Orfeo, tra mito e psicologia

di Rossana Mondoni. La discesa agli Inferi di Orfeo per cercare  Euridice, ovvero la propria Anima: uno dei più grandi miti del passato rivisitato alla luce di un’interpretazione simbolica che lo rende attuale

Entrare nella “selva oscura” simboleggia la discesa nell’inconscio.

L’uomo, nella sua lotta contro il tempo, non si rende conto che la soluzione per superare le prove della vita e raggiungere la salute psicofisica dipende da lui stesso. Quando si individua la via da percorrere, l’inconscio scatena contro di noi paure e angosce (la selva oscura dantesca) che ci scoraggiano dal proseguire. Più comodo occuparsi di ciò che ci troviamo intorno, degli aspetti esteriori e superficiali dell’esistenza, e dare la responsabilità di ciò che ci accade all’ambiente circostante, scaricando le cause degli insuccessi sugli altri, in particolare su chi ci sta intorno: famigliari, amici, datori di lavoro e colleghi. Una delle più interessanti chiavi di lettura, per avvicinarci al senso profondo della nostra esistenza, individuale e collettiva, la possiamo trovare nel mito, laddove dei ed eroi, si mettono alla prova senza timore di affrontare prove più difficili a volte apparentemente impossibili. Analizzando e cercando di interpretare le gesta dei personaggi mitologici archetipi dell’inconscio collettivo junghiano, riusciremo a far emergere ciò che vi è profondamente sedimentato e che neppure noi sappiamo di possedere.

Dietro il mito, la storia dell’uomo

“Orfeo e Eurydice” di Rubens.

Uno dei miti più significativi che illustrano la discesa nei meandri dell’inconscio alla ricerca della nostra identità, sepolta e camuffata dalle abitudini quotidiane e dagli idoli che la società ci impone, è quello di Orfeo ed Euridice. La ricerca del Sé può avvenire attraverso un percorso di esplorazione, rappresentato dalla discesa agli Inferi del nostro protagonista Orfeo, che non teme l’incognita e affronta con coraggio la situazione anticipando di millenni la nota frase di Jung: ”Un uomo che non è passato attraverso l’inferno delle proprie passioni, non potrà mai superarle”.
La leggenda di Orfeo ed Euridice è la storia dell’uomo e della donna che divisi, cercano di riunirsi per poi perdersi una seconda volta, si rassegnano alla sorte karmica, mantenendo intatto il loro anelito verso l’unità. Questo mito, esistito ancor prima che Omero ed Esiodo cantassero le vicende degli dei olimpici, riguarda la condizione esistenziale del genere umano, il rapporto corpo-anima, sole-luna.

Che cosa ci ha narrato la leggenda
Orfeo era figlio di Eagro e della musa Calliope. Musicista e poeta d’incommensurabile valore, girava per la Tracia accompagnando i canti col suono della sua lira, da cui mai si separava, lasciando estasiati tutti quanti, uomini e natura, in un panismo delle origini dove l’armonia teneva unito indistintamente ogni essere vivente. Tutti lo ascoltavano affascinati, al canto suo anche gli animali più feroci si ammansivano e uscivano dalle tane perdendo la loro aggressività, al suo passare tutto quanto si ricomponeva, l’infuriato si acquietava, lo sconvolto si placava.

Porto Torres. Orfeo. Mosaico.

Ma lui di questo non se ne inorgogliva, ringraziava in cuor suo il dio Apollo di avergli donato un così prezioso strumento e le Muse per avergli insegnato ad usarlo. La melodia che produceva, accompagnata da un canto soave, lo metteva in comunicazione con l’intero cosmo; neppure di questo si vantava, rendendosi conto che era un dono e come tale non andava sprecato ma gelosamente custodito.
Un giorno, così vuole la tradizione, incontra in un bosco la ninfa Euridice, bellissima fanciulla figlia di Nere e di Doride e, come capita nelle fiabe, se ne innamora all’istante.
In questi ambienti, che risalgono all’infanzia dell’uomo, il tempo non viene mai preso in considerazione, le esperienze si sovrappongono l’una sopra l’altra e il nostro Eroe, all’improvviso, si sposa con la sua amata in un bosco della Tracia giurandosi eterna felicità.

Maestro dei Cassoni Campana. “Aristeo insegue Euridice”

Ma il destino dei due giovani doveva condurli in un’altra direzione: Euridice, mentre fugge dalle grinfie di Aristeo, che, invaghitosi di lei cerca di usarle violenza, correndo scalza sul prato viene morsicata da una serpe e muore all’istante.
La disperazione del suo amato sposo non ha confini, il suo dolore, trasmesso dalla sua lira, unica compagna rimastagli, si diffonde attraverso lo spazio in luoghi remoti, dove la luce non filtra mai: l’Averno di virgiliana memoria in cui i trapassati conducono un’esistenza da ombre, la cui identità è soggetta alla giurisdizione di Ade, re degli Inferi, che ha incoronato sua regina Persefone figlia della Terra.

Viaggio nell’aldilà
Guidato dalla sua armonia che apre anche le porte più solide e piega i metalli più duri, Orfeo riesce ad entrare nel fianco del monte Olimpo attraverso una feritoia che conduce nell’aldilà. Qui, col suo canto, non solo rende partecipi le anime dei trapassati, ma anche coloro che sono preposti al controllo ferreo di quei luoghi: il traghettatore Caronte, il cane Cerbero e le Furie.
Il suo canto, accompagnato da musica soave, supera i confini dell’umano, commuove la Regina e induce Ade ad accondiscendere a far ritornare Euridice nel mondo dei vivi, evento d’eccezione se si pensa che nessuno dei mortali può varcare la soglia e tanto meno far uscire colui che ha già raggiunto la vita eterna.

Orfeo e Euridice, di G.F. Watts.

Come se l’ordine cosmico venisse improvvisamente sovvertito, il tempo inverte la sua direzione. Ade dà il suo consenso a riportare Euridice sulla terra, a patto che non si volti a guardarla fino a quando non abbia visto il sorgere del sole. Orfeo s’inchina a tanta magnanimità e generosità. Una donna velata viene condotta al suo cospetto accompagnata da Ermes che, per ordine del Dio degli Inferi, veglierà a che tutto proceda secondo i dettami; in caso contrario, una seconda opportunità non gli sarebbe concessa. Orfeo riprende la salita verso il mondo dei vivi, ormai ha visto e ottenuto ciò che desiderava, non gli resta che attendere il sorgere del sole per rivedere la sua amata; ma il desiderio lo brucia e il dubbio lo tormenta: ci sta veramente Euridice dietro a quei velami o Ade, in tresca con Ermes che la tiene per mano, l’ha scaltramente ingannato? Per risolvere l’enigma occorre agire immediatamente, solo togliendo i veli potrebbe esserne certo e sciogliere il dubbio che lo tormenta. Si gira, tende la mano verso di lei ma non fa in tempo ad alzare il velo che le copre il volto che la fanciulla si allontana indietreggiando verso l’abisso.

Sogno o realtà?
Tutto tace, Ermes, forse preso da pietà, cerca di trattenere la mano di lei; all’improvviso Orfeo si ritrova solo con la sua lira, sdraiato su un immenso prato al sorgere del sole. Sogno o realtà? È veramente sceso agli Inferi oppure si è addormentato, sfiancato dal dolore per la perdita dell’amata anima sua immergendosi nella natura amica?

Marc Chagall. “Orpheus”

Tace il cuore e anche la ragione pare non essergli d’aiuto, per una volta l’uomo accantona le credenze, si mette alla prova, non si fida della parola del dio, vuole vedere, valutare, trovarsi di fronte al fatto compiuto e così facendo, temendo l’inganno, il castello degli dei cade e nell’aria pare diffondersi la loro fragorosa risata che, per un attimo, fa tremare al giovane frastornato la terra sotto i piedi.
Il vuoto, lasciato dalle credenze svanite, creano panico all’uomo, che va alla ricerca di qualcosa che possa sostituire una tradizione che pareva intramontabile. Ma Orfeo si è evoluto: il dubbio è connesso al senso critico, il logos sembra avere annullato il mito.
Con la filosofia l’uomo vuole vedere e conoscere, non si accontenta di ciò che gli è stato tramandato, sente il mondo fuori di sé che vibra, vuole interagire, toccare con mano, la materia.
Il reale prende il posto dell’ideale, l’anima rappresentata da Euridice giace nelle profondità degli abissi, lasciando l’uomo Orfeo sguarnito nella realtà.

Ma di quale realtà si parla?
Narra il mito che Dioniso incita le Menadi, sue sacerdotesse, a vendicarsi di quello che viene considerato atto sacrilego ai danni della religione degli dei, e Orfeo, con la scusa che dopo la morte di Euridice non prova più interesse per le altre donne, viene fatto a pezzi e gettato nell’Ebro. Si favoleggia che solo la testa, sostenuta dalla sua lira, rimanga a galla scendendo fino al mare presso l’isola di Lesbo dove si trova il tempio di Apollo, a testimonianza che la ragione, prevalendo sul mito, ha cacciato nell’inconscio dell’umanità il sogno primordiale della sua immortalità.
L’io originario in simbiosi con la natura, si stacca dal tutto e comincia a costruire, cade e poi si rialza, sente che ha bisogno di punti d’appoggio. Li cerca nelle religioni monoteiste piegandosi al divino, poi scopre che forse può fare da solo e si affida alla scienza; ma la scienza non è certezza, spesso solo ipotesi e congetture. Inizia il confronto, spesso scontro tra religione, fondata su una sorta di creazionismo e scienza sperimentale territorio esclusivo della ragione, tutto viene assorbito dalle due concezioni.
Solo Ermes, il messaggero degli dei, velocissimo, con le ali ai piedi, si precipita sulla terra riuscendo a far riemergere, in pieno Rinascimento, la figura di Orfeo in tutta la sua grandezza attribuendone le caratteristiche a sé: il messaggero che consegna all’uomo la chiave per vivere autonomamente. Ecco apparire la figura leggendaria nota col nome di Ermete Trismegisto, colui che è l’artefice della propria esistenza. La nostalgia dell’immortalità, rimasta celata come brace tra la cenere, verrà combattuta dal dualismo di scienza e fede, che non lascia spazio per secoli ad altra possibile soluzione, o sei ateo o sei credente, fino a quando, scavando nella coscienza collettiva, “il ritorno del rimosso” riproporrà il problema irrisolto dell’uomo, parte, artefice e partecipe dell’energia dell’Universo. Prendere coscienza della possibilità di riconciliarci col nostro io recondito accettandone l’essenza originale può portare l’uomo a guarire dal male di vivere del nostro tempo. Reinterpretare il mito decodificandone i simboli significa ritrovare dentro di noi la ragione di vita. Diventa la più efficace medicina.

 

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