La mia ricetta per il riveglio

Enzo De Caro, attore e ricercatore spirituale, in tournée con lo spettacolo teatrale “Diamoci del tu”, riflette con noi su questi nostri tempi inquieti, dandoci una sua inedita ricetta per affrontarli

enzo-decaroIncontro Enzo De Caro, amico di vecchia data, nel backstage del Teatro Carcano di Milano, dove è appena stato in scena con la commedia Diamoci del tu di Norm Foster, accanto ad un’inedita Anna Galiena. La vicenda si svolge in tempo reale ed è il dialogo fra un uomo, un romanziere famoso (De Caro, appunto) e una donna, la sua domestica (Galiena), i quali convivono da anni sotto lo stesso tetto senza conoscersi o aver mai condiviso alcunché. Fino al momento in cui, accorgendosi uno dell’altra, danno vita a una comunicazione a dir poco sorprendente.

Abbiamo bisogno di una scossa…
Prendendo a pretesto questa piccola vicenda umana, approfitto per domandare a Enzo, attore, uomo di cultura ed “entronauta”, come vive il tempo inquieto in cui viviamo. Un tempo di emergenza, di preoccupazione, di conflitti, in cui la terra stessa continua a tremare sotto i nostri piedi facendo crollare, insieme alle case e alle chiese, anche simbolicamente molte delle nostre certezze.
navajo_medicine_man«Fra i nativi americani», risponde De Caro «il terremoto veniva sacralizzato come un’esternazione dell’energia della Terra e non veniva certo considerato una punizione divina, come abbiamo sentito dire da qualche parte. Combinazione, quando c’è stata la scossa più forte dell’ultimo terremoto nelle Marche, io mi trovavo in zona e ho potuto notare come, mentre poco prima per strada la gente si ignorava, dopo lo shock le persone hanno cominciato ad abbracciarsi, accorgendosi le une delle altre, appunto, come accade nella nostra commedia.
Questo mi ha fatto molto riflettere. Peccato però che abbiamo bisogno di una scossa del 6.5 perché ciò accada. Forse ne basterebbe una molto meno forte, magari una volta al mese, affinché cominciamo a guardarci in faccia, affinché la gente tiri fuori il meglio di sé. Dirò di più, se queste “scosse” hanno l’effetto di avvicinarci gli uni agli altri, forse anche quando non ci sono, dovremmo provocarcele da noi, scatenando dei terremoti emotivi, delle crisi interiori che ci rimettono finalmente in contatto con i nostri simili!»

D. Certamente tu sei ben diverso dal personaggio che interpreti in scena, che è un vero misantropo, chiuso, distratto ed egoista. Come mai hai deciso di accettare questa parte?
R. Ogni personaggio che interpretiamo in fondo ci provoca, rompendo i nostri schemi e mettendoci in difficoltà, ma è proprio da questa crisi che può nascere qualcosa di prezioso, di rigenerante per l’attore, ma anche per l’uomo.

pivetti_decaroD. Pur essendo nato in teatro, fin dai tempi della Smorfia di Massimo Troisi, oggi tu sei noto soprattutto come attore televisivo per la tua partecipazione alla fiction Provaci ancora Prof accanto a Veronica Pivetti (foto a dx). Che cosa ti piace di più?
R. Entrambi, per ragioni differenti. La fiction offre possibilità tecniche che in teatro sono impensabili. D’altro canto il teatro ha dalla sua l’immediatezza, il fatto che tutto avviene in tempo reale e non c’è nemmeno bisogno di attendere i dati Auditel per capire com’è andata la serata.

D. Però si pensa che la Tv sia un mezzo di serie B rispetto al teatro. Che cosa pensi di ciò, tu che sei anche un grande uomo di cultura, docente universitario, accademico del cinema italiano, umanista?
R. Si tratta di una distanza che all’estero non esiste e che rappresenta una caratteristica tutta italiana. La televisione è un mezzo che viene dato per scontato perché è un elettrodomestico, di cui puoi fruire standotene comodamente seduto a casa tua, mentre il teatro è visto come uno spazio di riflessione, che ti obbliga a fare un passo in più per andarci. Ma per me è il progetto che conta, non il mezzo.

diamoci-del-tu-locandina-1D. Parliamo allora di questa commedia che stai portando in tournée per l’Italia: che cosa ci portiamo a casa, dopo averla vista?
R. Più domande che risposte di sicuro. Io non amo i copioni chiusi, quindi ci lavoro molto e faccio in modo che ogni sera il pubblico scriva lo spettacolo insieme a noi, per renderlo sempre diverso, anche se nel rispetto dell’originale.

 D. Tu napoletano doc, come ti sei trovato con il pubblico milanese?
R. Benissimo, perché come temperamento io sono il napoletano più milanese che esista!

D. Com’è lavorare accanto ad Anna Galiena?
R. È stata una scommessa, perché lei è stata costretta a misurarsi con un personaggio inedito, liberandosi da certi corpetti, da certi schemi del teatro classico.
Per me invece improvvisare è naturale, perché fin dai tempi della Smorfia, considero il teatro una sperimentazione fra amici, perciò con Anna ci siamo ritrovati a metà strada e lei, dopo un primo spavento, alla fine ha cominciato a divertirsi.

D. In genere gli artisti sono scostanti, tendenzialmente inquieti, tu invece comunichi un’amabilità, un equilibrio, è una qualità umana veramente rara. È una grazia con cui sei nato o è stata una conquista?
R. Preferisco parlarne al presente perché i lavori sono ancora in corso e perché mi sento, dopo averla costruita, anche faticosamente, costantemente impegnato a coltivarla e preservarla. Del resto anche nella fisica, l’equazione dell’equilibrio è quella che contiene il massimo del movimento, poiché comporta un’infinità di movimenti bilanciati.

himalayan-guruD. In che modo coltivi questa tua ricerca personale?
R. Mesi fa, questo autunno, ho fatto sette ore di cammino sull’Himalaya per incontrare alcuni maestri, i quali hanno la funzione di mantenere in equilibrio il pianeta, una funzione che si tramandano da millenni, cosa che ho spesso fatto andandoli a cercare anche in Amazzonia o in Perù, ma anche certi ragazzi novantenni del quartiere Sanità a Napoli, che magari fanno lavori umili, ma che a loro volta presidiano il territorio dove vivono, per mantenerne l’equilibrio.

D. Parliamo di sciamani?
R. Qualcuno li vede così, ma questa stessa funzione ce la può avere anche un qualunque medico di base che oggi si impegni a dare una mano agli sfollati di Norcia; anche lui in un certo qual modo è uno sciamano, mentre non lo sono quelli che accettano di farsi chiamare così e poi girano per fare conferenze. Perché un vero sciamano non lascia mai il territorio di cui è il guardiano.

D. Che cosa hai appreso da questi grandi saggi?
R. Uno di quelli incontrati sull’Himalaya, l’ultima volta, mi ha detto che, sebbene noi siamo abituati a separare il materiale dallo spirituale, in realtà dovremmo cercare l’uno nell’altro. Perché se vai a cercare il materiale nel materiale, quello che troverai sarà un materiale di seconda mano. Occorre invece cercare lo spirituale nel materiale, poiché è il pensiero che produce l’energia ed è quest’ultima che, muovendosi, crea poi le manifestazioni che consideriamo spirituali, che possono essere occasioni, incontri, o circostanze particolari. È stata una grande lezione, che però mi è stata affidata come se fosse la cosa più scontata e naturale del mondo.

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Enzo de Caro, con Ludovica Gargari, sua figlia in “Provaci ancora prof”.

D. Parliamo del futuro. Tu sei padre di tre figli ormai grandi: Thomas, Arjuna e Sofia. Anche da questa prospettiva, che cosa vedi quando guardi al domani?
R. La genitorialità è in crisi da tempo, poiché i vecchi punti di riferimento sono venuti meno e i nuovi aggiornamenti non si vedono ancora. Viviamo perciò in un mondo dove abbiamo enormi opportunità di comunicare, ma a volte non sappiamo che cosa stiamo comunicando. La quantità di informazione quindi finisce per andare a discapito della qualità. Quello che mi auguro per il futuro è che avvenga una connessione profonda fra generazioni. E questo anche come genitore lo sento considero un compito importante.
Oggi i nostri figli hanno problematiche differenti dalle nostre e noi non possiamo supportarli, se non come presenza, ma spesso è difficile creare questo scambio con loro, questo flusso fra noi e loro.
Quando alla politica, che dovrebbe essere gestita da saggi da consultare, è ancora fatta da gente che tende soltanto a manovrarci. Ecco perché ribadisco che dovremmo autoprovocarci una specie di terremoto interiore, capace di risvegliarci. Senza correre rischi, s’intende, ma un movimento sismico controllato che ci aiuti, tutti insieme. a ritornare vivi.

 

 

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