di Stefania Bonomi. La giornalista/scrittrice ci racconta la sua amicizia con Giorgio Faletti e come è nato il suo romanzo, quasi dettato da lui dall’aldilà

Di lui ricordo lo sguardo. Non solo azzurro come le acque cristalline del mare, ma profondo come gli abissi dei pensieri che abbracciavano il suo cuore. Simpatico, sempre con la battuta pronta, arguto, oserei quasi dire geniale.
Giorgio Faletti era un amico, di quelli sempre disponibili ad aprirmi la porta di casa, organizzare una grigliata nello spettacolare giardino elbano affacciato sul golfo di Lacona, parlarmi di tutto quello che aveva fatto, ma soprattutto di quello che avrebbe ancora dovuto fare. Una potenza energetica straordinaria, prodotta da una personalità tanto complessa, quanto spontanea. O ti amava o ti evitava, senza mandartela a dire.
Un rapporto tormentato con la musica
Conosciuto nell’ultimo decennio come autore di libri gialli – negli anni ’80/’90 come noto personaggio del programma televisivo Drive In – probabilmente in pochi sanno quanto Giorgio Faletti amasse la musica e quanto con la musica avesse un rapporto estremamente tormentato.

Come l’amore respinto di un uomo dichiaratamente innamorato. Perché non c’era giorno, non c’era argomento, non c’era chiacchiera, in cui non parlasse di lei.
Lo ricordo nel suo appartamento milanese quando ancora la creatività narrativa era un minuscolo pensiero in un universo di note. Un grande e disordinato salone ingombrato di cd, spartiti, strumenti. Piano e chitarra. A
Giorgio Faletti bastava scrivere la musica, cantarla e suonarla. Era il suo sogno quello di scalare le classifiche con uno dei suoi brani, o anche scrivere e comporre per uno dei tanti artisti che stimava profondamente.
Ma quello non era il suo destino in questo passaggio terreno. Lo attendeva un successo di ben altro genere, che lo avrebbe portato ovunque, ma non dove lui davvero ambiva. Più volte mi sono chiesta chi fosse stato in una delle sue vite passate, perché quel pentagramma lo aveva davvero tatuato nell’anima. Giorgio Faletti, in punta di piedi, ci ha lasciati il 4 luglio 2014 all’apice del suo successo letterario. Per poi ritornare da me, nel 2016, invitandomi a scrivere quello che ancora non aveva detto, ma soprattutto quello che aveva bisogno di raccontare. E chi lo avrebbe fermato?
Un romanzo canalizzato?
Il pentagramma dell’anima, mio secondo romanzo pubblicato nel marzo 2019, nasce grazie a un inconscio processo di canalizzazione avvenuto nel corso della mia stesura. Leonardo Alfieri (così ho chiamato il narratore) si trova in un mondo energetico dove il fine ultimo è quello di raccontare, prima di ritornare.
Solo nel corso della narrazione ho compreso chi mi stava descrivendo, con dovizia di particolari, tutto ciò che io non potevo conoscere.
Leonardo/Giorgio non mi ha mai parlato di scrittura, ma sempre e solo di musica, il canale attraverso il quale riesce ad interagire con la terrena Maria Sole, una sconosciuta pianista, con un tanto innato quanto sconosciuto talento, che la porterà al successo. Forse quel successo a cui tanto ambiva l’amico Giorgio.

Pur raccontando della beatitudine di quel mondo dove il passaggio è obbligato per ognuno di noi, in quella dimensione Giorgio non ci vuole restare. È pronto per tornare tra noi. O forse, in questo esatto momento è già qui. Perché come spiega nel romanzo “il tempo è un’illusione, non va misurato in anni, ore e minuti. Ma solo in trasformazioni”.
E sono certa che questa volta troverà il suo riscatto perché la musica impressa nel suo DNA e le emozioni che di qua e di là non lo hanno mai abbandonato, saranno i compagni di tutti i suoi viaggi. Quel Pentagramma, da cui prende il titolo il mio romanzo, che Giorgio Faletti ha radicato nel profondo della sua anima e del suo cuore, che batte ancora per tutti noi che lo abbiamo tanto amato e stimato.
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