Quando il cibo è colorato

La seconda metà del 1900 è stata attraversata da numerosi studi di psicologia che si sono occupati anche dello stretto rapporto che lega il colore al senso del gusto. E’ il colore infatti a suggerire il sapore e la qualità di un alimento prima ancora del suo assaggio, a disporci positivamente o negativamente nei sui confronti, tanto che, se per caso il gusto non corrisponde all’attesa, provoca sorpresa o diffidenza. Affermava lo psicologo svizzero Heinrich Frieling: “Di fronte alla vista di caramelle gialle si secerne più saliva che non alla vista di caramelle rosse, per128_hamburger03ché il giallo predispone a qualcosa di acido, il rosso invece a qualcosa di dolce”.
Tuttavia l’aspettativa oltre all’esperienza dei sensi è dovuta anche a un gran numero di relazioni interne, sedimentate nel subcosciente tanto da poter dire che è il cervello ad assaggiare i colori. “Un industriale invitò a cena un gruppo di dame e signori. Gli ospiti furono accolti da gradevolissimi odori di cucina, che facevano pregustare un piatto da buongustai. Ma quando la gaia brigata si riunì intorno alla tavola imbandita di raffinatissimi cibi, il padrone di casa accese una luce rossa. La carne sui piatti si colorò di un bel rosso, apparendo freschissima, ma gli spinaci apparvero neri, le patate di un rosso brillante. La sorpresa fu generale, ma la luce si mutò subito in blu, e l’arrosto sembrò stantio, le patate marce. Gli ospiti persero del tutto l’appetito. Poi si accese una luce gialla, il vino rosso prese l’aspetto di un olio scuro e i commensali divennero giallastri come cadaveri; alcune signore particolarmente sensibili si alzarono e lasciarono precipitosamente la sala da pranzo. Nessuno fu capace di mangiare, benché tutti capissero che le strane sensazioni erano soltanto provocate dalle luci colorate. Ridendo l’anfitrione riaccese la luce bianca e subito a mensa tornò il buonumore”. Questo breve e “gustoso” racconto di Johannes Itten (1962) pone l’accento sulla relazione veramente strettissima che c’è fra colore e gusto: le diverse tonalità presenti in natura hanno permesso infatti agli uomini di distinguere il buono dal cattivo, il commestibile dall’immangiabile, il dolce dall’amaro… Così nell’esperienza quotidiana una vivanda per essere bene accetta deve avere il proprio colore: se una caramella gialla che ci promette limone o banana ha invece un gusto di fragola o di menta, ne restiamo sorpresi, perché colore, gusto, olfatto e appetito si richiamano l’un l’altro in un contrappunto sommesso e ricco.
Alterare il colore di cibi e di bevande significa alterare, attraverso lo guardo, l’aspettativa del sapore, oppure rimarcarla: i coloranti alimentari, che sono privi di qualsiasi valore nutritivo, servono proprio per questo. Esaltare la colorazione originaria è un’operazione marketing fatta per conferire alle merci un aspetto più invitante così da accrescere l’interesse e il favore dei consumatori.
Man Ray nel 1960 creò una baguette parigina blu-cobalto, un vero pane blu realizzato con coloranti alimentari, l’esperimento fu ripetuto in seguito e il pane blu venne offerto per le strade ai passanti che lo rifiutavano: sembra che in natura non ci sia qualcosa di commestibile blu cobalto. Tuttavia negli anni’80’, sull’onda di un noto cartone animato, nasce il gelato al ‘Puffo’ di una bella tonalità azzurra: più colore che sapore!
Anche per l’universo dei colori-sapori è importante l’asse di caldo-freddo: le tonalità calde e brillanti della cucina mediterranea – che vanno dal rosso del pomodoro, all’arancio degli agrumi, dal giallo dorato dei cereali o da quello più intenso dello zafferano ai porpora delle cipolle, fino ai caldi marroni delle spezie – sono stuzzicanti, desiderabili e stimolanti dell’appetito e in ‘cucina’ vengono spesso scelte per gli antipasti e i primi piatti, mentre quelle fredde dell’asse verde-blu sono più insipide e inibenti.
La psicologia entra in cucina e si appropria del carattere emozionale delle gradazioni che Angelo Paracucchi, uno dei padri dell’arte culinaria creativa italiana, in una specie di gioco declinava così ” chi ama il blu ha sicuramente problemi alimentari, chi sceglie il nero trasgredisce a tavola; il rosso predispone ad assaggiare i cibi con gusto, ioriginal_Colored-Food-l giallo vitale e positivo favorisce un buon approccio al cibo, mentre chi sceglie il bianco possiede una certa saggezza alimentare (…) E’ vero che anche un nero può attrarre, ma basterebbe che fosse di una tonalità tendente al grigio per essere immediatamente fuori posto; così il verde se diventa troppo chiaro, il marrone quando non è dorato, ma eccessivamente chiaro o scuro”
Oggi, che il colore è entrato di forza nel linguaggio della salute, si mangia il “bianco” degli ortaggi per proteggere il cuore, il “rosso” per preservarsi dai tumori, l’“arancione” per assumere il beta-carotene, alleato della pelle, il “verde” per regalarsi antiossidanti naturali, il “blu” e il “viola” del radicchio, dei mirtilli, delle prugne e delle melanzane, per introdurre agenti protettivi del tessuto osseo, delle vie urinarie e dell’ipetensione.

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