Un folle esperimento scientifico

di Willam Giroldini. Un racconto fantascientifico. L’incredibile storia raccontata da un professore un po’ brillo su una pianta carnivora, dotata di intelligenza umana…

William Giroldini, studioso e autore di questo racconto.

Nella mia qualità di collaboratore esterno di una nota rivista popolare scientifica (di cui ovviamente non posso fare il nome) sono sempre a caccia di notizie interessanti ed originali dal mondo scientifico.

Un giorno, quasi per caso, sono venuto a sapere di una certa “Osteria dell’Orso Bianco” vicino ai Navigli, a Milano, dove ricercatori universitari hanno preso l’abitudine il giovedì sera di ritrovarsi per raccontare molte storie interessanti, storie di ricerche e di scienza, ma molto particolari.

Vero animatore di queste serate è l’esimio prof. Harris (che a dispetto del cognome, è italianissimo), dal quale ho appreso questa inverosimile storia. Così strana che non potrebbe trovare posto che in questo racconto, piuttosto che in un’autorevole rivista scientifica.

Il perché lo capirete presto. Come dicevo, pescando a piene mani dalle proprie esperienze di lavoro come consulente per Società e Università su quasi ogni argomento (anche se nessuno finora ha capito bene di cosa sia esperto), un giovedì sera il prof. Harris si è presentato all’Orso Bianco con un misterioso pacco coperto da un telo bianco. Si è seduto di fronte al bancone e ha ordinato la solita birra rigorosamente sarda. Il misterioso pacchetto, di aspetto esterno come una gabbia per uccellini, era coperto dal telo e appoggiata per terra ai suoi piedi. Si avvicinò il Prof. Bonomo che, radunando quasi tutti gli astanti attorno a sé, gli domandò che cosa fosse il misterioso oggetto.

Con molta calma e sorseggiando la adorata birra, il professore si schiarì la voce e cominciò a parlare, in un religioso silenzio; perfino Enrico, il barista, cessò di versare liquori nei bicchierini.
«Bè a dirla tutta, ragazzi» e guardò di soppiatto il Prof. Codazzi, noto biologo e botanico «forse il prof. Codazzi potrebbe spiegare meglio di me quello che ho visto coi miei occhi circa tre anni fa, quando fui chiamato come consulente per indagare sulla scomparsa del prof. Bottazzini, un noto botanico della Università di Parma».

Altro sorso di birra con relativa lunga pausa. «E allora? Che accadde?», chiese Enrico il barista. «Ecco… sembra, e sottolineo sembra», proseguì il prof. Harris «che Bottazzini stesse conducendo delle ricerche non ufficiali, diciamo pure segrete – note solo a uno studente suo amico e collaboratore – sulla ricombinazione di DNA vegetale e DNA animale.

Organelli animali trapiantati in una foglia

Foto di Etheriel da Pixabay.

Le sue ricerche erano arrivate a un punto critico: era riuscito a far crescere organelli animali entro una foglia di una pianta, in particolare in una varietà di pianta carnivora, la Dionaea Muscipula, e sarebbe stato un risultato scientifico di prim’ordine da pubblicare subito su Nature, quando il Prof. Bottazzini fu messo sotto da un tram in pieno centro a Parma.

Riportò ferite assai gravi, la colonna vertebrale e la testa restarono seriamente lesionate nell’impatto. Accanto a lui c’era il suo studente prediletto, Joseph, un ragazzo molto in gamba, con alti voti al quarto anno di biologia. Da qui in poi le sole cose sicure furono che il ragazzo caricò il professore sulla sua auto, ma che nessuno portò il ferito all’ospedale, anzi in nessun ospedale, o clinica o pronto soccorso.

Dello studente e del professore si perse per lungo tempo ogni traccia. Quando una settimana dopo l’incidente fui chiamato per aiutare la polizia con le indagini, potei ritrovare nell’ufficio del professore un quaderno fitto di appunti con le sue ultime incredibili scoperte, quaderno che riposi nel cassetto dove l’avevo trovato e che scomparve da lì qualche giorno dopo assieme a molto materiale di laboratorio necessario per realizzare i suoi geniali esperimenti».

Altra pausa, altro lento sorseggio della birra, fino a quando il bicchiere fu vuoto. Guardandosi intorno come aspettando qualche segno divino, il prof. Harris alzò gli occhi al cielo, finché sul bancone del bar scivolò a volo radente un altro bicchiere di birra (spinta da una mano rimasta misteriosa, ma da molti attribuita a Codazzi).
Con un sospiro, e dopo due bei sorsi, finalmente riprese a parlare.
«E sì, proprio così, del suo studente preferito, Joseph, nessuna traccia, era scomparso anche lui da casa dei genitori, ai quali era arrivata per posta cartacea, una lettera imbucata a Milano, in cui si diceva semplicemente: “Mamma, papà, sto bene, non cercatemi, sono impegnato in ricerche molto importanti, mi farò vivo io al momento opportuno”. Già, ma non si fece più vivo né coi suoi famigliari (la madre, povera donna, era veramente disperata) né con gli amici, né sui social».

Altra lunga pausa e sorsi di birra giù per il gargarozzo. Seguiti da un paio di sonori rutti, a cui il prof. Harris fece seguire le sue più sentite scuse a tutti gli astanti. Ai quali per la verità importava solo di sapere come sarebbe andata a finire la sua indagine quale “Consulente Scientifico” a tutto campo ed in qualsiasi campo.
Dal fondo della osteria, da un tavolo vicino alla porta dei servizi igienici, una voce si levò con irruenza e e una buona dose di astio: «Prof. Harris, professore di non si sa che cosa, perché non la pianti di raccontare le tue assurde storie? Secondo me te le inventi di sana pianta, ce ne fosse una, dicasi una, che tu possa dimostrare fosse vera». Era ovviamente il prof. Campanazzi, psicologo e docente di Sociologia, contestatore incallito di qualsiasi cosa dicesse Harris, e non solo lui.

Un inquietante laboratorio clandestino di biologia
Senza degnarlo di uno sguardo, il prof. Harris riprese a parlare, con voce bassa ma scandendo perfettamente le parole. «Mi ci volle quasi un paio di settimane prima di riuscire a scovare dove Joseph aveva preso in affitto uno scantinato in un edificio di periferia, a Milano, trasformato in un laboratorio clandestino di biologia, dove viveva, mangiava, dormiva e proseguiva gli esperimenti descritti nel diario del Prof. Bottazzini».
«Quindi alla fine lo ha trovato Joseph ed il diario di laboratorio», intervenne il prof. Codazzi (ovviamente molto più interessato al diario più che al bravo studente, chissà perché). Harris non rispose subito. Dopo avere vuotato il secondo boccale di birra ed emesso altri tre rutti con relative scuse, il prof. Harris finalmente proseguì il suo racconto.

«Sì, alla fine ho trovato il laboratorio segreto dello studente Joseph, ma non Joseph né il prof. Bottazzini». Altra pausa guardando il soffitto, come a volere aspettare lumi e suggestioni dall’Inconscio Collettivo del Creato. E come per magia, un altro bicchiere di birra dopo un poco scivolò sul bancone dritto nelle mani del prof. Harris, che lo afferrò con gesto sicuro e deciso.
«Quello vi prende per i fondelli per scucirvi birre aggratis!», tuonò il prof. Campanazzi mentre entrava in bagno. «Non ci vuole un esperto di Psicologia come me per capirlo!».
Due urla di “Vaff” partirono dal gruppo assiepato attorno al prof. Harris, il quale, imperterrito, dopo due altri sorsi di birra, riprese il racconto.

«A dire il vero» (ora la voce manifestava qualche incertezza dovuta probabilmente al tasso alcoolico nel sangue) «quando sono entrato nello scantinato, ho trovato un paio di scheletri completamente ripuliti, spolpati con cura, e diversi grossi vasi di terra con grosse piante secche e morte, che presumo siano imparentate con la Dionaea Muscipula (il prof. Codazzi potrà darvi elucidazioni in merito, presumo) oltre al diario di laboratorio, ma completamente bruciato con un acido e quindi praticamente illeggibile. Solo una pianta, in un vaso più piccolo, sembrava ancora viva. Le altre sembravano… morte di fame!» .

«Eccolo! Eccolo!», tuonò di nuovo Campanazzi uscendo dal bagno e cercando di chiudere la patta dei pantaloni. «Eccolo! Ma come fate a credere a quelle puttanate? Siete tutti una manica di poveri scemi!». Un gelato confezionato volò attraverso tutta la stanza e colpì in pieno volto il prof. Campanazzi che usci bestemmiando dalla “Osteria dell’Orso Bianco”, minacciando di non farvi più ritorno. Oltre a una serie di altre frasi irripetibili indegne di questo resoconto.  Finalmente il Prof. Harris potè proseguire il racconto, senza il contestatore professionista.

Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay.

«Sì, in effetti fu una scena davvero raccapricciante quella che si presentò ai miei occhi. E da qui in poi vi dirò solo quello che presumo sia successo, solo una mia ipotesi dunque, nulla di più».
«Beh, secondo me, dopo l’incidente fatale, il Prof. Bottazzini era rimasto seriamente ferito, ma ancora cosciente, e allo stesso tempo deve avere intuito che comunque non gli restava molto da vivere».
Un sospiro, e un altro sorso dal boccale di birra, seguito da uno strabuzzare degli occhi che indicava chiaramente uno stato di coscienza alterata.. «Sì ecco, cosa stavo dicendo? Ah sì, dunque, secondo me Bottazzini deve avere chiesto al suo studente di non interrompere i suoi preziosi studi, e allo stesso tempo di utilizzare parte del suo stesso corpo per creare una pianta modificata col suo metodo di ingegneria genetica e poi…».

«Ma è una cosa folle! Come fa a dire una cosa del genere? Che prove ha?», si levò una voce dagli astanti.
«So quel che dico! Ascoltate! Secondo me Joseph, dopo avere trovato uno scantinato in affitto a Milano, ha saccheggiato tutto ciò che poteva trasportare via dal laboratorio del Professore, laboratorio di cui aveva pieno accesso. E quindi ha proseguito le ricerche e ha effettivamente realizzato un ibrido (una chimera, in gergo tecnico) fra la Dionaea Muscipula e lo stesso Prof. Bottazzini»
«Ma non può dimostrare una simile folle affermazione, prof. Harris», proruppe in un urlo il prof. Codazzi.

Harris ignorò la contestazione, e proseguì: «Ma poi la situazione deve essere degenerata: le piante chimere così create devono in qualche modo avere attaccato e ucciso lo stesso Joseph, e tutte quante (ne ho trovate ben otto, grandi e grosse nello scantinato) hanno spolpato entrambi i corpi, anche se penso che Bottazzini fosse già morto quando il fatto è accaduto. Anzi penso che sia stato proprio l’odore di carne in putrefazione (del professore) ad avere innescato l’aggressione alimentare delle piante stesse!».
Guardò verso il prof. Codazzi, che approvò l’ipotesi, precisando che l’odore di carne marcia è una delizia per le piante carnivore.
«E poi cosa è successo?», chiese un’altra voce alle spalle del prof. Harris.

Lui guardò il fondo del boccale di birra e sospirò. Gli astanti guardarono supplicanti il barista, che a questo punto, sospirando (la cosa si ripeteva puntuale ogni giovedì se c’era il prof. Harris) versò un’altra generosa dose di birra nel boccale e lo porse al professore. Che non fece alcun tentativo né di rifiutare e tanto meno di pagare il conto. Con mano incerta portò il boccale alla bocca e strabuzzò gli occhi prima di proseguire. «Secondo me, ovviamente come ipotesi, le piante a un certo punto sono rimaste senza cibo e sono morte di fame, a eccezione di una sola pianta relativamente piccola che ho recuperato».

«Cosa? Ha recuperato una pianta dal laboratorio?», fece con gli occhi schizzati il prof. Codazzi, che non perdeva una parola del (inverosimile?) racconto del professore.
«Sì, certo, una pianta nel suo vaso. Era ancora viva, e subito l’ho nutrita con pezzetti di carne comprati in una vicina macelleria islamica, ottima carne pure benedetta e..».
«Quindi lei professore dice che ha recuperato e  salvato (è giusto il termine?) una povera pianta carnivora, una chimera contenete un  organello animale  se ben ricordo quello che ha detto all’inizio del suo discorso?», proseguì Codazzi che stava diventando interessatissimo quanto incredulo.

«E se fosse tutta una balla pazzesca, di uno che ha alzato il gomito?», stava pensando Codazzi nella sua testa. Come leggendo nella mente dubbiosa di Codazzi, il prof. Harris strappò via in un attimo il telo dall’oggetto ai suoi piedi, ed apparve una gabbia da uccellini con dentro una pianta. «Una Dionaea Muscipula!», disse ad alta voce uno studente del secondo anno di Biologia e Botanica.

«No! Cioè sembra una Dionaea Muscipula, ma è chiaramente differente», replicò il prof. Codazzi. «Vedete? Ha una strana protuberanza al centro di quella foglia»,. Si avvicinò, per guardare meglio. La protuberanza era tondeggiante, larga circa 4 cm e assomigliava vagamente (anzi fortemente) a un piccolo cervello di cui si notavano perfino i due piccoli emisferi, pulsanti con tante venuzze verdi che lo alimentavano… Harris trasse da una tasca uno scatolino e da qui estrasse una…lucertola morta, che fece cadere dall’alto sulla gabbia. Prontamente una delle foglie della pianta si aprì, acchiappò la lucertola e si si richiuse di scatto.

«Notevole! Molto veloce!», disse Codazzi con gli occhi sbarrati.
«Ma non avete ancora visto il meglio», proseguì il prof. Harris. Si avvicinò alla gabbietta e ad alta voce, scandendo bene le parole, disse: «Professor Bottazzini, quanto fa tre più quattro?» Immediatamente un’altra foglia della pianta si aprì e si richiuse sette volte.
Harris con un largo sorriso prese il telo, ricoprì la gabbietta, e disse: «Bravo professore, ora digerisca tranquillo la sua lucertola».
Poi afferrò la gabbietta, ed uscì barcollando dall’Osteria dell’Orso Bianco, mentre alle sue spalle un concitare di voci iniziava una discussione feroce fatta di insulti e commenti irripetibili su ciò che avevano appena visto.

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Laureato in Chimica, sviluppatore software ed elettronica, da almeno 30 anni si interessa di Ricerca Psichica con particolare attenzione allo studio della Telepatia e Psicocinesi utilizzando tecniche Elettro-Encefalografiche. Autore di numerose ricerche pubblicate anche su riviste scientifiche internazionali. Direttore Scientifico di AISM (Ass. Italiana Scientifica di Metapsichica).