
Il Babaji di cui voglio parlarvi apparve nel 1970, con l’aspetto di un giovane sadhu della foresta, a Hairakhan (pronuncia Herakhan), un piccolo villaggio alle pendici dell’Himalaya, nella regione dell’Uttarakhand. Questa regione, in passato chiamata Kumaon, è la terra dove da secoli hanno risieduto mistici e anacoreti e dove si trovano i templi più antichi e sacri a Shiva. La natura quasi incontaminata di questa zona ne fa uno degli ultimi santuari della tigre.
Sri Babaji visse dapprima in una piccola grotta ai piedi del monte Kailash, sulle rive del fiume Gotami Ganga, poi vicino all’antico tempio che sorge su una collina sull’altra sponda del fiume, dove negli anni è stato costruito un grande ashram. Il Suo motto era “Verità, Semplicità e Amore”, che può apparire banale, ma il modo in cui lui incarnava questi principi era impressionante. Le pratiche più comuni, il Karma yoga e la japa (recitazione del mantra). Il mantra principale Om Namah Shivay che significa “mi arrendo a Shiva, al Sé Transpersonale”. Nell’ashram ci si alzava per il bagno al fiume alle quattro di mattina anche d’inverno e si lavorava e si meditava molte ore al giorno. Sino al 1983 non c’era energia elettrica e la vita è sempre stata molto spartana. Invero ciò che dava senso a tutta la giornata erano i darshan, momenti in cui si interagiva con lui o si meditava ai suoi piedi. Babaji comunicava con la presenza, con lo sguardo e i suoi pochi discorsi, mal tradotti e fuori contesto, non permettono di comprendere il suo ineffabile messaggio di risveglio.
Di aspetto ancora giovane, il 14 febbraio del 1984 Baba lasciò il corpo dopo una breve malattia. Chi scrive era presente nei drammatici giorni della sua scomparsa. Nei sei anni precedenti avevo soggiornato a lungo nell’ashram e per i 30 anni successivi ho passato l’inverno laggiù.
Tra i devoti indiani c’erano sia personaggi famosi sia umili contadini e anche fra gli occidentali vi erano i personaggi più diversi: Steve Jobs, fondatore della Apple, incontrò Babaji negli anni ‘70. Ne ricevette un nome spirituale, in seguito dimenticato, e non rimase a lungo all’ashram perché non ne sopportava la dura disciplina. Tra i ragazzi americani passati per Herakhan ci sono anche alcuni dei futuri fondatori di Google. Come ho detto, vennero le persone con le storie più diverse e a ognuno Baba trasmetteva qualcosa di toccante e ineffabile.
Un uomo venuto dal mistero
Al momento della sua apparizione nessuno sapeva chi fosse e da dove venisse. Si dice che Chandramani, un abitante del villaggio, avesse sognato il nonno defunto che era stato devoto del vecchio Herakhan Baba (il santo cui era dedicato il tempio di Herakhan), il quale gli disse di recarsi nella grotta ai piedi del monte Kailash (omonimo della montagna sacra del Tibet), che sorge dirimpetto al villaggio. Là avrebbe incontrato uno Yogi che altri non era che lo stesso Herakhan Baba e invero una manifestazione di Shiva. Chandramani si svegliò in piena notte e si recò secondo le indicazioni del sogno alla grotta e lì trovò Sri Babaji in profonda meditazione.

Si dice che il vecchio Herakhan Baba fosse una grande incarnazione spirituale che viveva una vita ritirata e misteriosa e si faceva vedere di rado dai devoti e solo in caso di necessità. Era scomparso nel 1922 entrando in acqua alla confluenza di due fiumi in Nepal e, a quanto si racconta, scomparendo in una bolla di luce davanti ad alcuni devoti stupefatti.
Gli abitanti del villaggio dopo pochi giorni riconobbero in Sri Babaji una sua reincarnazione perché, seppure sembrasse un giovane tra i 16 e i 20 anni, conosceva la vita dei loro nonni ed eventi che solo il vecchio Herakhan Baba poteva sapere. Mostrò anche straordinarie capacità yogiche, quando, recatosi sulla cima del monte Kailash, rimase immobile in meditazione per 40 giorni e 40 notti.
Per gran parte dei devoti indiani Sri Babaji era l’incarnazione divina la cui venuta era stata profetizzata e preparata da Mahendra Maharaj. Secondo quanto si racconta, quando Mahendra Maharaj aveva solo cinque anni aveva sognato uno Yogi che gli offriva del prasad (cibo benedetto) e questo sogno gli era rimasto tanto impresso che da adulto, finiti gli studi universitari e un periodo di meditazione e ritiro che avevano rivelato il grande mistico che era in lui, partì alla ricerca del Santo che gli era apparso in sogno e che intuiva essere il suo Satguru.
Dopo aver viaggiato per l’India in lungo e in largo invano, nel 1949, giunto ad Almora, vide in un negozio una fotografia di Herakhan Baba e riconobbe in lui il maestro che cercava. Felice di aver finalmente trovato il suo Guru, partì alla volta di Herakhan e lungo la via si fermò nel piccolo tempio di Siddhasrham che è nascosto nella foresta.
Qui seppe che Herakhan Baba era scomparso ventisette anni prima. Disperato si chiuse in una stanza deciso a non uscirne sinché Baba non si fosse mostrato.
Dopo ore d’intensa meditazione Babaji si manifestò e gli disse che sarebbe riapparso nel 1970 a Herakhan, gli affidò il compito di preparare il suo ritorno e gli dette un mantra segreto che sarebbe servito a riconoscerlo. Durante la sua vita Mahendra disse sempre che tutti i fatti miracolosi che i devoti gli attribuivano non venivano da Lui, ma dal Babaji che sarebbe riapparso.
Mahendra morì nel 1969 con migliaia di devoti che lo piangevano, ma prima di lasciare il corpo aveva rivelato il mantra a un suo devoto, Vishnu Datt Shastri di Rajgar, un colto bramino, professore di Sanscrito, poeta, astrologo e chiaroveggente, che tutti conoscevamo come Shastriji, e fu quindi lui a riconoscere Babaji.
Le storie in India sono sempre molto complesse infatti a questa origine di Sri Babaji se ne aggiunge un’altra ed entrambe sono generalmente accettate, né sono mai state causa di discussione negli ashram. Per numerosi occidentali Sri Babaji era il santo descritto in Autobiografia di uno Yoghi di Paramahansa Yogananda. Molti infatti erano giunti a Lui attraverso la lettura di questo famoso libro.

Ciò che colpisce è il fatto che tutti quelli che l’avevano incontrato raccontavano le più straordinarie coincidenze che li avevano guidati da Lui. E ogni storia era coerente con le loro peculiari credenze cosicché ognuno si sentiva confermato nella sua interpretazione della storia. Per qualcuno Babaji era l’incarnazione del Santo di cui Mahendra Maharaj aveva profetizzato la venuta. Per altri era il Babaji di Yogananda, per altri la reincarnazione di un maestro tibetano scomparso cinque secoli fa.
Invero davanti a Lui non veniva neppure in mente una domanda del genere. Io ricordo che la Sua presenza emanava qualcosa di così intimo, intenso e profondo che m’impediva di pensare e mi portava al qui e ora. In quei momenti comprendevo che quello era lo spirito, oltre le parole e il pensiero. E da quella prospettiva domandarsi chi fosse Babaji era l’ultimo dei problemi.
Per la mente occidentale è molto difficile comprendere la psiche indiana e la teoria della reincarnazione è falsamente interpretata come se fosse l’ego a reincarnarsi.
Viviamo in un momento storico in cui c’è un’enorme confusione culturale su termini come Ego, Io, Sé, Anima, Spirito, per cui oggi il novanta per cento della spiritualità che vediamo offerta in mille modi nel mercato New Age è invero una parodia della vera spiritualità, proprio a causa del fatto che si confonde l’Ego con il Sè. Come scrive Ken Wilber: “Ogni individuo intuisce giustamente di condividere la stessa natura dell’Atman, ma distorce tale intuizione applicandola al suo sé separato; ritiene che il suo io sia immortale, onni-comprensivo, centrale nel cosmo, estremamente importante. Cioè, sostituisce l’Atman con l’ego. Poi, anziché trovare la totalità effettiva e senza tempo, si limita a sostituirla con il desiderio di vivere eternamente; anziché fondersi con l’universo desidera possederlo; anziché fondersi con Dio si sforza di fare la parte di Dio”.
La vera spiritualità cerca il vero Sé nell’unione con il tutto mentre l’Ego è mosso da desideri e paure ed è condizionato dalla competizione e dall’egoismo. Lo spirito è impersonale, è un piano di coscienza sovramentale, non concettuale ed esprime verità eterne. La ricerca finisce quando si trova colui che sta cercando e riconoscendo la natura dell’io lo si trascende. Shiva per la filosofia indiana è il Sé. Quando intendiamo le cose da questa prospettiva le diverse interpretazioni possono coesistere perché lo Spirito che Sri Babaji incarnava non era “personale” ed era sintesi della saggezza che si manifesta come Sé nella spontaneità dell’attimo di un Essere in totale sintonia con il Tutto.
Un’incarnazione dello Spirito
In Autobiografia di uno Yogi, l’immagine che ritrae Sri Babaji ha una notevole somiglianza con il Babaji che era apparso in Herakhan.

Ricordo un esempio tra i tanti che paiono confermare questo legame, e nello stesso tempo far riflettere sul vissuto di coloro che come me l’hanno conosciuto. Una volta incontrai a Herakhan una signora dai chiari tratti eschimesi e, curioso di sapere come fosse giunta in quello sperduto eremitaggio da tanto lontano, le chiesi di raccontarmi la sua storia. In Groenlandia del Nord, dove abitava, le capitò tra le mani il libro di Yogananda e la notte stessa in cui aveva letto il capitolo su Babaji lo aveva sognato. Nel sogno Sri Babaji, che indossava una kurta di seta verde, le disse che la aspettava in India. Il sogno fu per lei impressionante, tanto che, senza esitare e senza alcun indirizzo, pochi giorni dopo salì su un aereo per Delhi. Giunta in città si rese conto di non avere idea di dove andare. Chiedere in giro se qualcuno sapeva dove poter trovare Babaji era fuori discussione, perché Babaji è un termine di rispetto generico con il quale ci si riferisce ai religiosi, ai rinuncianti e agli anziani e l’India è grande e ci sono milioni di Baba e di Babaji.
Allora si recò alla stazione dei bus a Kashmiri Gate e si trovò di fronte alle migliaia di bus della labirintica stazione con i cartelli indicatori delle destinazioni in hindi. Stava per essere colta dallo smarrimento quando vide una scritta in lettere latine su un bus che indicava Ranikhet. Ricordò che nel libro era citata questa cittadina, sulle montagne a circa 2000 metri di altitudine, a dieci, dodici ore di bus a Nord di Delhi. Salì sul bus e giunta a Ranikhet di nuovo non sapeva dove andare. Stanca e sconsolata fu spinta ad addentrarsi nel bosco di conifere fuori dal paese. Dopo un lungo cammino, quando stava per scendere la sera, vide il tempio di marmo bianco di Chilianaula e vi si recò chiedendo rifugio per la notte. Il mahant del tempio le disse che di solito per soggiornare al tempio ci voleva il permesso di Sri Babaji, che proprio quel giorno era ripartito alla volta di Herakhan, ma poiché era tardi le avrebbe trovato una stanza per la notte. La signora esterrefatta non credeva alle sue orecchie quando scoprì che il tempio dedicato a Herakhan Baba era stato fatto costruire da Sri Babaji. Davvero si trattava dello stesso Sri Babaji che aveva sognato? Così dopo una notte di riposo, il mattino seguente prese un altro bus per Kathgodam da dove, con portatori e cavalli risalendo il greto del fiume attraverso la foresta per una ventina di chilometri, giunse a Herakhan. E per prima cosa vide Sri Babaji, che pareva fosse lì per aspettarla vicino al fiume, che da lontano la salutava. Lo riconobbe identico all’apparizione del suo sogno e indossava un’identica kurta verde…
Era chiaro che si arrivava da Lui per un richiamo inconscio che non si può spiegare. Tale chiamata poteva manifestarsi prepotentemente attraverso i sogni o per sequenze di sincronicità incredibili. Io stesso sono giunto da Baba attraverso circostanze romanzesche e impossibili coincidenze, e sono stato testimone in sua presenza di fenomeni inspiegabili che non ho modo di raccontare in poche righe.
Babaji non pareva fare mai caso ai fatti miracolosi che accadevano attorno a Lui e tanto meno sottolineava il suo legame con Yogananda, con Mahendra o con il Tibet. Non dava alcuna importanza a tutte le storie che si dicevano su di Lui e ha lasciato molti nel dubbio, perché da un lato l’unica volta che citò pubblicamente Yogananda fu per dire che il libro Autobiografia di uno Yogi era romanzato al novanta per cento. D’altro canto in qualche occasione sembrò confermare questo legame. Sri Muniraj, il più eminente devoto indiano che Sri Babaji nominò guida degli ashram dopo la Sua scomparsa, un giorno mi mostrò un punto del terreno vicino al tempio Chilianaula nei pressi di Raniketh, che Babaji gli aveva indicato come il luogo in cui aveva iniziato al Kriya Yoga Lahiri Mahasaya. La data di tale iniziazione è il 1861!

Di aspetto ancora giovane, il 14 febbraio del 1984 Baba lasciò il corpo dopo una breve malattia. Chi scrive era presente nei drammatici giorni della sua scomparsa. Nei sei anni precedenti avevo soggiornato a lungo nell’ashram e per i trent’anni successivi ho passato l’inverno laggiù. Giunti a questo punto del racconto siamo pienamente immersi nella dimensione della spiritualità dell’India, in cui i simboli e gli archetipi sono ancora vivi e integrati nella cultura.
Di nuovo la mente cerca invano di dare un nome e di inquadrare nella tradizione un fenomeno misterioso: un individuo differente da tutti, portatore di una diversa consapevolezza; un’incarnazione dello spirito che non può essere colta dal pensiero e dalle parole e per questo è quasi impossibile parlarne.
Sri Babaji era una coscienza totalmente presente. Il suo sguardo vedeva oltre le maschere dietro cui l’uomo si nasconde. La dignità e intensità della sua presenza suscitavano la percezione della nostra stessa essenza atemporale. L’esperienza spirituale di fronte a lui era la percezione reale e immediata dell’Atman.
Per alcuni l’aver percepito quei momenti di luce è stato sufficiente per dare inizio a una trasformazione profonda, molti altri, come accade quando il maestro scompare, dimenticano quella Presenza e sono posseduti dagli aspetti mitici della storia, si sentono importanti per averlo conosciuto, ma invero adorano le ceneri del passato senza curare il fuoco.
Così molti centri diventano luoghi dove si imita la vita indiana vissuta ai tempi con Baba per tenerne vivo il ricordo ma, oltre ai riti e al pensiero devoto di alcuni, rimane ben poco. In questo modo l’egocentrismo non si dissolve ma a volte è addirittura rinforzato e le fantasie mentali prendono spesso il sopravvento. Per molti la religione diventa una stampella dell’ego e invece di unire divide ancor di più gli individui.
Babaji era uno specchio attraverso il quale trovare se stessi. Rivelava il vero Sé e i seguaci di un tale maestro dovrebbero coltivare l’autoindagine e non fantasie mentali su di Lui e sulla sua storia mitica. Chi l’ha conosciuto dovrebbe trasmettere la luce della consapevolezza risvegliata. Ma oggi la gente non sa come ricercare e si rivolge ai fenomeni esteriori e trascura l’essenza. Dimentica che sta cercando il cercatore, il vero Sé oltre la mente e l’io separato.
Di recente stanno giungendo dall’India notizie contraddittorie riguardo ad un prossimo ritorno di un nuovo Babaji a Herakhan. Sarà come quell’essere straordinario che ho conosciuto o sarà un impostore? Oppure né l’una né l’altra cosa?
Personalmente ho conosciuto qualche anno fa il Mahaavatar Babaji a Nanital, quando dubitavo della sua identità (leggendo il mio pensiero) come Maetro di Paramhansa Yogananda, mi invitò ad entrare nella sua casa e li alle quattro pareti della stanza vi erano attaccate tantissime foto di personaggi importanti, tra cui Omraam Mikhael Aivanhov…così capì che era lui che cercvavo!
Noi tutti ci identifichiamo con qualcuno e, tralasciando ciò che è la vera essenza in noi. Ascoltando il Maestro cechiamo la verità che ci risponde senza il giudizio, con lo spirito libero!