di Manuela Pompas. Un’interessante mostra dell’artista venezuelano Alfredo Ramirez, il cui titolo, una citazione lettteraria, è un monito a vigilare, per non perdere la libertà
Alla Hub Art di Milano ospita fino alla fine di luglio la mostra Virtus dormitiva di Alfredo Ramirez (foto a destra), pittore e scultore venezuelano ora esule in Italia, molto noto in Sud America e negli Stati Uniti soprattutto per le sue monumentali sculture verticali che sembrano sfidare il cielo di Caracas o, forse, ricercare l’Assoluto. Da ragazzo Ramirez ha frequentato in Italia prima il corso di pittura di Saverio Terruso all’Accademia di Belle Arti di Brera e poi, allievo di Emilio Vedova, l’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove ha seguito anche l’Istituto Internazionale di Grafica. Ritornato in patria, ha insegnato disegno e incisione all’Università de Los Andes, ma ha anche vinto prestigiosi premi (come il PS1 del MoMa di New York), esponendo in varie importanti mostre, in California e in Venezuela.
Quando l’arte è anche politica: attenzione a non addormentarsi

Gli chiedo da dove nasce il titolo che ha scelto per la sua mostra, che è a cura di Giuseppe Frangi. «Nel Malato immaginario di Molière», risponde «il medico, a una persona che gli chiede perché l’oppio fa dormire, risponde che è per la sua virtus dormitiva. Anche Nietzsche usa questa definizione in Al di là del bene e del male (1886) per criticare i filosofi suoi coetanei accusandoli di non vedere la realtà, di essere passivi di fronte alle scelte morali, insomma di essere addormentati. Io invece uso la stessa espressione per rivolgermi ai venezuelani, che si sono addormentati mentre qualcuno – cioè Raul Castro – ci stava togliendo il nostro Paese. Una mattina ci siamo svegliati e tutto era cambiato, eravamo nel pieno di una dittatura che parte da Cuba. Ecco che io sto lanciando un avvertimento anche agli italiani: siamo in tempi strani e dobbiamo essere vigili perché non siano anche pericolosi. La mostra vuole essere un grido di non addormentarsi, e per questo uso una serie di elementi simbolici, onirici».
Un anelito verso il cielo
La mostra si apre con un’idea originale. Ramirez, viaggiatore tormentato, scampato alla dittatura, ha usato il retro dei biglietti usati della metropolitana per raccontare un altro viaggio – questa volta per ricostruirsi una vita in un Paese amico – disegnando a penna con un tratto sottile e preciso torri, montagne, alberi, fiamme, scale. Tutte figure che presentano una verticalità – non necessariamente dovuta allo spazio della carta – figure ancora una volta slanciate verso un cielo lontano, a cui forse la sua anima anela, forse il desiderio di libertà umana, politica, spirituale. Una collezione di biglietti che ha chiamato “non sempre è presto all’alba”, un titolo poetico come anche altre frasi che a volte accompagnano le sue opere. «In realtà questi biglietti, che ho disegnato anche mentre viaggiavo in treno, rappresentano il mio desiderio profondo di trovare un luogo di comfort, una casa, un modo di vivere sereno».
Figure di grande impatto emotivo
Il titolo della mostra è legato anche all’ultima parte, dove sono presenti grandi ragni, tratteggiati o incisi, dotati di grandi zampe simili a chele pelose, visti dall’alto come – sottolinea Frangi – i disegni di Nazca, ma per Ramirez “complesse macchine celesti”. «Il ragno che è in copertina l’ho chiamato “virtus dormitiva”, come se fosse il suo nome, che ha le qualità di un ragno vero, che vive nella selva venezuelana, e sono enormi, molto passivi, tranquilli, a meno che non li spaventi e lui uccide l’insetto (ma anche l’uomo) gettando il suo veleno, l’acido che gli serve per digerire. Il ragno rappresenta anche la Natura che è indifferente, essere passiva e benevola, ma anche violenta e distruttiva».
Molte le figure doppie, sempre tratteggiate a penna: due cuori uniti in disegni che richiamano tabelle di anatomia, due colonne vertebrali, due donne siamesi, unite in un unico corpo…
Opere di grande espressività ed energia
E poi grandi figure femminili quasi grafiche, che sembrano essere state partorite come nei miti di trasformazione dagli alberi o dagli arbusti, a volte dolci e irreali e a volte inquietanti, come altre sue opere che richiamano in modo chiaro o sottile il dolore, la rabbia, l’aggressività, la paura. E queste emozioni sono ancora più forti in un’opera che mi ha molto colpito, una tigre su un grande pannello di legno che all’inizio pensavo essere un disegno: avvicinandomi ho notato che si tratta di un’incisione su legno, dove i tratti che disegnano il corpo nascono dalla privazione del legno, parti mancanti che sembrano essere state strappate con le unghie da una forza immane, legata alla disperazione, alla rabbia, ma anche alla determinazione di riuscire: “io sono forte e ce la farò, io posso vincere”.
Ed è questo che auguriamo a Ramirez: di rifarsi una vita e di ritrovare quel successo che ha lasciato al di là dell’Oceano.
Il prossimo appuntamento è vicino, lo ritroveremo a settembre in un’altra mostra milanese nella galleria Lorenzo Vatalaro (piazza S. Sempliciano 7)
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