La Biblioteca Angelica di Roma ha presentato una personale dell’artista intitolata TRA ME e TANCREDI, un gioco di parole che allude al procedere tessile di Gisella Meo e quello informale dell’amico Tancredi Parmeggiani.

Gisella Meo è una nota fiber artista italiana, conosciuta e ricordata per le modalità con cui negli anni Settanta è passata dalla pittura informale e polimaterica alla Fiber Art, agendo nelle grandi dimensioni con ragnatele tessili che hanno imbrigliato i monumenti italiani.
Dalla pittura al tessuto
Gisella Meo nasce a Treviso nel 1936, si laurea alla scuola di Bruno Saetti all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove nel 1957 incontra il pittore Tancredi Parmeggiani che l’avvicina all’action painting e allo spazialismo e con il quale frequenta l’ambiente di Peggy Guggenheim. Nel biennio 1960-62 si trasferisce in Somalia, dove insegna alle Scuole Superiori e lavora alla creazione di grandi opere polimateriche, di espressionismo astratto. Nel 1968 rientra in Italia e risiede a Roma dove, parallelamente all’attività artistica, insegna fino al 1983. Dal 1976 le sue opere si dilatano sul territorio con interventi modulari sempre più grandi, che coinvolgono l’ambiente e il pubblico, in performance collettive
Liberare la tela dal telaio
Già durante la sua adesione all’espressionismo, dapprima figurativo e poi gradualmente informale, Meo indaga con una gestualità materica carica di fisicità lo spazio, la luce e la forza della terra e poi gradualmente passa all’analisi dei supporti, liberando la tela dal suo supporto e usando una tela libera, fluida e impermeabilizzata che dispone nello spazio. Taglia e incide delle tele impermeabilizzate, secondo sequenze geometriche che aprono e svuotano la superficie. Nel Il Modulo quadrato (1971) e in Intervento modulare (1976) incide un grande riquadro di ciré, piegato e ripiegato sulle sue diagonali e tagliato in maniera alternata, e lo apre nello spazio, rompendo la sua geometria, creando delle geometrie labirintiche, precise nel calcolo dei tagli e rese fluide dalla consistenza soffice della materia. Ne Il Cristo nero (1976) appende alla parete un modulo inciso, in tessuto ciré da una parte lucido e dall’altra opaco, che svuota a tal punto che quel che ne rimane si affloscia verso il pavimento, con un gesto che suggerisce la disposizione di un corpo crocefisso. Sono opere concettuali, basate su una geometria esatte che si apre allo spazio e alle trasformazioni.
Le forme geometriche incise si ingigantiscono fino a ricoprire, avvolgere, imbrigliare piazze, monumenti, persone.
Imbrigliare i monumenti

Negli stessi anni in cui Christo interviene impacchettando edifici, monumenti o paesaggi interi – Gisella Meo crea delle performance di ampio respiro, in cui imbriglia porzioni di ambienti pubblici ma, a differenza dell’artista bulgaro-americano, Meo coinvolge ripetutamente il pubblico, le cui azioni permettono la realizzazione delle opere.
In Vestire una fontana (1977) la plastica trasparente incisa, ricopre completamente la fontana al centro di Frascati, coinvolgendo il pubblico nell’azione. Ne Le onde del quadrato invece invita il pubblico a imbrigliare le acque del Canal Grande di Venezia (1980); operazioni sono riprese nel film Histoire d’eau.
A Campagna (Salerno) espone un grande Aquilone (1985) realizzato con stoffa per paracadute. L’anno seguente è nella Necropoli di Cerveteri dove chiede a una quarantina di ragazzi vestiti di bianco di cui imbriglia con un elastico nero i corpi, di creare con i loro movimenti una grande rete che avvolge una tomba etrusca in Tombknitting.
In commemorazione dell’attentato delle Twin Towers (torri gemelle), lavora l’elastico nero intorno ai merli della Torre di Bagnaia (Viterbo, 2002) e crea Imbragare una torre; scrive Mirella Bentivoglio: “Quasi un invito a tenere unito, compatto, contro ogni volontà di disgregazione, ciò che la cultura umana ha costruito”.
Una tessitura umana

Nel 1982 allestisce nella Reggia di Caserta La Maglia umana, riproposta nella versione Il telaio umano nel 2013 a Treviso e quest’anno Pomezia (Roma). Qui nella piazza principale della città Gisella Meo ha coinvolto venti studenti del Liceo Artistico Pablo Picasso, vestiti in tuta bianca per simboleggiare l’ordito, ne ha avviluppato i corpi con un elastico nero immagine della trama, e ne ha coordinato i movimenti in modo da far loro creare una grande maglia tubolare in trasformazione.
Una ‘tessitura’ che, come dice l’artista, diventa la metafora della rete Internet: un social network in cui i partecipanti, pur essendo collegati e in stretta relazione l’uno con l’altro, sono vicini senza conoscersi e creano un legame attraverso una inter-azione che diventa un ponte tra le due dimensioni, reale e virtuale, del nostro essere contemporaneo.
Opere concettuali, basate su una geometria aperta allo spazio e alle trasformazioni.
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