Dopo aver partecipato ad un convegno a Piacenza organizzato da Spazio Tesla sul tema NDE (near death experience), vorrei sintetizzare alcuni punti salienti relativi alle possibili interpretazioni che sono state date del fenomeno e che avevo evidenziato, sia dal punto di vista neuropsicobiologico che dal punto delle più recenti teorie che utilizzano una visione fisico quantistica.
Per NDE come è noto si intendono quelle esperienze, o particolari vissuti, correlati ai momenti di confine fra la vita e la morte, in occasione di eventi quali arresti cardiaci e coma; recentemente si è osservato che sempre un maggior numero di studiosi, anche appartenenti al mondo della ufficialità in ambito medico, si sta occupando del fenomeno. Sembra che i motivi legati all’emergere di un maggiore interesse per questo tipo di esperienze siano diversi: in primo luogo il miglioramento delle metodologie terapeutiche in occasione di arresti cardiaci o coma sono notevolmente migliorate, per cui sempre più persone riescono a superare momenti critici prossimi ad un possibile decesso.
Un secondo motivo è la diminuita reticenza da parte di questi soggetti a parlare dei loro vissuti di premorte, in un clima culturale che sembra non essere più svalutante e giudicante rispetto a tali esperienze. Inoltre un rinnovato interesse del fenomeno da parte di ricercatori negli ambienti medici legati ai reparti di rianimazione e medicina d’urgenza.
La morte, un annientamento o una nuova condizione esistenziale?
Ognuno di noi, nella parte più recondita del proprio essere, si chiede se la morte sia l’esperienza definitiva con la quale veniamo consegnati al nulla assoluto, oppure se si tratti solo di un passaggio verso una nuova condizione esistenziale. Tutte le culture umane che si sono succedute nella storia, fin dalla loro comparsa, hanno considerato la morte come il passaggio verso un’oltrevita. Le culture preistoriche intendevano la morte come un ricongiungimento con i propri antenati, quelle più antiche e più evolute, come quella Sumera, Egizie e Greca, credevano che la morte fosse l’inizio di un viaggio che portasse il defunto in un luogo fisico, nel quale cominciare il nuovo stato di vita. Bisogna attendere le religioni orientali, come l’Induismo e il Buddismo, per assistere ad una concezione più spirituale della vita oltre la morte, fino al Cristianesimo, che parlerà addirittura di “risurrezione dei corpi”.
Quello a cui stiamo assistendo oggi è un processo di transizione in una nuova fase che può essere indicata come post secolarismo; dopo diversi secoli di primato della ragione nell’illuminismo, dove il progresso sostenuto dalla razionalità aveva un primato di interesse assoluto, mentre tutto ciò che rientrava in una dimensione metafisica non aveva diritto di osservazione scientifica ed il processo prevalente era di laicizzazione del pensiero, osserviamo oggi che proprio le frange più avanzate di ricerca scientifica riportano a grandi passi l’interesse di menti più aperte verso un mondo spirituale e metafisico.
Paradossalmente è proprio la scienza che apre sempre di più le porte verso la spiritualità, in un continuo processo di unificazione delle diverse discipline del sapere. Il vecchio modello cosmologico propone l’immagine di un universo come una immensa collezione senza vita di particelle che rimbalzano l’una contro l’altra, obbedendo a leggi fisiche predeterminate dalle origini misteriose.

L’avvento della fisica quantistica ha portato una ferita nel modello dell’universo-orologio, che da una prospettiva prevedibile dei fenomeni fisici, si sta addentrando in una prospettiva semi-prevedibile. Il problema più grande è che in una particolare forma di vita, quella umana, esiste un fenomeno come quello della coscienza, la cui comprensione rimane ancora, a dir poco, un mistero.
Se il XX secolo è stato dominato dalla fisica, il XXI si configura come l’epoca della convergenza tra diverse discipline, fino ad oggi ancora in apparente conflitto tra loro, quali la fisica, la filosofia, la biologia e la teologia; tutto sembra convergere in una unificazione dei saperi.
La Coscienza universale è totalità, è un ologramma cosmico. La coscienza individuale è un ologramma virtuale delle nostre esperienze configurate nella nostra consapevolezza attraverso il cervello – una macchina elettrobiofisica che effettua continui processi di interpretazione. Noi esistiamo in una matrice, all’interno di un ologramma, o in una programmazione virtuale. Ciò che noi crediamo essere la realtà è la risultante dei nostri limiti percettivi e della struttura del nostro cervello.
La coscienza individuale comporta pensieri, sensazioni, percezioni, stati d’animo, emozioni, sogni e la consapevolezza di sé; la si comprende come un tipo di stato mentale, un modo di percepire, o una relazione tra sé e l’altro. Se molti filosofi hanno visto la coscienza come la cosa più importante dell’universo, molti scienziati attribuiscono alla parola coscienza un significato troppo nebuloso per essere utile. La coscienza è un termine che si riferisce al rapporto tra la mente e il mondo con cui interagisce; è stata definita come la soggettività, la consapevolezza, la capacità di sperimentare o sentire, lo stato di veglia, avere un senso di individualità, il sistema di controllo evolutivo della mente.
Più recentemente, alcuni studiosi hanno cominciato a inquadrare pionieristicamente questioni come la coscienza umana, l’immortalità dell’anima e la vita dopo la morte, come oggetti di studio all’interno della fisica teorica. Con la parola “anima”, lo scienziato si riferisce ad una dimensione della persona umana indipendente dal cervello o dal resto del corpo che può sopravvivere alla morte. Ormai, per molti, i dubbi circa la sopravvivenza della personalità oltre la morte, basate sula convinzione che sia incompatibile con le leggi della fisica, sono infondati.
Le ipotesi sul fenomeno della NDE
L’esperienza di premorte è uno degli eventi più enigmatici che possa capitare nella vita di una persona; i pazienti che hanno vissuto questa esperienza la descrivono come una sensazione di pace e l’inizio di un viaggio verso una fonte di luce intensa, spesso accompagnata dall’incontro con alcuni familiari defunti che raccomandano alla persona il ritorno alla vita terrena, per completare il proprio ciclo esistenziale.
I tratti fondamentali dell’NDE sono: il vissuto di sospensione della vita, il senso di pace, l’uscita dal corpo, l’esperienza di tunnel, l’incontro con entità spirituali, la percezione dell’Essere supremo, la revisione della vita, la riluttanza a rientrare nella vita terrena, un alto livello di consapevolezza e di espansione della coscienza.
Nel 1990 il dott. Rick Strassman, che ha condotto degli studi su farmaci psichedelici, sosteneva che un rilascio massivo di DMT (dimetiltriptamina) dalla ghiandola pineale al momento della morte potesse essere responsabile degli eventi classificati come NDE. Richard Kinseher nel 2006, afferma che l’esperienza della morte incombente è un estremo strano paradosso per un organismo vivente ed è correlato alla NDE, durante la quale la coscienza individuale diventa capace di “vedere” il cervello che esegue una scansione di tutta la memoria episodica (anche esperienze prenatali), al fine di trovare una esperienza memorizzata che sia paragonabile agli input del processo di morte.

Tutti questi bit digitalizzati e informazioni recuperate vengono valutati dalla mente reale, alla ricerca di un meccanismo di coping dalla situazione potenzialmente fatale. Kinseher afferma che questa è la ragione per cui una esperienza di pre-morte è così insolita, poichè le persone che hanno una NDE riportano l’esperienza di ricordi a lungo considerati perduti; questa teoria è correlata necessariamente ad una teoria della memoria in cui tutti i ricordi sono conservati a tempo indeterminato. Questa teoria afferma anche che il vissuto di esperienza fuori dal corpo (out of the body experiences), spesso presente nella NDE, sono un tentativo da parte del cervello di creare un quadro mentale della situazione e del mondo circostante. Il cervello quindi trasforma input sensoriali dalle esperienze memorizzate (conoscenza) in un’idea onirica di sé e la zona circostante.
Secondo Engmann, le esperienze di pre-morte in individui con una condizione di morte clinica sono sintomi psicopatologici causati da una grave disfunzione del cervello risultante dalla cessazione della circolazione sanguigna cerebrale. I sintomi suppongono una afflizione primaria della corteccia occipitale e temporale in stato di morte clinica; tale teoria potrebbe essere congruente con la tesi della pathoclisi, ossia l’inclinazione di parti speciali del cervello ad essere le prime ad essere danneggiate in caso di malattia, mancanza di ossigeno o malnutrizione. Secondo tale tesi, i fenomeni di base dovrebbe essere simili in tutti i pazienti con esperienze di pre-morte; ma un problema cruciale è quello di distinguere questi sintomi psicopatologici di base dalle ridefinizioni secondarie che possono derivare da una rielaborazione dei sintomi in relazione all’influenza di opinioni culturali e religiose della persona.
Una ricerca del 2010 dell’Università di Maribor, in Slovenia, correla le esperienze di premorte con elevati livelli di anidride carbonica nel sangue che alterano l’equilibrio biochimico cerebrale cui conseguono fenomeni allucinatori. Altri studi mettono in correlazione le esperienze di NDE con alcuni processi presenti nella fase REM del sonno. Questa teoria suggerisce che lo stress estremo causato da una situazione di pericolo di vita attiva stati cerebrali simili a sonno REM. Secondo questa ipotesi l’esperienza di premorte è uno stato simile al sogno durante la veglia.

Alcuni ricercatori del sonno, come Timothy J. Green, Lynne Levitan e Stephen LaBerge, hanno notato che le esperienze NDE sono simili a molte delle esperienze riportate durante il sogno lucido, il quale si verifica quando l’individuo è consapevole di essere in una dimensione onirica. Spesso questi stati sono così realistici da essere appena distinguibile dalla realtà.
Tuttavia nessun modello fisiologico o psicologico da solo spiega tutte le caratteristiche comuni di NDE. Il verificarsi di una paradossale accresciuta consapevolezza lucida e processi logici di pensiero nel corso di un periodo di ridotta perfusione cerebrale solleva questioni particolari imbarazzanti per la nostra attuale comprensione della coscienza e la sua relazione con le funzioni cerebrali. Una chiara percezione sensoriale e processi percettivi complessi in un arco di morte clinica apparente sfidano il concetto che la coscienza sia localizzata esclusivamente nel cervello.
A NY, un importante programma di ricerca
Nel 2008 il dott. Sam Parnia, professore assistente di terapia intensiva all’università Statale Stony Brook di New York, in collaborazione con il dott. Peter Fenwick e i professori Stephen Holgate e Robert Peveler dell’università inglese di Southhampton, è alla guida del programma Aware “Awareness during resuscitation”(consapevolezza durante la rianimazione), la ricerca sulla NDE più estesa mai condotta che coinvolge ormai 25 ospedali tra Regno Unito, Europa centrale, Stati Uniti, Brasile ed India.

Il 28 luglio 2010 in una intervista su una recente conferenza al Goldsmiths, Parnia afferma che «vi è una evidenza che i processi mentali e cognitivi possono continuare per un periodo di tempo dopo che il processo della morte ha avuto inizio» e descrive il processo della morte “essenzialmente come uno stroke del cervello. Quindi come in ogni stroke non ci si aspetterebbe che l’entità della mente coscienza debba cessare immediatamente”.
Nel 2014 sono stati resi noti i risultati dello studio condotto sotto la guida di Sam Parnia: è emerso tra l’altro che circa il 40% dei soggetti esaminati ha avuto “percezioni di consapevolezza” durante l’arresto cardiaco, ma solo il 9% ha avuto NDE. Il dottor Parnia ha affermato: “Potrebbero essere molti di più i casi di esperienze dopo la morte ma molti non le ricordano a causa dei danni al cervello o ai sedativi che sono stati somministrati”.
La teoria del biocentrismo di Robert Lanza
Certo, la biologia e la neurologia possono spiegare i meccanismi che regolano il funzionamento del cervello rispetto agli stimoli ricevuti dai sensi; ma non siamo ancora in grado di spiegare, dal punto di vista scientifico, la soggettività dell’esperienza sensoriale. Quel che è peggio, nessuna disciplina scientifica è capace di spiegare in che modo la coscienza possa emergere dalla materia. La nostra comprensione dell’enigmatico fenomeno della coscienza è praticamente nulla.

Robert Lanza cerca di raffinare tali considerazioni con la teoria del biocentrismo, secondo la quale spazio e tempo non sono quelle dimensioni immutabili e rigide che abbiamo sempre pensato. Secondo le considerazioni degli esperimenti di fisica quantistica, tutta la nostra esperienza sensoriale non è altro che un vortice di informazioni che si verificano nella nostra mente. Lo spazio e il tempo sono semplicemente “regole” create dal nostro cervello attraverso le quali la nostra coscienza cerca di dare un “ordine” a quella esperienza che chiamiamo “realtà”.
Secondo Robert Lanza – attualmente direttore scientifico presso l’Advanced Cell Technology e professore aggiunto presso la Wake Forest University School of Medicine – sebbene i singoli corpi siano destinati alla morte e alla disintegrazione, la coscienza viva dell’individuo, il “chi sono”, esiste come forma di energia (circa 20 watt) che opera all’interno del cervello. Se è vero che spazio e tempo sono “filtri” posti dal cervello alla nostra coscienza, dobbiamo concludere che in un territorio senza tempo e senza spazio la morte non può esistere. L’immortalità non significa una vita perpetua nello spazio-tempo, ma piuttosto l’esistenza in una realtà totalmente al di là dello spazio e del tempo.
Lanza pone questo postulato alla base della sua teoria: tutto ciò che percepisci del mondo non può esistere senza la tua coscienza: la nostra coscienza è alla base della realtà. Ponendo questo postulato nell’osservazione più generale dell’Universo, significa che lo spazio e il tempo non si comportano in maniera ‘rigida’ e ‘veloce’ come ci sembra di percepire. In sintesi, essi non esistono di per sé fuori di noi, ma sono un prodotto della nostra coscienza.
La teoria quantistica della Coscienza
Secondo la Teoria Quantistica della Coscienza elaborata da Hameroff e Penrose, le nostre anime sarebbero inserite all’interno di microstrutture chiamate “microtubuli”, contenute all’interno delle nostre cellule cerebrali. La loro idea nasce dal considerare il nostro cervello come una sorta di “computer biologico”, equipaggiato con una rete di informazione sinaptica composta da più di 100 miliardi di neuroni. Essi sostengono che la nostra esperienza di coscienza è il risultato dell’interazione tra le informazioni quantiche e i microtubuli, un processo che i due hanno definito “Orch-OR” (Orchestrated Objective Reduction).
Con la morte corporea, i microtubuli perdono il loro stato, ma le informazioni in essi contenute non vengono distrutte. In parole povere, più legate ad un linguaggio tradizionale, l’anima non muore, ma torna alla sua sorgente. Preferirei aggiungere che le informazioni quantiche contenute nella dimensione olografica del nostro essere persistano e vengano “restituite” e “rifuse” nella matrice cosmica.
«L’informazione quantistica all’interno dei microtubuli non è distrutta, non può essere distrutta, ma viene riconsegnata al cosmo. Quando un paziente torna a vivere dopo una breve esperienza di morte, l’informazione quantistica torna a legarsi ai microtubuli, facendo sperimentare alla persona i famosi casi di premorte», spiega Hameroff.
La grande portata di questa teoria è evidente: la coscienza umana, così intesa non si esaurisce nell’interazione tra i neuroni del nostro cervello, ma è un’informazione quantistica in grado di esistere al di fuori del corpo a tempo indeterminato. Si tratta di quella che per secoli le religioni hanno definito “anima”.
Questa teoria scientifica si avvicina molto alla concezione religiosa orientale dell’anima: secondo il credo buddista e induista, l’anima è parte integrante dell’Universo ed esiste al di fuori del tempo e dello spazio. L’esperienza corporea (o anche terrena, materiale), non sarebbe altro che una fase dell’evoluzione spirituale della coscienza umana.
Causalità formativa di Sheldrake
Secondo Sheldrake i campi morfici sono regioni di influenza all’interno dello spazio-tempo, localizzati dentro ed intorno ai sistemi che organizzano ed il loro funzionamento è probabilistico; essi limitano ovvero impongono un ordine all’indeterminismo intrinseco dei sistemi cui presiedono; comprendono in sé e connettono le varie parti del sistema che sono preposti a organizzare. La risonanza morfica individua l’idea secondo cui ogni individuo facente parte di una specie, attinge alla memoria collettiva della specie – campo morfico – contribuendo a sua volta ad un ulteriore sviluppo della specie stessa.

Di particolare importanza, nella teoria di Sheldrake, è il concetto di risonanza morfica. Ogni insieme complesso ed organizzato di attività di un individuo (animale superiore o uomo), che comprende anche sogni, esperienze mistiche nell’uomo, stati alterati della coscienza ed altro, possiede una sua struttura: questi stati mentali e queste attività possono essere trasferiti da un individuo all’altro, proprio grazie al meccanismo di risonanza morfica.
Ai fini della comprensione metafisica dei fenomeni di NDE la teoria dei campi morfici va integrata alle ricerche scientifiche sul DNA di Pjotr Garjajev; per evidenti necessità di sintesi non mi soffermo sulla teorie di Garjaiev mi limiterò soltanto a riportarne alcuni punti essenziali. In relazioni alle ricerche, i cromosomi del DNA funzionano come computer solitonici-olografici, sono in grado di ricevere informazioni dal campo morfico e trasmettere le configurazioni olografiche anche con modalità non locali.
La molecola di DNA, investita di radiazioni elettromagnetiche di opportuna frequenza è in grado di:
a) condurle con la minima dispersione (si comporta come un superconduttore)
b) come oscillatore, di continuare ad emettere energia per lungo tempo dopo averla ricevuta.
È stata infatti individuata una vibrazione in uscita di tipo solitonico; la sua principale caratteristica è la grande persistenza nel tempo e nello spazio, che la rende un ottimo vettore di informazioni.
Dalla somma di questi dati si può giungere ad un’immagine piuttosto nuova del DNA. Se fino ad ora questa molecola era stata vista come uno scambiatore di informazioni di tipo esclusivamente biochimico, e, conseguentemente, trattato come tale, ad esempio in campo biomedico, queste ricerche lasciano intravedere la possibilità di interagire con il DNA in altri modi.
Da questa serie di esperimenti è risultato che:
1) materiale cromosomico, sottoposto a PLR è in grado di immagazzinare e interpretare i messaggi trasportati dalle onde radio.
2) tale materiale è in grado esso stesso di riprodurre questo processo, in quanto emittente fotoni e polarizzante gli stessi in onde radio, adoperando i cristalli liquidi di cromatina come specchi laser.
L’altra sorprendente conclusione cui sono giunti gli scienziati russi è che tali segnali-onda si propagano nello spazio-tempo in modalità di tipo nonlocale-quantico, secondo l’effetto Einstein-Podolsky-Rosen (EPR). Quest’ultimo punto, di rivoluzionaria importanza, permette di ipotizzare che il materiale genetico di un organismo vivente formi un ologramma, in cui ogni unità cromosomica funge da biochip, che emette e riceve simultaneamente tutto l’insieme di informazioni riguardanti l’esistenza nello spazio e nel tempo di quell’organismo, organizzandole in un “testo”, scritto con lettere corrispondenti alle basi nucleotidiche. Questo “testo” è, naturalmente, dinamico: essendo formato da un flusso di informazioni variabili, esogene ed endogene, deve continuamente correlarle tra loro al fine di garantire l’adattabilità e, in ultimo, la sopravvivenza dell’individuo.
Queste ricerche configurano l’essere vivente nella sua complessità come un ologramma che è in grado di ricevere “informazione” dal campo morfico, trasmetterla con modalità non locali e restituirla la campo con le nuove memorie esperenziali evolutive acquisite attraverso le esperienze esistenziali individuali e della coscienza di gruppo di appartenenza. In questo contesto le NDE assumono un razionale credibile; personalmente credo comunque che la nostra capacità di comprensione e i tentativi di razionalizzare fenomeni spirituali costituiscano un limite, quindi solo se trascendiamo tali limiti, se portiamo il nostro livello di coscienza su altri piani, possiamo avere una “esperienza” di ciò che è l’NDE.
Ottimo articolo