di Donatella Galletti. La Rocca, che ha origini antichissime, ospita scorci suggestivi, interessanti affreschi, uno straordinario Museo delle bambole e… qualche mistero

La Rocca di Angera, sul lago Maggiore, domina con la sua possanza il lago e le terre adiacenti da almeno sette secoli.
La famiglia Borromeo la possiede da quando Vitaliano Borromeo la comprò per 12800 lire nel 1449, e la tiene in uno stato di conservazione eccezionale, se paragonata ad altri castelli sparsi per l’Italia.
Agli inizi del ‘600 Federico Borromeo fu insignito del marchesato di Angera da Filippo IV di Spagna e diede inizio al restauro della Rocca che stava già andando in rovina, chiamando pittori rinomati come Filippo Abbiati. L’opera di manutenzione e di abbellimento è continuata fino ai giorni nostri: il Castello ospita infatti il più grande d’Europa Museo della bambola e del giocattolo, fondato nel 1988 da Bona Borromeo.
Le antichissime origini della Rocca
L’origine della Rocca si perde per così dire nella notte dei tempi: il posto è stato abitato fin dal paleolitico, come si sa da ritrovamenti nella grotta di Angera. Parliamo di un periodo che precede il neolitico, l’età del ferro e del bronzo, ovvero tra i 40000 e i 10000 anni fa.
Nel 49 a.C. Angera diviene cittadina romana, quindi sicuramente i Romani hanno sfruttato la posizione dominante sulla Rocca per un fortilizio, lavoro proseguito dai Longobardi, ma nelle mura odierne non sono rimaste tracce di costruzioni antecedenti al XII secolo.
Si sa che nell’XI secolo c’era una struttura fortificata che divenne proprietà dell’arcivescovo di Milano e che dalla fine del 1300 per poco più di cinquant’anni la Rocca appartenne ai Visconti, per poi passare ai Borromeo, ricchi banchieri, sostenitori dei Visconti e del Ducato di Milano..
Il fascino del passato

Il fascino di un castello antico inizia vedendo la Rocca già in lontananza e avvicinandosi obbligatoriamente a piedi al posto di guardia che dava l’accesso all’interno delle mura.
Il tempo antico, fatto di passi lenti, aiuta ad immergersi in una dimensione passata. Si viene accolti dal giardino medievale, con una magnifica vista sul lago, sotto un pergolato, e si entra quindi nel cortile interno.
Suggerisco di sostare e guardarsi in giro prima di decidere se iniziare la visita dal museo della bambola e del giocattolo, a sinistra, o dall’antico torchio, nella costruzione a pian terreno a destra. Nel cortile ci sono alcuni sarcofagi in pietra.
Le proporzioni del torchio danno un’idea della quantità di vino raccolto e conseguentemente dei possedimenti della famiglia.
Dove si raccoglieva il mosto è presente una vasca in pietra, probabilmente un sarcofago riutilizzato, interessante da un punto di vista radiestesico. Se gli oggetti contengono una memoria misurabile su una scala, nella quale si va dalla morte all’espressione più spirituale ed elevata della vita, come sarà il cibo contenuto in un ex sarcofago?
Bambole e giocattoli insoliti
Per vedere con attenzione tutte le bambole e i giocattoli esposti, non basta una giornata: ci sono infatti ben dodici sale con più di mille bambole. C’è anche una sezione dedicata agli automi, prodotti tra la fine dell’Ottocento e gli anni venti del Novecento.
La prima sala, entrando dal cortile, è dedicata a bambole extraeuropee antiche: ci sono quelle di pezza peruviane, ancora vendute simili ai giorni nostri, altre giapponesi ed altre inquietanti come solo alcune bambole o idoli sanno essere.
Nelle sale che seguono sembra di entrare in una sala dei giochi di bambini di altri tempi, e ci si può lasciar trasportare dalla sorpresa o dalle varie emozioni che invariabilmente vi seguiranno.
In esposizione i giochi più svariati, come un teatrino con suore e preti per dire messa (21 tra alti prelati, chierichetti ecc) e un gioco da tavolo con carte per predire il futuro (probabilmente per signore, con domande in francese, se saranno amate da un bel marito, diventeranno ricche ecc.).
Antiche suggestioni
I corpi di fabbrica sono cinque: la Torre Castellana, l’Ala Scaligera, l’Ala Viscontea, la Torre di Giovanni Visconti, l’Ala dei Borromeo.
La Torre Castellana è il nucleo più antico: nel XII secolo serviva a controllare il traffico lacustre e il territorio. Da lì si scorgono le parti costruite in epoca viscontea; l’Ala Scaligera e appunto quella Viscontea, costruite un secolo dopo la Torre (1350).
Ottone Visconti ottenne la Rocca dopo la battaglia di Desio del 1277, contro i Torriani: nella Sala della Giustizia vi sono affreschi che illustrano appunto la vittoria di Ottone, dipinti dal Maestro di Angera. Si tratta di uno dei cicli medievali meglio conservati della Lombardia.
Gli affreschi dell’Ala Scaligera, commissionati da Bernabò Visconti in onore della moglie Regina della Scala, presentano sia il biscione visconteo che la scala, simboli delle due famiglie. Nella Sala delle Cerimonie ci sono affreschi di metà ‘400, portati a strappo dal palazzo Borromeo di Milano distrutto dai bombardamenti del ’46. Sono della scuola di Michelino da Besozzo, un esempio di pittura tardogotica lombarda a soggetto profano.
Le misteriose figure simboliche nella Sala della Giustizia

Nella Sala della Giustizia ci sono delle figure particolari: un uomo con tre teste barbute, una creatura con due teste con becco e sei zampe, una figura antropomorfa rossa con corna.
Interessante notare come nella scultura post paleolitica esistano delle figure a più teste, spesso barbute. Un antico dio celto-gallico era rappresentato così, prima tricefalo, e in periodo più recente bicefalo.
C’è anche un uomo con le corna: è un diavolo o ha a che fare con Cerunnus, l’antico dio celtico cornuto? Nei bestiari medievali gli animali avevano un significato preciso, ad esempio le colombe avevano significati diversi a seconda del colore.
Le figure raffigurate dal Maestro di Angera non rientrano negli schemi che si trovano comunemente: è possibile che ci fosse un substrato di tradizioni molto più antiche, magari con ritrovamenti di sculture antiche di qualche migliaio di anni che siano servite da ispirazione?
Dalla Ala della Giustizia si sale all’antica Torre da una scala di legno a vista su una immensa parete. Il panorama dall’alto vale la fatica di salire numerosi gradini.
Storie di fantasmi e simboli antichi
Come ogni antico castello, anche la Rocca ha i suoi segreti, i fatti sanguinosi del passato e i suoi fantasmi. Una leggenda interessante è quella di Olivia de’ Valvassori, castellana e nipote del vescovo Guido da Velate. Un suo mancato amante fu Arialdo da Cucciago, chierico che si era rifiutato di essere sedotto; dopo alterne vicende (si era opposto al Papa perché lo riteneva corrotto) secondo quanto ci è tramandato, fu fatto uccidere da una offesa Olivia, fatto a pezzi e gettato nel lago. I fantasmi dei due sarebbero ancora presenti, lei disperata per il delitto, lui perché santo.
Nella Rocca fu imprigionato e torturato Tobaldo Visconti, nemico dei Torriani (poi decapitato a Gallarate nel 1276). E fu avvelenato l’Arcivescovo di Milano, Francesco da Parma. Non si sa se le loro ombre ancora vaghino per le antiche stanze.
All’ingresso della cinta interna della Rocca c’è un sasso squadrato con incisa una triplice cinta, un simbolo misterico presente nel mondo medievale, si dice diffuso dai Templari. La triplice cinta è quella che si usa nel gioco della tria o filetto, tre quadrati uniti da linee che intersecano i lati a metà. Si trovano in chiese e luoghi antichi, anche in verticale, da qui il pensiero che siano simboli esoterici e non solo tavole di gioco.
Si trova anche in prigioni e posti di guardia: in questo caso non è su un muro verticale ma su una pietra in orizzontale, lascio al lettore la giusta interpretazione.
L’antica grotta nascosta e la leggenda del portale
Nella roccia calcarea sulla quale sorge la Rocca c’è una grotta in cui, grazie a rilievi archeologici fatti, sono stati trovati frammenti di selce, ossa umane e di animali, l’impronta si pensa di un bacile di 80 cm con l’orlo sagomato, che indica probabili riti. Una saletta scoperta all’interno della grotta era stata sigillata artificialmente.
Abitata nel Paleolitico, la grotta (a cui è stata dedicata una mostra al museo archeologico di Angera nel 2016 dal titolo molto evocativo, “La grotta di Angera 1916- 2016. Caverna preistorica, Tana del Lupo, Antro di Mitra, soglia delle Fate e spelonca del Drago”) potrebbe essere stata un tempio di Mitra in epoca romana, più probabilmente un tempio ben più antico. Fu usata anche da marinai e schiavi al servizio di Roma, come riparo. Secondo una leggenda all’interno c’è un portale che ogni cento anni si apre verso altre dimensioni.
La grotta ha una sua gemella, la grotta di Arona, che si dice abbia al suo interno un portale su altri mondi.
Culti femminili e leggende sulle fate
Ho contattato la dottoressa Cristina Miedico, che ha diretto il Museo Archeologico e Diffuso di Angera per dieci anni e organizzato la mostra: da lei ho avuto interessanti indicazioni e osservazioni.
In alcune pubblicazioni parla nello specifico della grotta e di come ci fossero probabilmente in epoca preromana dei culti femminili, detti delle Matronae Dervonnae (dervonnae significa “delle querce” in celtico), dette anche Fatae Dervonnae, da qui la leggenda delle fate.
I riti potevano essere collegati alla nascita e alla fertilità in generale, alla predizione, al culto dellle acque, alla morte, e quindi la grotta poteva essere intesa come passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti, un canale ultraterreno per la nascita o la rinascita. Le dee erano la versione locale delle Parche o delle Moire, quindi dee del destino dei neonati e ninfe degli alberi. All’esterno la grotta presenta scassi per inserimento di epigrafi/ex voto. In altre grotte dedicate alle Matronae si sono trovate epigrafi ex voto.
Il culto matriarcale anche nel Nord Italia ci parla di una storia al femminile diffusa nella penisola: se c’è traccia di ex voto significa che c’erano miracoli attribuibili alle dee. In un prossimo articolo ci sposteremo in Valle d’Aosta dove ci sono tracce di culti femminili.
foto di Donatella Galletti ©
Per saperne di più:
Il sito ufficiale della Rocca di Angera
Casalini. La leggenda del pirata di Angera, che abitava la Grotta del Lupo
La testa umana bifronte nella scultura post paleolitica
La mostra sulla grotta di Angera
Rivista della Società storica varesina 1975, con notizia degli scavi nella grotta a pag 285 e foto dell’antro mitriaco a pag 290: https://www.cslinsubria.it/media/rivista/12_1975.pdf
La triplice cinta: http://www.luoghimisteriosi.it/simbolo_triplicecinta.html
Interessante pubblicazione di Cristina Miedico Sulle Matrone di Angera in pdf
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