di Filippo Falzoni. L’importanza per Kingsley di entrare, come i presocratici, in stati di coscienza che trascendono il pensiero razionale, per entrare in contatto con il divino
In anni recenti l’opera di Peter Kingsley offre un’ennesima valida testimonianza che le radici della nostra cultura e il pensiero dei grandi filosofi alla base della nostra logica sono scaturiti da esperienze di stati di coscienza che trascendono il pensiero, in cui l’io del filosofo scompare ed egli è posseduto da una superiore consapevolezza, la si chiami il Daimon, l’Atman, il Sé, o il Logos…
Kingsley dimostra con appassionanti studi storici come i filosofi presocratici iniziati ai misteri portassero dall’esperienza nell’altra realtà, una visione che distruggeva la comune percezione condivisa dagli uomini, la si chiami Avidya, Maya o inganni dell’ego.
In stati di assorbimento interiore i filosofi incontravano gli dèi che mostravano loro una realtà indivisa senza tempo oltre la mente, la nascita e la morte, senza creazione né distruzione.
Posseduti dal contatto con la divinità…
Posseduti dal contatto con la divinità erano iniziati alla percezione della realtà atemporale, all’attimo eterno, alla coscienza indivisa dell’Uno primordiale da cui siamo emanati… Queste esperienze interiori erano illuminanti, liberatorie e sono state per loro la chiave della saggezza e della comprensione dei problemi umani.
Kingsley mostra chiaramente come tutto questo non è stato compreso poiché non si tratta di concetti, ma di stati di coscienza non ordinari, di consapevolezza unitaria oltre all’ego, che devono essere vissuti perché sono incomprensibili per chi non ha esperienza.
Cercando di razionalizzare il messaggio ricevuto dagli “dèi” esso diventa oscuro, ed è per questo che abbiamo perduto le radici di saggezza della nostra stessa cultura e siamo prigionieri del pensiero frammentato e contraddittorio.
Conoscenza e consapevolezza di Parmenide

Nei secoli gli studiosi di Parmenide invece di cercare l’iniziazione all’altra realtà da cui egli aveva tratto la conoscenza, si sono limitati a discutere sulle sue parole, a considerarlo fondatore del pensiero “razionale”, trascurando due aspetti fondamentali del suo modo di accedere alla conoscenza: Metis e Elenchos.
Metis è la particolare qualità di intensa consapevolezza che senza sforzo può essere consapevole di tutto all’istante. Mentre le nostre menti vaganti se ne vanno nei loro viaggi senza fine, essa sta sempre a casa. E la sua casa è ovunque. Metis, sente, ascolta, osserva (sembrano parole di Krishnamurti sull’attenzione non divisa). Il termine Elenchos rappresenta la capacità di comprendere e comunicare in modo convincente le verità ispirate dalla dea.
Ecco un brano di Kingsley tratto dal suo Reality
“Il fatto che entrambi, Parmenide e Socrate, abbiano dato particolare importanza al processo di elenchos è molto significativo considerando che sono spesso visti come i due grandi padri della filosofia. E potrebbe sembrare sorprendente che questa corrispondenza non sia mai stata considerata e compresa. Ma a un esame più attento possiamo capire perché pochi hanno voluto farlo.
La pratica di elenchos non era una questione di scelta personale o di soddisfazione per Socrate. I resoconti concordano che ha fatto ciò che ha fatto, spinto da un comando divino, gli era stato ordinato di farlo dagli dei. Parmenide, spiega che il processo di elenchos gli fu rivelato da un essere divino.
Nei sogni, oltre il mondo dei viventi

Anche lui non aveva alcuna scelta in merito. Gli fu dato il divino comando di riportare ciò che gli era stato mostrato in un altro mondo, oltre al mondo dei viventi; ed è questo esattamente quello che fece. I due padri fondatori di una filosofia “razionale” invero stavano entrambi portando avanti una missione per conto degli dei.
Per tutta la sua vita Socrate continuò a ricevere la guida divina che lo aveva portato innanzitutto alla pratica dell’elenchos.
Ci arrivò attraverso oracoli, ma soprattutto attraverso i sogni.
Per quanto riguarda Parmenide: le prove lo connettono con un lignaggio di sacerdoti esperti di incubazione e dell’evocare la guida divina attraverso i sogni.
E il poema che espone il suo insegnamento su elenchos è il risultato diretto di un’incubazione, esperienza che lo ha portato faccia a faccia con la dea.
La conoscenza divina durante stati di incubazione
Troviamo lo stesso processo di base che si ripete da secoli, più tardi, con i cosiddetti scrittori ermetici in Egitto, che lasciarono testi che registrano la conoscenza divina ricevuta in stati di incubazione, che poi sono stati incaricati di rendere disponibile agli altri esseri umani.
Per tornare all’essenziale: il nocciolo del processo di elenchos mostrato a Parmenide dalla dea consisteva nel fatto che gli uomini e le donne “non sanno nulla”. “Non sapere nulla”: il cuore del messaggio di Socrate e lo scopo incrollabile dei suoi elenchos era di mostrare alle persone che non sanno niente. Non c’era speranza di conoscenza reale senza prima aver accettato e compreso questo.
Gli elenchos di Socrate

Gli elenchos di Socrate presero la forma molto particolare nel fare sì che le persone con cui parlava si contraddicessero: rivelando che nonostante la loro apparente conoscenza, erano completamente in autocontraddizione con sé stessi.
Per Parmenide e Socrate, l’umana condizione mostra che siamo totalmente in contraddizione con noi stessi – viviamo, camminiamo in auto contraddizione – e tutta la nostra intelligenza e le migliori intenzioni peggiorano soltanto la situazione” …
L’uomo nell’antichità percepiva che la Coscienza come un’Unità che permea e trascende la natura, mentre lo scientismo moderno riduce tutto a materia e non considera reale ciò che non è misurabile…
Per saperne di più:
Vedi anche:
Filippo Falzoni: La psicologia incontra la spiritualità
Maurizio Falcioni: La percezione delle realtà possibili
Pierangelo Garzia: L’universo della coscienza
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