Einstein & io

di Sergio Ragaini. In scena a Bergamo Scienza il monologo teatrale della fisica Gabriella Greison sul rapporto tra Albert Einstein e la moglie Mileva Maric

Autore e interprete: Gabriella Greison
Regia: Cinzia Spanò
Monologo tratto dall’omonimo libro di Gabriella Greison (Salani ed.)

La cover di “Einstein e io”, uscito a settembre.

“La fantasia è la nostra vera forza”. Questa frase pronunciata nel lavoro teatrale Einstein & io, viene attribuita al grande scienziato. Forse, il senso di questo monologo è tutto qui.
In fondo, la scienza ha nella fantasia, nell’immaginazione, il suo elemento fondamentale. Lo scienziato elabora, è vero, ma si basa, innanzitutto, su un moto immaginativo, sull’immaginare realtà che escono dalla nostra percezione diretta, andando a creare altri universi, altri mondi.

Realtà e immaginazione
In fondo, però, qual’è la realtà, e quale l’immaginazione? I due piani potrebbero essere sovrapponenti e molto più vicini di quello che si possa pensare. In fondo, nella Teoria dell’Universo Illusione, elaborata da Alain Aspect nel 1982, si afferma che attorno a noi ci sono solo onde e frequenze ed è la nostra mente a trasformarle in suoni e immagini.

In qualche modo, quindi, lo scienziato “crea” la realtà, con il suo lavoro. In particolare il fisico teorico, il quale non sempre ha bisogno di sperimentazione. Soprattutto con la meccanica quantistica, in cui il metodo scientifico viene, per così dire, “ribaltato”, e dove tutto procede in maniera astratta, utilizzando strumenti matematici sempre più potenti, e sempre più in grado di rivelare una realtà invisibile oltre la tangibilità delle cose.

Una storia vera, ma nei mondi paralleli…
Il lavoro teatrale, un monologo, proposto da Gabriella Greison, che a sua volta è una fisica, è tratto dal suo omonimo libro. Che, in qualche modo, potrebbe essere definito un “romanzo storico”, nel senso che parte dalla realtà e, grazie alla fantasia (che qui torna di nuovo in maniera marcata), fonde la realtà con qualcosa di personale, di immaginario, che crea una sorta di storia parallela a quella vissuta dall’uomo, ma non per questo meno vera. O forse vera in un mondo parallelo: in fondo, è proprio dalla meccanica quantistica che le varie teorie sull’esistenza di mondi paralleli hanno preso forma!
La particolarità del lavoro proposto è il fatto che la vita del grande Albert Einstein è vista da un’angolatura molto particolare: quella della sua prima moglie, Mileva Maric, conosciuta durante gli anni di studio presso il Politecnico di Zurigo, dove entrambi studiavano.

Il lato umano del grande scienziato
Come ben si sa, cambiando il punto di vista la realtà stessa più cambiare, rivelando qualcosa e nascondendo qualcosa d’altro, e cambiando anche le forme percepite. E così è per questo monologo teatrale: la figura di Albert Eistein appare sotto una luce nuova, diversa. Se ne rivela un lato umano che va al di là di quello dello scienziato lontano e inarrivabile e porta la figura del fisico su un piano più vicino al nostro, rivelando una persona con tutte le sue debolezze, le sue modalità, non sempre ottimali, di relazionarsi con la moglie, il suo modo di relazionarsi con lo studio della stessa fisica.
La Greison aveva già fatto questo nel suo precedente Monologo Quantistico, da me recensito per questa rivista, rivelando il lato umano e le debolezze dei fisici di cui si parlava, in occasione del convegno Solvay del 1927. Qui accade la stessa cosa.

Milena Maric, più brava di Einstein in matematica!
Il lavoro, quindi, fa emergere una figura di Einstein che non era sicuramente uno studente modello: passava diverso tempo al caffè con gli amici, invece che seguire le lezioni e superava gli esami con il minimo per poterli superare. Ma non solo!
Lo scopo di questo monologo, però, non è verosimilmente quello di far emergere ritratto di Einstein, ma quello di Mileva Maric. Sin dall’inizio, infatti, viene descritta come molto dotata, in grado di discutere con insigni matematici e fisici, proponendo elementi innovativi in quello che loro indicavano e spiegavano. Ne emerge una figura in grado di comprendere in profondità le cose, e di porsi molte domande.

L’universo è matematico
Qualcuno afferma che la cosa più importante non è risolvere i problemi, ma imparare a porseli: ebbene, Mileva se li poneva e anche li risolveva. Lei stessa affermerà che i calcoli del marito li svolgeva lei, perché Albert non era poi così bravo in matematica.
Quella matematica che, quasi ironicamente, entra sempre nelle considerazioni di lei a partire dal numero di parole delle frasi, all’applicazione dei principi fisico matematici alla quotidianità e altro ancora. In fondo, però, la fisica e la matematica possono rientrare molto bene nella nostra vita. E forse questo è un modo per farci comprendere che tutto può divenire matematica e come l’universo stesso, come sosteneva anche il fisico Max Tegmark, sia di fatto matematico.

Albert Einstein con la moglie Mileva Maric.

Un’anarchica intellettuale
Lei stessa traccia un ritratto del marito quasi atipico per coloro che sono abituati a vederlo in un certo modo. Ne emerge un carattere quasi anarchico di persona che non sottostà a schemi e per il quale lo stesso ambiente accademico è qualcosa che chiude (si parlerà infatti di “paludati accademici”). Tutto sommato, forse, non amava il mondo dei sapienti ma, come dicevo all’inizio, quello di coloro che sanno immaginare.
E ne emerge anche il ritratto di un uomo che, come dicevo, viene aiutato molto dalla moglie nell’elaborazione dei suoi studi. E per il quale la moglie ha rivestito un ruolo fondamentale.

Nell’800, le donne non potevano laurearsi
Tuttavia, Mileva era una donna, ed essere donna nel 1896, anno in cui si apre il lavoro, con entrambi matricole a Zurigo, non era come esserlo nel 1996, ad esempio. Mileva era la quinta donna iscritta al Politecnico di Zurigo. Ed era guardata con diffidenza dai compagni, che non si rivolgevano mai a lei. Addirittura, in un suo passaggio all’Università di Heildelberg, dove si era trasferita, in Germania, le sarà consentito iscriversi all’Università, ma non di sostenere esami. Ed un noto matematico, suo docente, le dirà che in Germania non sarà mai consentito ad una donna di laurearsi.

La fisica Gabriella Greison durante il suo monologo a Bergamo Scienza.

Anche Einstein “dimenticò” di ringraziarla
Fortunatamente, il tempo l’ha smentito: tuttavia, allora era così. E la Svizzera, in tal senso, pareva un’isola felice. Nella quale Mileva poteva studiare e sostenere esami, seppure  vista con diffidenza.
Il suo essere donna peserà anche nel fatto che, quando il marito nel 1906 pubblicherà la sua Relatività Ristretta, non la menzionerà tra i ringraziamenti. Giustificando la cosa con il fatto che non ce n’era bisogno, in quanto lei era già una Einstein! Ma quanto una simile dichiarazione nascondeva altro!

Un tempo di grandi cambiamenti
In un lavoro dove si parla di qualcosa che supera il tempo, dando quasi corpo alle più fervide immaginazioni, l’elemento tempo è comunque molto importante. Sullo sfondo, e spesso in primo piano, c’è la Storia e il flusso del tempo. Un tempo di cambiamenti, dove, come viene ricordato, l’illuminazione elettrica sostituisce i lumi a olio.
Un periodo di grande fermento anche scientifico e culturale. Verranno citati, tra gli altri, Boltzmann a Vienna e Planck a Berlino. Un fermento in cui Einstein entra in pieno.

Tuttavia, emerge come sia stato anche per lui non così immediato essere accettato dalla comunità scientifica. Per citare un dato storico, ad esempio, Einstein scopri l’Effetto Fotoelettrico, forse il primo vero fenomeno “quantistico”, nel 1905, ottenendo, però, per questa scoperta, il Premo Nobel solo nel 1921.

La scoperta della Relatività
Dalla storia, il lavoro passa spesso nella fantasia, quell’elemento dove il tempo non esiste. E non potrebbe essere altrimenti, visto che la relatività del tempo è stata forse la principale scoperta di questo grande scienziato. Quella fantasia che, come dicevo, permette molte volte di vedere sovrapposti il piano dell’immaginazione a quello della realtà storica. L’amicizia di Mileva con Marie Curie, diverse volte citata, era frutto della sua fantasia. Tuttavia, Marie Curie, nata Maria Sklodowska, è vista come un simbolo importante, quella di una donna che, citando le parole del monologo, “ce l’ha fatta”.

Pierre e Marie Curie.

Apparirà anche come il marito, Pierre Curie, all’assegnazione nel 1903 volle che in questo premio fosse menzionata anche la moglie Marie. Non so se questo corrisponde a verità, oppure se fa parte dell’essere “romanzo storico”. Forse è solo fantasia, ma va bene così: in fondo il piano della fantasia fa parte del lavoro proposto ed è bellissimo che, qui, il sogno si vada ad incontrare con la realtà. Portando, forse, metaforicamente, tutto qui ed ora, e riportando la vita di questi personaggi nel momento presente, come se ci guardassero.

E il cammino della scienza, in questo caso, è qui: infatti, il Nobel, in quell’anno, fu assegnato con loro anche ad Antoine Henri Becquerel, il cui padre, Alexandre Edmond Becquerel, fu lo scopritore nel 1839 dell’”effetto fotovoltaico”, che è la base del funzionamento dei pannelli fotovoltaici ad energia solare e che, in qualche modo, ha anticipato di oltre 70 anni l’effetto fotoelettrico.

Albert Einstein e Michele Besso, quasi… parenti
Nel tempo storico, emerge un’altra figura importante nel lavoro: quella di Michele Besso, ingegnere svizzero di origine italiana, che segnò un elemento importante nella vita di Eistein. I due si conobbero ad un concerto, a Zurigo e di fatto non si separarono più. Si può dire che furono quasi parenti: infatti, la sorella di Albert, Maja, sposò Paolo Winteler, figlio della famiglia dove Einstein viveva a Zurigo, mentre Michele sposò la loro altra figlia, Anna.

Besso morì un mese prima di Einstein. In una lettera a sua sorella, Albert scriverà, quasi come un presagio: “Michele è partito da questo strano mondo un poco prima di me”. Concludendo poi con: “Le persone come noi che credono nella fisica sanno che la distinzione tra presente, passato e futuro è solo un’illusione, per quanto tenace”. Una frase che, forse, riassume la visione della vita di Albert Einstein, e forse anche di questo monologo.

Una cassa di risonanza
Secondo quanto esposto, Michele Besso ebbe un ruolo importante nel lavoro di ricerca di Albert. Forse anche nell’aiutarlo nell’elaborazione dei suoi calcoli, come descritto. E pare che questo sia storicamente confermato. Qualcuno ha definito Besso una sorta di “cassa di risonanza” per Einstein e sicuramente lui e sua moglie ebbero un ruolo importante come intermediari verso la fine del loro matrimoniotra Einstein e Mileva e aiutarono anche economicamente i loro figli.

Un amore che viaggia nella storia
Comunque, l’elemento fondamentale di questo monologo teatrale è proprio il rapporto tra Albert e Mileva. Un rapporto nato “sui banchi di scuola”, e che viene descritto in maniera lieve, nelle sue tappe che ne segnano la nascita, sino alla sua fine. Un amore che pervade il racconto e rivela le caratteristiche di entrambi. Un amore che viaggia nella storia ma, nello stesso tempo, fuori dalla storia, nello spazio-tempo della fisica e in quello dell’interiorità, che qui diviene l’elemento fondamentale, con una sua scansionane temporale autonoma.
Tutto questo è descritto con un tono interessante. E con quel giusto pathos, presente ma mai eccessivo.

Una delle caratteristiche del lavoro, in fondo, è forse un’apparente freddezza. L’elemento descrittivo, anche se onirico, prevale su quello passionale. Questo potrebbe, in alcuni, suscitare un senso di non coinvolgimento.
Tuttavia, questa è solo un’impressione: il monologo, in parte, vuole fornire un punto di vista più “oggettivo”, quasi descrittivo. Della storia, del tempo, ma anche dell’interiorità. E per farlo utilizza non non totale coinvolgimento. Esattamente come era stato ne Monologo quantistico. Lo sguardo è nello stesso tempo interno ed esterno, presente e distaccato, narrativo e introspettivo. E, sinceramente, la cosa mi è apparsa interessante.

Quando il tempo si annulla
Alla voce di Gabriella Greison del monologo, si aggiungono delle voci registrate, che appartengono ad Albert Einstein, a Marie Curie e alla stessa Mileva Maric. Quasi come se i piani di realtà volessero mescolarsi, quasi come se si passasse dall’aspetto descrittivo a quello narrativo. Quasi come se, davvero, il tempo non esistesse, e venisse, in un istante, annullato. In altri casi, la stessa protagonista assume con la sua vocepiù ruoli. In fondo, nella fantasia, anche l’attribuzione sessuale o caratteriale può annullarsi.

La fantasia appare anche alla fine, quando Mileva racconta la sua vita dopo il matrimonio con Einstein. Parla di viaggi, di cose che ha fatto. Poi rivela che tutto è immaginato. In effetti, la biografia di Mileva rivela invece una vita molto difficile, spesso vissuta nell’indigenza, dovendo tra l’altro spendere moltissimo per far curare il figlio minore, Eduard, affetto da schizofrenia.
Ma la fantasia, come si diceva, è la vera forza che abbiamo. E quella fantasia ha permesso, qui, a Mileva di vivere esperienze bellissime, emozionanti, che hanno realizzato i suoi sogni. In fondo, c’è che dice che realtà vissuta e realtà immaginata siano molto vicine. E, forse, il volare con la fantasia permette di superare la disperazione del quotidiano.

Utilizzando la meccanica quantistica, poi, questo forse crea mondi paralleli dove davvero la vita che si vuole fare si realizza. E dove si trova una Mileva Maric che ha potuto affermarsi come fisica e vedere il giusto riconoscimento al suo lavoro? Anche questo è un sogno? Forse, ma talvolta è bello sognare! In fondo, proprio chi è stato in grado di sognare ha realizzato le cose più grandi! E poi, come si diceva, in fondo passato e futuro non sono così distanti: tutto viene a coincidere, e molti decenni possono divenire il bagliore di un attimo.
Allora, via verso il futuro, nel quale Mileva Maric è stata comunque ricordata. Nell’università di Novi Sad, nella sua Serbia, c’è un busto bronzeo che la ritrae, ed a lei è stato dedicato un francobollo. La storia, quindi, le ha reso giustizia.

Lo spettacolo a cui ho assistito si è svolto il 16 ottobre 2018, all’Auditorium di Piazza della Libertà, a Bergamo, nel convegno di Bergamo Scienza. Come ha ricordato l’autrice, non c’era stata tutta la scenografia che c’era, invece, nella rappresentazione fatta a Roma. E questo ci ha portato a dover “immaginare”. La cosa, però, non è risultata un problema: in fondo, in un lavoro dove l’immaginazione ha avuto un ruolo così importante, è stato bello anche immaginare realtà possibili. Costruendole, in fondo, come si voleva che fossero.

La scienza, forse, è davvero questo: immaginare mondi. Lo stesso Einstein affermava che occorre, prima di formulare qualsiasi cosa, immaginarla. Anche in questo caso lo abbiamo fatto, aiutati anche dal flusso del monologo, ricavando, da quanto visto, le cose più belle. Che, forse, ci hanno aperto nuove prospettive. E che, sicuramente, ci hanno fatto capire molte cose: anche l’evoluzione culturale che, in poco più di un secolo, abbiamo compiuto. E che non è finita, ma creerà un uomo sempre migliore, e più aperto verso il divenire. Un divenire di consapevolezza e di sempre maggior sviluppo scientifico e culturale.

Per saperne di più:
Di Sergio Ragaini vedi anche Monologo quantistico

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Nato a Milano. Laureato in Matematica, ha sempre visto la matematica e la fisica come una sorta di “sesto senso”, che ci fa intuire nuovi mondi, anche dentro di noi. Cercando una visione unitaria dell'uomo e della cultura, si è occupato di diverse cose, spaziando dall'insegnamento al giornalismo. Ha collaborato con diverse riviste, occupandosi dei più disparati argomenti, dal cinema al turismo, alla spiritualità. Parte importante, per lui, è anche la musica, che pratica attivamente, e che per lui è anche un modo per andare al cuore dell'uomo.