Zeus, un dio eroe e la paura

Continua la serie sulla mitologia greca e i suoi archetipi

di Massimo Biecher. Per il ciclo sugli eroi greci, analizziamo un’altra figura-simbolo molto importante della mitologia, Zeus, re dell’Olimpo, archetipo del Sé, un dio eroe, che ha anche paura.

Nei due articoli precedenti, abbiamo presentato alcuni racconti tratti dai miti dell’antica Grecia, nei quali animali, caratterizzati da forme orribili e raccapriccianti, avevano la funzione di raffigurare paure, angosce, nevrosi e timori, di cui siamo tutti, inconsapevolmente o meno, vittime.
Ad esse sono contrapposte figure antropomorfe (divinità, semidei od esseri umani), le cui gesta eroiche non sarebbero che un pretesto per mettere in mostra l’attutitine psicologica necessaria per affrontarle ed integrarle (si badi: a integrarle, non a sconfiggerle).

Zeus, un dio dispotico o un eroe?

Zeus un dio eroe pauroso
Louvre. La statua di Giove.

Oggi, introduciamo uno dei due eroi che avevamo incontrato nel primo articolo dedicato alla paura: ovvero Zeus (Giove per i romani).
Premettiamo che stiamo parlando di una figura molto più complessa ed articolata di quanto oggi venga sbrigativamente liquidata, ovvero quella di un re dispotico, di un padre-padrone facile all’ira o quella di un donnaiolo impenitente.

Etimologia
Zeus, letto da alcuni Zoys, per assonanza ci fa ricordare zos o zoos, cioè vivente, vivo, così come zoè significa vita, esistenza, modo di vivere, sostanze, averi.

Riteniamo pertanto, che egli rappresenterebbe l’archetipo del Sé o più precisamente del daimon eracliteo, ovvero di quel progetto unico ed originale racchiuso nella nostra anima che lotta per poter emergere durante la nostra esistenza.
È la nostra vera essenza: carattere, talenti, difetti, comprese le parti a noi ancora oscure, cioè inconsce. Così sono, per esempio, i neonati prima dell’interazione con le figure genitoriali ed aver appreso le regole della convivenza civile.

Zeus figlio di Crono e Rea.
Il padre era un uomo che oggi non faremmo difficoltà a definire orribile in quanto, temendo di essere spodestato da uno dei figli, appena essi venivano al mondo, li divorava. Come ogni aspetto riguardante gli dei della mitologia, ci preme sottolineare che ognuna di queste figure o le azioni da loro compiute, stanno allegoricamente per qualcos’altro.
Nel caso di Crono, egli mandava giù – o ignorava – i propri sentimenti.

La madre (la parte sensibile della sua personalità), inorridita dal comportamento del marito, viene consigliata di nascondere Zeus in una caverna – che in maniera significativa si chiamava Psycroy, molto simile alla parola Psyche, ovvero anima – dove venne nutrito dalle ninfe Meliadi con miele (meli in greco antico), ovvero con dolcezza e dal latte munto dalla capra Amalteia, il cui nome deriva dalle parole ama, cioè molle, tenera e da tea ovvero, dea.
Comprendiamo quindi, che il nostro protagonista fu accudito con dolcezza ed affetto.

Zeus e la battaglia contro Tifone.

Zeus un dio eroe pauroso
Zeus nutrito da Amaltheia e da Adrasteia.

Tifone, invece, è l’essere più orribile ed angosciante tra quelli presenti nei racconti mitologici.
Il suo busto era simile a quello di un uomo, nella parte inferiore aveva per gambe due serpenti intrecciati, così come la testa ed il corpo erano ricoperti da un fascio di serpenti.

Dalla sua bocca uscivano urla raccapriccianti e fiamme incandescenti. Appena si presentò al monte Olimpo con lo scopo di vendicarsi della madre Hera, scatenò il panico tra tutti gli dei.
Ognuno di essi allora si trasformò in animale.

La paura rivela i nostri lati nascosti
Secondo la nostra interpretazione, la trasformazione degli dei in animali, starebbe a significare che la paura ed il terrore rendono manifesta la nostra vera natura, quella che solitamente teniamo nascosta anche a noi stessi, la cosiddetta parte inconscia. Quella parte, che secondo la teoria psicoanalitica junghiana, si chiama Ombra.

Per esempio, Afrodite nata dal mare, diventa pesce, cioè sceglie colei che era stata sua madre, come luogo di protezione e che rappresenterebbe quindi, la tendenza alla regressione infantile di fronte alle difficoltà. Apollo, il dio che rappresenta il sole, la luce, l’iniziatore della medicina, si trasforma in corvo, l’uccello della notte, che divora i morti invece di guarirli, che prende energia dalla vita altrui invece di donarla.

Dioniso che è il dio della vitalità esuberante, diventa capra, il simbolo del sacrificio, quindi della privazione dei piaceri della vita. Hera, la madre di Tifone ed il cui nome evoca le parole esagerare, insuperbire, si trasforma in vacca, l’animale mansueto ed umile per eccellenza. Zeus invece si trasforma in ariete.

Tenuto conto che da altri racconti, Zeus viene spesso rappresentato come socievole ed espansivo (non si usa infatti dire che chi ama stare in compagnia, è gioviale?), mentre l’ariete, che ricordiamo, viene associato all’energia primaverile, simbolizzerebbe l’aggressività incarnata da Ares, quella violenta e brutale.
La leggenda, in altre parole, ci sta suggerendo che Zeus ha paura che la sua aggressività diventi impetuosa o perlomeno teme che gli possa “sfuggire di mano”. Un timore forse, comune a molti di noi.

La ragione: il primo antidoto contro la paura

Athena, dea della saggezza. Foto di Orna Wachman da Pixabay

Dopo essere stato messo di fronte alle proprie responsabilità di re dalla figlia Atena, che ricordiamo sarebbe stata partorita dalla sua stessa testa – come a dire che ella rappresenta l’uso della razionalità di fronte alle vicissitudini della vita – riprende le proprie sembianza e si trasferisce sul monte sul monte Casion per affrontare Tifone.

Per l’ennesima volta, rinveniamo tra le righe, un’altro indizio interessante, ossia che il nome del monte proviene dalla pianta leguminosa che lo ricopre in abbondanza, la casia o cassia. La Cassia Corymbosa, ormai destinata unicamente ad uso ornamentale, è dotata di foglie dalle caratteristiche alquanto curiose, probabilmente ben note agli antichi. Essa ha effetti lassativi, tant’è che nella lingua di Omero, il verbo cheso significa proprio andare di corpo.

In altre parole, il racconto alle orecchie dei suoi contemporanei, suggeriva che Zeus fosse talmente impaurito dall’idea di affrontare il mostro, che se la faceva letteralmente addosso dalla paura.
Non solo, la sua reazione successiva è anche irrazionale e maldestra. Esattamente come il padre Crono, ricordato come il falcifero, decide di affrontare Tifone con un falcetto.

Ma questa azione, che evidentemente non è consona con la sua vera natura, viene messa in atto in maniera goffa, così come capita a noi stessi quando fingiamo di essere quello che non siamo. Ed infatti il figliastro, gli strappa il falcetto dalle mani e recide i legamenti dei polsi.
In altre parole, Zeus perde la capacità di agire e si ritrova impotente di fronte alla paura.

La rinascita dell’eroe

Zeus un dio eroe pauroso
S. Pietroburgo. Hermitage. La statua di Zeus. Foto di Tatyana Kazakova da Pixabay.

A questo punto, il mostro, il cui obiettivo era in realtà la madre, abbandona Zeus assieme ai suoi legamenti, in una grotta detta Korykion antron, ovvero il sacco di pelle, che in antichità era la sacca nella quale si conservavano i viveri per il viaggio, forse a volerci dire che per Zeus fosse arrivato il momento di rifocillarsi o fuor di metafora, di rientrare in sé, dato che questa grotta ci ricorda quella dove aveva trascorso l’infanzia.

Qui viene preso in cura da Ermes, il cui bastone, detto caduceo, è oggi diventato il simbolo riconosciuto delle farmacie o dei luoghi di cura.
Siamo dell’opinione che Ermes non sia qui soltanto per guarirlo, ma per fornirgli la virtù dell’intuizione, che similmente a quello che avevamo visto con Ares, fornisce una marcia in più nella vita di ciascuno di noi, poiché permette di ampliare le potenzialità del pensiero razionale affiancandogli il pensiero istintivo, quello che oggi si chiama, intelligenza emotiva.

Eroe è colui che sa reagire alla paura
Ma per poter comunicare col mondo dell’intuizione, bisogna accedere agli archetipi che sono posti nel Tartaro sotto il dominio di Poseidon, guarda caso spesso ritratto alla guida di un carro trainato da cavalli. Ed infatti il re dell’Olimpo, non più dio eroe pauroso, riprese le forze, si mette all’inseguimento del gigante alla guida di un carro trainato da cavalli volanti, un’immagine molto simile a quella che Platone ci fornisce nel Fedro, quando descrive l’anima.

Zeus un dio eroe pauroso
Pestum. Carro e auriga trainati da due cavalli.

L’insegnamento che se ne ricava è che per avere accesso al mondo dell’intuizione bisogna possedere lo spirito innato del cavallo. Ovvero l’istinto. Grazie ad esso, Zeus spinge Tifone verso il monte Nisa, che ricorda la parola nyx, notte, che in senso figurato sta per oscurità, tenebre.

Ma questo è lo stesso luogo dove crebbe il dio Dioniso, colui che simboleggia la vitalità indotta dal vino e dal cibo, che è lo sforzo di esorcizzare mediante i cosiddetti piaceri della vita la paura più grande di tutte. Quella della morte.

Ed infatti, Zeus ripreso il dominio della situazione e di sé, riesce a relegare Tifone al di sotto del vulcano Etna. Quasi a significare che questa paura, seppur rimossa o lenita grazie ai piaceri della vita, può ritornare a galla in qualunque momento.

Per saperne di più
Massimo Biecher: vedi i suoi precedenti articoli sulla mitologia greca
Massimo Biecher: Tifone ed Efesto, due aspetti dell’aggressività

Loading

Ha studiato ingegneria elettronica, oggi è responsabile export. Migliora la sua competenza professionale approfodendo gli studi di economia, scienze comportamentali, psicologia e leadership. Mailto: massimo.biecher@icloud.com