Interstate 60: un film da rivedere

di Sergio Ragaini. Un vecchio film da rivedere, una favola moderna in cui sogno e realtà si fondono, per insegnare al protagonista a inseguire e a realizzare i suoi sogni

Titolo originale: Interstate 60
Origine ed anno: USA, 2002
Prima uscita: Filippine, 10 settembre 2003
Sceneggiatura e Regia: Bob Gale

Interstate 60
Il poster di “Interstate 60”.

Una strada che non esiste, una sorta di folletto che soddisfa i desideri, una persona che si trova vittima di qualcosa che non vorrebbe come parte di sé, ma che è legato a degli schemi come fissati, dai quali pare non potere uscire.

Insomma: un universo limitato, chiuso tra mura più mentali che fisiche. In fondo, però, sono tanti che affermano che gli unici veri limiti sono quelli che noi stessi portiamo nelle nostre menti. E che basta uno sguardo diverso sulla realtà, sulle cose, per superarli.

Ma, soprattutto, emerge qui la possibilità di espandere. E la nostra mente è, per definizione, espansa. Noi rifiutiamo i limiti, le barriere, i confini. Siamo, per natura, portati a porci in uno spazio infinito, delle infinite possibilità. Ed in un siffatto spazio tutto può avvenire.

In un universo infinito ogni evento è inevitabile
Anzi: avviene: una delle frasi cardini di questo film, quella che forse è la guida di tutto, è che “in un universo infinito ogni evento è inevitabile”.
Tutto ciò apre grandissime prospettive, anche spirituali. Sarebbe come a dire, se ci portiamo in un’ottica di ciclo di nascite e morti, che noi dovremmo percorrere tutte le esperienze possibili, che qualsiasi esperienza dovrà fare parte di noi.

E che, in particolare, quello che tremiamo e a cui aspiriamo si realizzerà. Dovremo, insomma, incontrare le nostre paure, le nostre aspirazioni, le nostre proiezioni mentali. Dovremo affrontarle, viverle e superarle.

Un viaggio fantastico, al limite del verosimile

Interstate 60
Neal, il giovane protagonista, intepretato da James Marsden.

L’inevitabile, insomma, diverrà come parte di noi, e fuori di noi.
E l’inevitabile potrebbe essere un motivo di grande importanza in questo film: quell’inevitabile che porterà a vivere, in un viaggio quasi fantastico e tutto sommato quasi verosimile, esperienze davvero al limite.

Innanzitutto la strada su cui tutto si svolge: la Statale 60, un’interstatale statunitense. Una di quelle strade che attraversano stati, dove in mezzo, spesso, si trova il nulla. E anche qui si parla di “attraversamento”, di “passaggio”. Un tema che ritornerà, quando si parlerà della “frontiera”, vista come un confine forse mentale.

Una strada quasi immersa nel nulla. E anche qui, la meccanica quantistica ci aiuta: il “vuoto” lì non esiste, è solo un insieme di fluttuazioni che possono generare nuova realtà, fluttuazioni in cui la persona si troverà immersa e potrà vivere nuove situazioni. Quelle che forse avrà sempre sognato.

I tre protagonisti: un ragazzo, una sorta di folletto, una strada
Il nome del folletto è tutto un programma: O.W. Grant. La sua provenienza, l’Irlanda, non è probabilmente casuale: infatti, l’Irlanda, che, assieme alla Scozia è la terra celtica per eccellenza, è la terra dei Druidi, che portano con sé magia, uscita dalla realtà convenzionale. Chi ha letto qualche fumetto di Asterix si sarà trovato questo mondo druidico davanti, in maniera ilare, ma non così inverosimile.

E anche il suo nome è un programma, O.W. infatti, sta per one wish, in italiano “un desiderio”. Infatti, questo folletto, in forma però umana, esaudisce un desiderio, quello che più la persona sente importante per sé.

Questo folletto reca con sé una pipa con testa di scimmia (un altro simbolo?), che  emette una strana luce verde. Il verde è il colore del cuore, che però in questo caso è il superamento della mente stessa, e forse la proiezione nell’oblio.

E il gioco comincia entrando in un altro gioco.

Interstate 60
Gary Oldman è il folletto O. W. Grant.

Infatti la Interstate 60 non esiste!
E qui, il riferimento alla meccanica quantistica è d’obbligo: infatti, le realtà non è quella che appare, ma è altro. In fondo, noi viviamo in un mondo a 26 dimensioni, come definito da Polyakov nella sua omonima equazione, di cui ne percepiamo soltanto tre.

La nostra percezione è limitatissima. Quindi, nelle altre dimensioni, ci sono molte cose che non vediamo. Ci sono altri modi di misurare le cose… e soprattutto, c’è la Interstate 60!

Ne rivelerà l’accesso la “palla numero 8”, una biglia che risponde alle domande, e che tante volte sarà chiamata in causa. Ma non a tutte le domande, come vedremo: ci sono domande a cui solo noi stessi possiamo rispondere, facendole risuonare dentro di noi. Nel caso della strada, affermerà, in modo molto quantistico: “Esiste per te”. Insomma: la realtà è quella che noi stessi vogliamo vedere e solo quella.

O, forse, di tutte le realtà possibili selezioniamo solo quelle che siamo in grado di vedere: insomma, vediamo quello in cui crediamo, in altre parole. Forse, la Interstate 60 è sempre esistita: solo, era fuori dal campo visivo, era in un’altra delle 23 dimensioni di realtà, dove tutto si misura diversamente.

Oltre la nebbia colorata inizia un altro spazio-tempo

Facendo ora un passo indietro, l’avventura è stata propiziata da un certo Ray, a cui Neal Oliver (questo il nome del protagonista), deluso dalla sua vita, si rivolge.

Vedendo sin dall’inizio cartelli che non ci sono e che forse sono un portale verso qualcos’altro, che lo attende sempre, all’orizzonte, pronto a verificarsi. Lo stesso Ray dirà a Neal: «Oramai potevi vederli».

E ancora prima, camuffandosi da medico, affermerà: «Vediamo quello che ci aspettiamo di vedere, non quello che c’è in realtà”. E questo aprirebbe il discorso anche alle illusioni visive. Un discorso che ci porterebbe, però, molto lontano.

Tornando ai cartelli che Neal vedeva, su questi Neal proietta la sua realtà. E da ad essa forma, sostanza. Quasi come se fossero lavagne bianche, su cui si scrive ciò che si vuole, riempiendole di mille colori del divenire.
Un pacco da consegnare, che non può aprire. Ricorda quasi il “Gatto di Schrödinger”, che rivela tutte le possibilità sinché non si apre la scatola. Un paradosso che qui è realtà.

Un pacco da consegnare in una città che non esiste

Interstate 60
Il finto medico Ray (Christopher Neal).

Ed è stato proprio uno di questi cartelli a procurargli un numero che gli darà l’appuntamento per consegnare il pacco. Guarda caso sarà convocato il “555 Oliver Street”, il suo nome più tre volte 5!

La destinazione di questo pacco, una città di nome Danver. Subito Neal obietta che la città è Denver! Ma no, l’indirizzo è quello corretto. Sarà un altro luogo, un altro tempo, forse un altro Universo. Tutto qui.

Nel viaggio, un’avventura da strada, in un certo senso (in qualche modo, questo ne è il sottotitolo): la fisica lascia il posto alla psicologia. Infatti, è quasi un viaggio in sé stesso per il nostro protagonista.
Un ragazzo in un certo senso che non ha mai realizzato la sua vera vita, ma ha sempre percorso la strada che voleva il padre, noto avvocato, che non si è mai affermato come lui stesso voleva, attraverso la pittura. E ora può percorrere una strada che esiste solo per lui, dove i suoi sogni più belli potranno prendere finalmente forma.

Anche qui ecco ancora la fisica moderna: in fondo, la realtà stessa è un gigantesco affresco che noi stessi dipingiamo, in cui noi stessi ci immergiamo. Insomma: il quadro della nostra vita, sui cui noi stessi, in ogni istante, diamo pennellate.

In fondo, Neal voleva vivere la sua vita, invece di quella del padre, noto avvocato, il quale invece voleva che vivesse la propria: per il suo 22o compleanno, gli regala un’auto che piace a lui, non al figlio. Lo fa di fatto iscrivere ad una facoltà di Giurisprudenza, quando il figlio non vuole seguire quel percorso.

Una storia che si svolge in un gigantesco affresco
L’arte, in questo caso, appare in contatto con la scienza: attraverso l’arte, infatti, una persona proietta sé stessa, le sue intuizioni. La stessa intuizione che fa parte della scienza: quella scienza che, seppur tra le righe, permea il film. Come l’arte: in fondo, sin dall’inizio, ci troviamo come all’interno di un gigantesco affresco. Dove in ogni istante il quadro cambia.

In questo viaggio, il protagonista, con il suo amico folletto in forma umana, vivrà esperienze che lo metteranno di fronte a sé stesso. Che, sono, di fatto, realtà che probabilmente portava dentro di sé da sempre, e che ora possono prendere forma.

Passata la “barriera di luce”, Neal si trova su questa strana strada, che attraversa città che esistono solo per lui, vivendo esperienze in cui impara molte cose. Forse anche ad evitare le “proiezioni mentali” fuori luogo, come quelle del “viaggio nell’oblio della droga”, che nega alla persona la sua dignità umana, portandolo ad essere come uno schiavo. Insomma: le cose vanno osservate, e solo così svaniscono, senza evaderne. Questo è quasi un discorso Zen: se si sta davanti ad una cosa, senza giudicarla, questa si dissolve.

Bellissima questa situazione: le cose sono come le vogliamo, ma poi si dissolvono quando non le consideriamo più come prima. Tutto questo apparirà evidente quando il protagonista si troverà nella “città della Legge”. Qui ci saranno solo avvocati, che si fanno reciprocamente causa in maniera molto plateale.
E invece che giocare come gli altri, Neal decide di uscire da questo gioco perverso, decidendo di uscire da quel palcoscenico, di rompere il tutto.

Anche in un altro caso, l’uscita dal gioco è particolare, quando incontra una ragazza, Lora, che appare “drogata” dalla sessualità e cerca la persona in grado di fornire le prestazioni migliori. Neal decide di rifiutare il sesso – e più avanti anche la droga –  conquistando altri stati di coscienza.

Amy Smart è Lynn, la ragazza sognata da Neal.

Il “quadro”della sua vita deve essere luminoso, quello che ha davvero sempre sognato per sé: e qui si vola verso altri lidi, quelli che lo stesso protagonista ha sempre sognato, per incontrare infine sé stesso. Quel sé stesso che avrebbe avuto un destino terribile. Che ha deciso di non vivere. E lì è il vero “bivio esistenziale” che lo porta altrove, che lo porta fuori. Ora non vuole più sapere né vedere altro: ormai ha visto tutto, ha iniziato un nuovo percorso, il vecchio è ormai alle spalle.

Il viaggio avviene a bordo dell’auto che il padre ha regalato a Neal. Quell’auto che Neal non amava. E che distruggerà, come metaforica fine di un gioco che non era più il suo e dal quale è definitivamente uscito. Verso un nuovo inizio.
Il fumo verde della pipa forse dichiara, alla fine, che tutto è stato un sogno. Ma cosa è sogno? Forse la realtà che viviamo. Forse stiamo solo sognando, e quando la nostra esistenza finirà ci risveglieremo.
D’altronde, in uno spazio di infiniti eventi possibili, sta a noi scegliere l’evento corretto, il migliore per la nostra vita.

In questo film, la narrazione è lieve, fiabesca. Vola veloce, tanto che il tempo non si sente. Questo effetto “quantistico”, lo ammetto, è delizioso. Ed è tipico delle cose davvero belle, che vale la pensa di conoscere, scoprire e gustare.

Forse, il vero significato di questo film è proprio qui: il sogno può diventare realtà, ed in ogni istante, su un quadro bianco, come i cartelli che Neal vede davanti a sé (in fondo molto simili alle tele dove si dipinge), possiamo proiettare la vita che davvero vogliamo, e come la vogliamo.
Per ricominciare a sognare. E trasformare quel sogno, e i suoi colori, nei colori più belli per il nostro divenire.

Per saperne di più:
♦ Il film è disponibile su Youtube
♦ In vendita, si trova in streaming su Google Play (da 1,99 euro) e su Amazon Prime (streaming gratuito, anche in alta qualità, per gli abbonati).
♦ È poi disponibile in DVD e Blu-Ray (prezzo Amazon 8,99 euro).

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Nato a Milano. Laureato in Matematica, ha sempre visto la matematica e la fisica come una sorta di “sesto senso”, che ci fa intuire nuovi mondi, anche dentro di noi. Cercando una visione unitaria dell'uomo e della cultura, si è occupato di diverse cose, spaziando dall'insegnamento al giornalismo. Ha collaborato con diverse riviste, occupandosi dei più disparati argomenti, dal cinema al turismo, alla spiritualità. Parte importante, per lui, è anche la musica, che pratica attivamente, e che per lui è anche un modo per andare al cuore dell'uomo.