di Cristina Penco. Il Museo d’Arte di Mendrisio ha allestito una interessante mostra, che ci porta alla scoperta di un’antica civiltà dal fascino intramontabile
Animali, creature leggendarie, divinità, raffigurazioni a carattere esoterico: a ciascuna di esse corrispondono significati sorprendenti.
Nella mostra allestita al Museo d’Arte a Mendrisio si va alla scoperta di un’antica e affascinante civiltà dal fascino intramontabile con le oltre 70 sculture .
Un Paese dal patrimonio culturale estremamente ricco
Culla di tre religioni – buddismo, induismo e giainismo, ancora oggi diffuse e praticate – l’India ha un patrimonio culturale estremamente ricco, anche se si è preservato solo quello composto da materiali durevoli. Un gigantesco patrimonio che racconta il rapporto dell’umanità con le forze ultraterrene che la governano e che a volte travalicano, e con l’universo in generale.
La mostra India antica. Capolavori dal collezionismo svizzero – fino al 26 gennaio 2020, presso il Museo d’Arte di Mendrisio – riunisce sculture provenienti da varie regioni dell’India, ma anche del Pakistan e dell’Afghanistan. Il focus è sulle trasformazioni che le divinità hanno subito a partire dalle prime rappresentazioni figurative alle più tarde forme espressive esoteriche (tantriche).
Le divinità sono connesse alla visione dell’universo

Quel che emerge è che il loro significato è costantemente rielaborato in modo dinamico; anche qualora il loro nome non sia stato modificato nel corso dei secoli, si tratta di entità tutt’altro che statiche.
«Nell’iconografia indiana le strutture religiose e le divinità che le presiedono sono strettamente connesse alla visione dell’universo e al suo equivalente che ne è il riflesso, localizzato nel subcontinente indiano», scrive il curatore Christian Luczanits, esperto di arte indiana alla London School of Oriental and African Studies.
«Esattamente come un granello di polvere può contenere l’intero universo. Allo stesso modo il tempo è circolare, un ciclo che si ripete piuttosto che una progressione verso chissà quale punto indefinito, e così è anche la vita.
La trasmigrazione da una vita all’altra vale anche per l’universo, i cui cicli sono ulteriori cicli su scala cosmica. In questa visione le divinità hanno quindi una loro esistenza, sia in termini relativi che assoluti, e le varie incarnazioni locali partecipano dell’Assoluto e al tempo stesso interferiscono negli affari di questo mondo. Sono attivamente impegnate nelle cerimonie rituali che hanno luogo nei templi, e sono quindi ben lungi dall’essere entità astratte».
Temi pacifici di forte potenza visiva

Gli oggetti esposti riflettono l’interesse occidentale per l’arte indiana, di forte potenza visiva, dove predominano temi buddisti e pacifici, e non mancano di affascinare e stupire tanto appassionati del genere quanto coloro che si accostano a questi temi per la prima volta. Le immagini, del resto, parlano anche da sole, in relazione ad associazioni poetiche atemporali.
Si può vedere, per esempio, una yakṣī, una sorta di spirito naturale femminile responsabile della fertilità e del benessere, mentre chiacchiera con un pappagallo per evitare che riveli ciò che è successo la sera precedente.
Il Budda incoronato e ingioiellato, sontuosamente decorato (di solito, invece, è raffigurato con veste monastica), allude a un risveglio che è stato reinterpretato dal punto di vista esoterico.
Da Amaravati, invece, proviene uno straordinario rilievo, il più grande e importante degli stūpa (monumenti eretti intorno alle reliquie del Budda) fondati durante l’Impero Satavahana, raffigurante il Principe Mandhata che gode della vita celeste.
La selezione delle opere – oltre 70 sculture di piccole, medie e grandi dimensioni – è avvenuta sulla base dei criteri di qualità e disponibilità. La loro datazione abbraccia 14 secoli, dal II secolo a.C. al XII secolo d.C..
Nove sezioni coprono aree essenziali
Nove le sezioni in cui è suddivisa l’esposizione, che, pur non avendo la pretesa di essere rappresentativa della totalità dell’antica arte indiana, finisce per coprirne aree essenziali: Metafore poetiche; Animali leggendari; Tradizioni a confronto; Storie edificanti; Poteri femminili; Diramazioni esoteriche; Miracoli; Coppia divina; Divinità cosmica.
«Gli oggetti riuniti in questa mostra, in modo rilevante, testimoniano delle trasformazioni e degli scenari dell’arte indiana antica», conclude Luczanits. Poiché vi è un universo in un granello di polvere, questo granello è l’invito a scoprire un universo».
Christian Luczanits
È uno dei più noti esperti di arte indiana e tibetana. Nato nel 1964 a Hinterstoder, in Austria, ha studiato tibetologia e buddismo all’Università di Vienna e ha conseguito il dottorato sotto la supervisione di Maurizio Taddei.
È stato ricercatore all’Università di Vienna, ha insegnato nelle università di Berkeley, Stanford (USA) e Berlino, ed è stato anche curatore al Rubin Museum of Art di New York. Nel 2008-2010, insieme a Michael Jansen, ha curato una grande mostra sull’arte Gandhara, prima alla Bundeskunsthalle di Bonn, poi al Gropius Bau di Berlino e infine al Rietberg Museum di Zurigo.
È docente presso la London School of Oriental and African Studies e sostiene i monasteri buddisti indiani e nepalesi nella gestione e nell’esposizione delle loro collezioni d’arte.
Per informazioni
www.mendrisio.ch/museo
museo@mendrisio.ch
tel. +41. 058.688.33.50
Leave a Reply