Che strano chiamarsi Federico

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regia: Ettore Scola
Interpreti:  Tommaso Lazotti (Fellini giovane),  Maurizio De Santis (Fellini anziano),  Giacomo Lazotti (Scola giovane), Giulio Forges Davanzati (Scola anziano), Ernesto d’Argenio (Marcello Mastroianni), Sergio Rubini (madonnaro), Antonella Attili (prostituta).
Giudizio: ****

Se non fosse già stato usato da Fellini, avrebbe potuto chiamarsi “Amarcord”: il titolo è invece la citazione di una poesia di Federico Garcia Lorca, sottotitolo “Scola racconta Fellini”. Passato fuori concorso alla 70° Mostra del cinema di Venezia, il film, narrato in terza persona da Vittorio Viviani, è una rivisitazione dell’amicizia tra Scola e Fellini e il loro percorso parallelo nel mondo del cinema, a partire dal debutto – in tempi diversi – come vignettisti nel giornale satirico Marc’Aurelio. E poi le prime esperienze come autori, negli anni’50, prima nella rivista e poi nel cinema, le peregrinazioni nella Roma notturna per incontrare personaggi alternativi, che spesso i due registi facevano salire in macchina per sondare un mondo altro verso il quale Fellini tutta la vita provò una grande curiosità, tratteggiando poi nei suoi film (girati tutti nel mitico Teatro 5 di Cinecittà, ricostruito da Scola) queste figure ridondanti, sguaiate, volgari, di accattoni, prostitute, ladri, pacottari. In questi vagabondaggi notturni, due bei cammei, l’incontro con un madonnaro ubriacone, che si considera un grande artista, e la prostituta generosa e un po’ ingenua, che sperando di ritirarsi dalla strada ha affidato tutti i suoi soldi a un fidanzato – che non ritorna – per comprarsi una casa.  Il film si chiude con la morte di Fellini, che però esce furtivamente dalla camera ardente per continuare a giocare. Nel finale, Scola monta alcuni spezzoni dei film più famosi del suo inseparabile amico, in cui rivediamo volti mai dimenticati, come Sordi ne “Lo sceicco bianco”, Giulietta Masina e Anthony Quinn ne “La strada”, Villaggio e Benigni in “La voce della luna”.
Come ha dichiarato Scola, questo non è un film né un documentario. Un Amarcord, appunto, le memorie di un’amicizia senza tempo, un omaggio a un grande regista che non potremo dimenticare. Ma il film, che come fosse un frammento della vita dello spettatore ci ha appassionato, non convince fino in fondo. Sbagliata – secondo noi – la scelta dell’attore che interpreta Fellini giovane, non perché non sia bravo, ma non somiglia affatto al regista riminese, in un film dove tutto sembra ricostruito alla perfezione.  E poi ci sembrano molto lunghe le scene nella redazione del Marc’Aurelio, con un salto repentino dalla giovinezza alla maturità, con assenze pesanti, come quella di Giulietta, citata a malapena.

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Giornalista, scrittrice, ipnologa, è considerata un'importante divulgatrice nel campo della medicina olistica, la ricerca psichica, la psicoterapia transpersonale. Ha scritto numerosi libri su questi argomenti e la sua ricerca cardine riguarda la reincarnazione attraverso l'ipnosi regressiva. Spesso ospite nei convegni come relatrice sulle tematiche che riguardano la sopravvivenza, è stata spesso in radio e in Tv e ha condotto anche trasmissioni in una Tv privata. Mailto: manuela.pompas@gmail.com