La Galleria Mimmo Scognamiglio Artecontemporanea di Milano presenta “Follow the line” (Segui la linea), una personale di Chiharu Shiota che presenta una grande installazione, due piccole sculture, una serie di disegni e fotografie.
Chiharu Shiota, pittrice e performer, ha incantato il pubblico con le sue grandi installazioni, lievi ed intense, sospese con fili fluttuanti o racchiuse in gabbie di intrecci tessili.
Una formazione multiculturale
Shiota nasce a Osaka (Giappone) nel 1972, studia arte alla Kyoto Seika University e frequenta per un semestre di scambio l’Australian National University di Canberra, quindi nel 1996 si trasferisce dopo la laurea in Germania dove trasferisce la sua residenza; frequenta la Hochschule für Bildende Künste di Amburgo e dal 1999 al 2003 la Universität der Künste di Berlino. Diventa quindi Guest Professor alla Kyoto Seika University e al California College of the Arts. Sulla sua formazione giapponese si innestano gli insegnamenti artistici della nuova residenza e di due importanti mentori: l’artista serbo-americana Marina Abramović, famosa per sperimentare i limiti umani psichici e fisici, e la body-artista tedesca Rebecca Horn, la cui influenza si riscontra nelle prime performance di Shiota, spinte al parossismo emotivo.
Nero come la precarietà, la perdita e la morte

Due sono i colori che l’artista adopera nelle sue opere: il rosso e il nero. Storicamente due colori importanti, di cui il rosso che è il primo colore ad avere una propria identità culturale, che in Giappone corrisponde all’immagine del sole, della felicità, della ricchezza, della salute, della purificazione e della preghiera. Mentre il nero, che è sempre stato associato alle tenebre, all’ignoto e alla morte, nella cultura giapponese assume anche il significato di dignità e formalità. Nera come la sofferenza e la morte sono le opere centrate su fitte ragnatele di filati che intrappolano e isolano i ricordi più drammatici nelle opere dell’artista. Come In Silence (Silenzio, 2011), in cui Shiota intrappola un pianoforte che reca segni di fuoco, circondato da due file di sedie vuote, memoria di un incendio visto da bambina che aveva bruciato la casa dei vicini e nei cui resti aveva scorto un pianoforte carbonizzato. O come in A Long Day (Una lunga giornata, 2014), dove cattura nella rete centinaia di lettere bianche che volteggiano attorno a un tavolo e una sedia, creando un bozzolo che si dispiega dal soffitto al pavimento.

O anche come in Sleeping is like Death (Dormire è come morire, 2016) dove imprigiona in uno spazio simile a un’immensa ragnatela dei letti da ospedale in cui dormono alcune donne tra lenzuola bianche: un’installazione-performance in cui l’atto del dormire e sognare si confonde con quello del morire. Sono opere costruite nello spazio che le ospita, di cui abbracciano l’intera dimensione, che vengono fotografate e poi smontate a a fine mostra, in cui il colore nero corrisponde a uno spazio inconscio, al silenzio e alla paura della precarietà e della morte.
Rosso come il corpo, l’individualità e l’amore
E se il nero per Shiota rappresenta l’esterno e il mondo, il rosso rappresenta il corpo e l’interiorità, come ha dichiarato a Angel Moya Garcia nell’intervista per Flash Art (2015): “Io scelgo tutti gli oggetti che uso nelle mie composizioni per costruire le diverse narrazioni. Io tesso e intreccio, trasformando i fili in autentiche reti che catturano e isolano questi elementi, come un insieme di parole che raccontano una storia. In questo senso posso dire che i fili neri rappresentano una sorta di cielo notturno mentre quando utilizzo i fili rossi questi tendono a rappresentare parti del corpo”.

Rossa era l’installazione creata per il Padiglione del Giappone della 56a Biennale d’Arte di Venezia (2015), The Key in the Hand (La chiave in mano), dove Shiota aveva sospeso al soffitto una fitta cascata di fili di lana a cui aveva annodato a ciascuno una chiave: cinquantamila vecchie chiavi raccolte chiedendole in dono da tutto il mondo tramite Internet. Chiavi che simboleggiano la protezione delle nostre case, delle nostre vite e delle cose preziose che conserviamo e quindi la loro memoria. I filati avviluppavano due vecchie barche di legno adagiate sul pavimento del Padiglione, immagine metaforica di due mani che catturano nel loro incavo la pioggia di ricordi che scende dal soffitto, immergendole in un oceano di filati rossi, colore del sangue e delle relazioni umane, intreccio della memoria umana individuale e globale.

Rosse erano anche le corde che sospendevano ad altezze diverse sopra il suolo centinaia vecchie valigie di varie fogge, in Accumulation: Searching for Destination (Accumulo: Ricerca per la destinazione) presentata ad Art Basel (2016): un allusivo cordone ombelicale di collegamento tra le esperienze individuali accumulate da ciascuno nel proprio viaggio esistenziale e i diversi punti di partenza. Lavori in cui il tema centrale è la memoria. Memoria che assume la forma iconica della casa nell’installazione Follow the line (Segui la linea, 2016) – presentata da Scognamiglio Artecontemporanea insieme a piccole sculture, disegni e fotografie – ha la l’aspetto iconico di una casa in cui i filati rossi che dipartono dal contorno si intrecciano fittamente al suo interno, creando una fittissima e intricata rete percorsa da nodi.

E se la casa è l’immagine delle relazioni umane dove si costruiscono i rapporti familiari e personali e il rosso rappresenta la dimensione umana, sentimentale ed emotiva, ma anche il corpo e l’interiorità, così i nodi ne sono ad un tempo le connessioni esistenziali e neuronali. Uno spazio psichico di intensa energia emotiva raffreddata dalla forma geometrica e netta che la contiene e dalla precisone con cui tutto questa volta si svolge dentro le pareti: una rete di connessioni e un intrico di nodi che rimandano all’identità, all’emozione, al sentimento. Due piccole sculture nere esposte in mostra intrappolano nel denso intrico dei loro fili neri, rispettivamente dei piccoli sandali bianchi da bambina (quelli della figlia) e il calco di un avambraccio (quello del marito), generando il disagio di un’inquietudine mitigata dall’eleganza dei manufatti.
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