuale e quella passata. Ti vedo mentre balli in una città araba, vedo un letto a baldacchino e una grande sala piena di divani”, proseguì, descrivendo la casa di una mia vita passata a Fez, in Marocco. “Ma vedo anche una grande città con tanti minareti, attraversata da un fiume a serpentina”. Bingo! Istanbul.
Ai convegni gli portavano degli oggetti e lui… li leggeva

L’ho rivisto tanto altre volte. Quando al Corriere della Sera a un giornalista erano sparite delle penne di valore, l’avevo presentato a Cesare Medail, un giornalista della Terza pagina, che gli aveva fornito l’astuccio che le conteneva. E lui aveva individuato la persona che le aveva rubate, poi rintracciato, che le aveva restituite.
Negli anni ho assistito a tanti suoi esperimenti, molti dei quali nei convegni cui aveva partecipato con Giorgio Cozzi, praticamente senza quasi mai sbagliare. Prima dell’esperimento il pubblico portava a Cozzi degli oggetti che venivano messi in una busta, per cui né Giorgio né Eder sapevano a chi appartenessero. Lui ne prendeva uno e si concentrava, con risultati spesso sbalorditivi.
Il braccialetto legato a Napoleone III
Un esperimento interessante l’aveva fatto per me. Negli anni ’80 l’avevo invitato in un mio gruppo di sviluppo della sensitività, dove avevo chiesto ai miei allievi di portare un oggetto che avesse una storia particolare da sottoporgli. Una ragazza aveva con sé un portatovagliolo d’argento di sua nonna. “No, questo non è un portatovagliolo, ma un bracciale, e non è di tua nonna, ma di una tua trisavola che è vissuta ai tempi di Napoleone III”, le disse Eder.
Informandosi in casa, la ragazza scoprì che quanto le era stato detto – e che lei ignorava – era vero. Da un punto di vista del risultato, era stato importante sapere che lei ignorava la storia dell’oggetto, perché in questo modo si poteva escludere la telepatia. I particolari erano arrivati a Eder proprio dal “campo informazionale” dell’oggetto.
L’unica volta in cui l’ho visto in difficoltà fu in una trasmissione di Canale 5 in cui eravamo insieme a Silvio Garattini – presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” e anche socio onorario del CICAP – che negava totalmente la possibilità delle facoltà ESP e del paranormale, creando un campo energetico di opposizione e rifiuto tale da bloccare il sensitivo, che ha bisogno di operare in una situazione di calma e accoglienza, anche se di sana critica.
Tuttavia il ricordo che mi ha lasciato non è dei suoi successi o delle sue eccezionali facoltà. Di lui ricordo il suo sguardo mite affacciato a un’altra dimensione, non tanto quella del paranormale, ma quella dello spirito. Emanava un campo di armonia e di saggezza che trasmetteva alle persone che lo avvicinavano, rasserenandole e facendo percepire intuitivamente come fosse importante elevarsi dal piano materiale a quello dell’etica, del soprannaturale.
Grazie Eder, spero che ci seguirai anche dalla dimensione in cui ti trovi per guidarci verso vette a noi sconosciute….
Foto di copertina
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