
Sette pazze donne sette noleggiano un mini bus con autista, che le preleva dal Taj Mahal di New Dehli. Conto salatissimo, ma spiritualità occidentale rigenerata. Femmine amiche di lunga data e varia età, accorpate a bagagli. Tutti insieme, appassionatamente. Destinazione Rishikesh e sette ore e mezzo di viaggio. Minimo.
Maxi valigie e trolley, spinti su a fatica dall’autista in un percorso a ritroso, che ha inizio sul davanti del pullmino fino al posto bagagli, in fondo. «No, guardi…non così, altrimenti alla prima frenata, questa me la ritrovo sulla schiena…La prego, cerchi di incastrarla meglio.»
Ludovica, posizionata sull’ultimo sedile, quello dall’aria condizionata destinata a breve a generare un freddo polare, continua borbottando tra sè: «La guida a destra ’fai da te’ degli indiani, ereditata dagli inglesi, la conosco bene. Uno, due, dieci colpi frenetici di clacson… e il dopo?… Miracolosamente affidato alle 35.000 divinità che popolano il subcontinente”. Ma poi, perchè non caricare le valigie da dietro? È la domanda, che affiora sulle labbra incredule di tutte. Destinata a restare inevasa.
Partendo da New Delhi…

Il mini bus percorre Janpath road. Al numero 10 c’è ancora la dimora dei Gandhi, che Alex ricorda bene, avendo lei, in età molto meno agé, intervistato prima Rajiv Gandhi e poi Sonia, la moglie italiana. Ciò che non riconosce invece sono le lunghe, ordinate, file di alberi ombrosi, le rotonde di ultima generazione, le aiuole fiorite dai colori vibranti. Bianche, semi nascoste dal verde, una dopo l’altra a debita distanza, le ricche dimore dei politici, da sempre sfacciatamente corrotti. Cento a uno, se li vogliamo paragonare ai furbetti di casa nostra. Affondare una trattativa per un’altra commessa più redditizia in termini di tangenti, pare non sia prassi insolita nei meandri parlamentar- governativi.
Scorgiamo da lontano l’Indian Gate, la Porta dell’India. Degli abitanti dei marciapiedi di allora, neanche l’ombra. Questa parte della città non differisce da qualsiasi altra ricca zona di una qualsiasi altra città occidentale. Mano a mano che si procede, il traffico si fa più intenso, sempre più caotico, ingarbugliato. Pendolari che alle sette e mezzo del mattino abbandonano o raggiungono la megalopoli nelle loro automobili, spesso luxury. La storica ‘Maruti’ (auto prodotta in India i collaborazione con la Suzuki), ma ci sarà poi qualcuno che se la ricorda ancora? Rumore assordante e bocca impastata mettono a dura prova i timpani e le vie respiratoria delle sette viaggiatrici on the road. Giulia osserva che il suono di qualche stranita ambulanza, è tra tutti il più discreto, sottotono, quasi impercettibile.
Ai margini, procedendo verso la periferia, rari agglomerati di baracche e straccioni, destinati presto a togliere il disturbo. Più di un’ora per attraversare una città intasata che conta circa diciotto milioni di abitanti. Quasi un terzo dell’Italia, ci pensate? Cantieri ovunque, grandi caseggiati alveare di recente costruzione o in dirittura d’arrivo.

Ma anche qualche esclusiva isola che si staglia all’insù con piscina sul tetto terrazzato e sguardo acquatico sul mare di case. Misure di isolamento totale dal resto degli umani, che per loro sorte si trovano ad abitarvi intorno.
Ragazzi e ragazze in maglietta, jeans e scarpe casual. Negozi e grandi marche di tutto il mondo, cellulari ipertecnologici. Nelle vetrine di una pasticceria del centro, sono esposte le madeleine, un tempo privilegio della borghesia francese
Oggi, l’immagine che l’India più sviluppata ostenta di sè, si veste di stile coloniale britannico, con sottopelle un’insaziabile avidità ‘copia e incolla’ di edonismo occidentale. L’istituzione del club ‘esclusivo’ è viva più che mai. Ci dice un indiano espatriato, un ingegnere, laureatosi a Londra mezzo secolo fa, che incontreremo a Rishikesh: «Quando sono a Calcutta, io discendo da una famiglia di bramini, so dove andare per conoscere la gente che conta».
Già in aereo, dal giornale di bordo eravamo state informate che Air India, la compagnia nazionale, propone ben 235 formule, progettate per 21 destinazioni, tra le più esotiche e in ogni regione, compreso l’estero. Per scoprire infine che per passeggeri di first e business, è previsto, su itinerari specifici, un servizio di complimentary limousine. Una foto su una rivista di viaggio, scattata alle Andamane ci lascia perplesse. Un gran bell’esemplare di elefante in ammollo a mezz’acqua, se ne sta lì a tempo indeterminato, per gran parte della giornata, a beneficio di un turismo insaziabile e curioso.
… per attraversare l’Uttar Pradesh
Il nostro multiruote procede sotto il sole. Fa già caldo. Maria Sole, posizionata accanto all’autista che gronda sudore, reclama a gran voce più aria condizionata, per motivi del tutto umanitari, sostiene lei. Bagarre tra le femmine e rischio polmonite paventata da chi siede lungo il lato destro verso il fondo. Giacche a vento serrate, pashmine attorno al capo come ciambelle. Mela e Camilla le più penalizzate.
Stiamo ancora percorrendo l’Uttar Pradesh, ampiamente disboscato, come ormai gran parte del paese. Canne da zucchero affastellate alla bell’e meglio su camion e carri a motore sgangherati e sudici. Zuccherifici, che a tratti impestano l’aria con un odore di latrina. Molte le nuove università che incontriamo lungo il percorso. Modelli con visione accademica, progettati per attrarre studenti dall’intero pianeta. In molti gli stranieri che le frequentano già. Qualcuna parte dal sanscrito per forgiare i leaders di domani. Materie classiche e di ultima generazione, all’avanguardia per tecnologia, ecologia, sostenibilità ambientale. Un’altra università, ben reclamizzata, per fanciulle ‘bene’, propone equitazione ed altri optionals. Come funghi spuntati dopo la pioggia, incontriamo costruzioni eleganti dal design innovativo per ricerca digitale avanzata.
Narendra Modi, il Primo Ministro, ex maestro di umili origini, reputato uomo onesto e di ‘visione’, promuove per un Paese che cresce ad un tasso annuale dello 7,5% tre missioni: ‘Make in India’, ‘100 smart cities’, ‘Skill India’. In altre parole lo sviluppo dell’economia indiana su scala globale, attraendo giganteschi flussi di capitali dall’estero sotto forma di partnership e investimenti. Per esaltare il potenziale indiano nel design, nell’innovazione, nella sostenibilità dei settori produttivi.
Un altro obiettivo, rendere il settore della Difesa meno dipendente dall’estero. La Hal, un’industria industana di aereonautica, ha messo in produzione in diverse regioni un nuovo tipo di elicotteri: quatromila le famiglie che direttamente, o indirettamente ne trarranno beneficio.
Se per un verso, l’India procede spedita nello snellire una elefantiaca burocrazia e facilitare l’ingresso di capitale estero, poco, o troppo poco, fa per migliorare la tragica sussistenza di milioni di contadini. Ogni anno moltissimi i suicidi di chi non riesce a ripagare il mutuo, contratto con le banche per sopravvivere a siccità e innondazioni. Per acquistare fertilizzanti e sementi ogm di multinazionali, imposti dal governo. Con il brillante risultato oltretutto, di impoverire drammaticamente il terreno. Il programma a sostegno degli agricoltori è la cassa di risonanza dei partiti prima di ogni elezione. Poi tutto si risolve nel frammentario e risicato. Dove non arriva il governo, ci prova Amma, la grande Santa vivente, che manda in aiuto dei contadini del Kerala tonnellate di sacchi di farina.
«Eppure, se li osservi quei contadini», ci fa notare Maria Sole «con quei loro occhi pazienti e rassegnati… una domanda viene d’obbligo: che siano loro gli unici rimasti ad incarnare la vera spiritualità indiana?».
Pure Gandhi, il Mahatma, “la Grande Anima”, è sotto inchiesta. Un libro di revisione storica appena uscito in India sostiene che alcune delle sue idee guida sono state anticipate da altri prima di lui. Ci sono poi gli habitué dei club che lo incolpano assieme al Pandit Nehru di non aver dato al Paese slancio economico soddisfacente. Senza voler entrare nel merito della dinastia dei Gandhi, ma il Mahatma e i suoi collaboratori non hanno portato, piccolo particolare, all’unificazione del subcontinente? Alla liberazione dal colonialismo? Inoltre, volendo essere pignoli, lo hanno fatto fuori anche piuttosto velocemente.
…fino a Rishikesh
Arriviamo a Rishikesh, nello stato indiano di Uttarakhand, ai piedi dell’Himalaya. La regione è montuosa, le vallate verdi. Il Gange pulito, ancora bambino, scorre via a tratti più veloce, a tratti lento. Sono i luoghi più sacri, più antichi della spiritualità indiana.

L’Ashram di Shivananda, grandioso, ispira devozione, suggerisce rigore, rispetto, serenità. A parte il “mega centro commerciale per ’yoga a la carte’ “, si fa per dire, a pochi passi, sovrastato da imponente cupola, a parte i giovani turisti che praticano ‘rafting’ sulle acque sacre, e l’insegna agganciata al nostro albergo “Divine Lavazza”, sì avete capito bene, si respira ancora in questo sperduto angolo di India, spiritualità vera. Lungo gli sterrati, talvolta asfalto, che s’inerpicano sulla montagna popolata di scimmiette menefreghiste e sfrontate, si incontrano molti sadhu, barba e capelli neri e arruffati, vestiti di arancione, in meditazione sul ciglio della strada o in cammino, viandanti solitari, al riparo dal mondo. Ma anche operai, molti giovani, che nei momenti di pausa, scorgi in posizione yoga e in meditazione o in preghiera.
In taxi raggiungiamo Nilkanth Mahadeo, il tempio più in alto, il più antico in assoluto. Il tratto di strada che lo precede, pullula di banchetti e piccoli negozi, con i loro display senza pretese di souvenir. Sul lato opposto, lungo un muro una fila di lebbrosi vecchi e non, che qui destano ancora pietà, accompagnata da qualche manciata di rupie. Una donna, avvolta di stracci, mi manda baci con le mani, incredula, seguendomi con lo sguardo. Cinquecento rupie! Un colpo grosso che non capita ogni giorno. Il bramino espatriato, quello di prima, mi rimprovera: “it isn’t fair”, (non si fa), basta molto meno. Ci invita nei giorni seguenti a presenziare ad una ‘puja’ sul Gange in memoria dei suoi, officiata da un sacerdote bramino. Ci raccomanda la macchina fotografica.

Le sette pazze donne sette saranno un pubblico puntuale, attento, devoto. L’espatriato, rivolto al sole, segue le istruzioni del sacerdote con congiungimenti di mani a più riprese e ablazioni. Il cordone di bramino completa la coreografia, passando dalla spalla destra all’altro fianco. Speriamo si veda in foto…
Durante la cerimonia, Carlotta, la più sopra le righe, si allontana per un attimo e chiede ad un vecchio indiano, laggiù tra i sassi, di riempirle una piccola bottiglia con acqua del sacro fiume da riportare a casa. Missione compiuta. L’uomo si schernisce, rifiuta la mancia. Lo ha fatto volentieri, tutto qui. Il sacerdote, a cerimonia ultimata, disegna sulla fronte di tutte un piccolo segno rotondo e rosso, e ringrazia, ringrazia ancora per le molte rupie, offerte con cuore gentile.
A parte i tradizionali festival quali il Kumbh Mela, a cadenza periodica nelle varie regioni che raccolgono i sadhu di tutta l’India, se ne organizzano oggi molti altri. Con il benestare del primo Ministro, del partito nazionalista hindù, questi festival propongono spiritualità e cultura, talvolta anche arte culinaria. Vi accorrono turisti da ogni dove. È possibile che per bilanciare la modernizzazione, si invochi un ritorno all’identità, dunque la spiritualità come richiamo alle proprie radici hindù, intesa anche in chiave anti mussulmana.
Amnesty International denuncia di questi tempi l’incarcerazione di due studenti universitari indiani per reato di libera espressione. Ripenso ai nostri Marò ed alla loro difficile situazione. Mi torna in mente quanto mi disse già qualche anno fa un mega industriale del tessile con molta franchezza: «Vede, un tempo i colonizzati siamo stati noi, oggi tocca a voi».
Sto per lasciare la mia stanza di Rishikesh. Ampia vetrata luminosa, sul Gange, e divieto assoluto di aprirla, perchè le scimmiette in cerca di cibo, la metterebbero a soqquadro. Ogni mattina, arrivano in tre sul piccolo balcone. Sempre le stesse. E mi osservano spulciandosi. Mamma con scimmietta seminascosta tra le braccia e, due passi più in là, il padre, di stazza decisamente superiore. Famiglia unita, direi, almeno questa è l’impressione. Porterei volentieri con me la più piccola a Milano, ma come me la caverei con scimmietta indigena e utero in affitto?
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