Verso Santiago, lungo la Via de la Plata

QMapa_Espana_por_Comunidades_Autonomas_Espanauante volte ognuno di noi ha pensato di abbandonare tutto e partire? Abbandonando lavoro, persone, abitudini, e trovando il coraggio di seguire il proprio istinto, di seguire la libertà. Una libertà totale, appagante, un dono che pochi eletti posseggono, o meglio, pochi hanno coraggio d’esserlo. Non so da dove sia arrivata una tale forza, ma decisi di licenziarmi non pensando al futuro per partire per un viaggio in Spagna, lungo la Ruta de la Plata, partendo da Siviglia fino a Finisterre. Un po’ mi spaventò, l’avere di fronte 1100 km da compiere a piedi. Una follia, direbbero in molti, e a dir la verità lo pensai anch’io. Mi resi conto che probabilmente questa decisione non poteva essere compresa da tutti.

Una fuga, una ricerca di sé
Fu un modo per fuggire dalle vecchie ferite, con la voglia di allontanarmi dal passato, un’occasione per guardarmi dentro, o almeno tentare di farlo. GMario in camminoCome fosse una sorta di rivalsa nell’abbandonare luoghi e persone per dedicarmi alla cura di me stesso, ma soprattutto per far respirare quelli che sono ancora i miei sogni.
Avvertivo la necessità di evadere ed incontrare la solitudine. Ci sono momenti in cui si ha bisogno di stare soli, con l’esigenza di silenzio per riordinare il caos nella propria mente. Molti credono che solitudine significhi afflizione, per me non è così: la solitudine è un momento positivo, prezioso, che rende acuta la sensibilità ed amplifica le emozioni.
Mai prima d’allora camminai per giornate intere e consecutivamente per così tanto tempo, percorrendo dai venti ai quaranta chilometri al giorno, senza vedere nessun paese. Niente bar, niente fonti d’acqua. Questo costringe a portare le provviste nello zaino, con un maggior peso sulle spalle, ma la bellezza dei paesaggi incontrati fa passare in secondo piano la fatica fisica. Ricordo quanto rimasi incantato da Salamanca (foto sotto, a destra), più che una città la definirei un museo all’aria aperta.
DSCN5019A volte la notte la passavo dormendo a terra, in Municipi che mettevano a diposizione una camera vuota, altre in monasteri ed altre ancora in ostelli. Per potermi fermare a dormire era necessaria la credenziale, ovvero un documento di viaggio che serve per distinguere un pellegrino da un viaggiatore qualunque.
Scritti e testimonianze dicono che in quei luoghi ci sia una particolare energia che conduca chi lo percorre alla comprensione dell’io più recondito. La leggenda che accompagna la Ruta de la Plata mi aveva affascinato. Narra che a chiunque la attraversi venga offerta la possibilità di incontrare il “vero amore”. Non so cosa realmente significhi, se amore universale verso qualunque cosa o nei confronti di una persona.
Pur essendo luoghi che potrebbero essere simili ad altri si ha la percezione che in questi posti accada qualcosa fuori dall’ordinario. O forse è la speranza che accompagna chiunque lo percorra. Mi affascinava il pensiero che siamo guidati da un linguaggio che va aldilà delle parole. Credo che ogni avvenimento abbia un significato e che nel nostro quotidiano ci siano indizi che meritano d’essere osservati con più attenzione. Come fossero un aiuto per trovare il senso della connessione tra un evento e l’altro.
DSCN5262Il Cammino è sole cocente e pioggia battente, gioie e pianti, è un’estenuante fatica arricchita da incontri intrisi di parole. E’ spontaneità, nata dal contatto con le persone che condividono una piccola parte della propria vita. Ha il potere di far comunicare in modo spontaneo, condividendo momenti di totale sincerità, in un mondo dove ormai questa non è più diffusa.
Le famiglie dei camminatori si compongono e si sciolgono di continuo, con la speranza di ritrovarsi per poi avere cose da raccontare, che siano avvenimenti o riflessioni meditate in solitudine. Trovo rispettoso che ognuno segua il proprio ritmo nel procedere. Ognuno apprende sempre di più ciò che significa seguire l’istinto e il proprio ritmo vitale.
La quiete regna sovrana e, nei tratti asfaltati, l’essere sorpassato da un’auto è cosa rara. Scoprii la naturalezza con cui riuscii a star solo, parlando con “lui”, il Cammino, che diventa un amico a cui confidarsi. “lui”, con un ritmo antico ha scandito i miei passi. I giorni scorrono più lenti, come a portare ad un vivere ormai dimenticato, ad una semplicità fatta dal camminare, cibarsi e dormire. E’ un tornare ad apprezzare le cose essenziali, quelle che le città e la frenesia non mi fanno essere più in grado di vedere, e “lui”, come un vecchio saggio mi ha mostrato la vera bellezza.

Mille chilometri di solitudine e silenzio
Poi nel momento meno atteso si presenta all’uscio la cosiddetta crisi, con la voglia di abbandonare, non sopportando più nulla. DSCN4670.AI lunghi sentieri, fatti di distese aride a perdita d’occhio, danno l’impressione che non arrivi mai la fine. I paesaggi li vedevo tutti uguali, sino a darmi la nausea. Avevo la nausea di pensare, facendomi scavare in ogni parte più profonda portandomi allo sfinimento. Sembrava di sfiorare la pazzia, di toccare il fondo, ma il fondo non c’è, non esiste limite. Volevo spegnere la mente per darle tregua, darle un attimo di pausa. Avevo la nausea del sole, il rifiuto del sole, di andare a piedi per chilometri sotto il suo occhio che ha puntato raggi cocenti su ogni mio passo. Il caldo torrido mi perseguitava, arrivando ad un punto in cui il mio corpo e la mia mente non ce la facevano più; ma poi, come in ogni crisi, qualcosa o qualcuno viene in soccorso e l’umore torna sui suoi passi.
Mi sono guardato attorno, godendo della bellezza di ogni cosa su cui i miei occhi si son posati, dove anche una panchina all’ombra diventa il divano più accogliente, ed il sapore dell’acqua sembra più buono dopo una giornata sotto il sole cocente, con la lingua che si attacca al palato dall’arsura.

L’arrivo a Santiago
DSCN5153Dopo un mese arrivai alla grande Plaza de Obradoiro, a Santiago. Ricordo i miei passi lenti nel dirigermi verso la cattedrale. La sensazione non fu quella di camminare, ma di volare, come se ogni gesto fosse ovattato, così come i rumori. La piazza era gremita, festante, e con quella confusione si ha già nostalgia della solitudine dei boschi, delle strade polverose con il vento che soffia le nubi. Entrando nella cattedrale, mi accolse il rituale del “botafumero“ , dove un enorme incensiere viene fatto oscillare lungo la navata sino al punto di sfiorare il soffitto, passando sulle teste dei presenti.
Il mio viaggio giunse al termine a Finisterre, alla fine del mondo, come lo chiamavano gli antichi. Sulla segnaletica apparve: 00 km all’arrivo. Fui incredulo d’aver percorso mille e cento chilometri a piedi. Abbassai la testa, socchiudendo gli occhi e gioendo per la vittoria d’aver percorso tutti quei chilometri, ma allo stesso tempo abbattuto per non aver trovato alcune risposte alle mie domande.
chilometrozero155382_1624218979596_5107038_nCon il passare del tempo capii che il vero fallimento è l’inazione, lo stare fermi e non provare nemmeno a lottare, a sognare, a credere. C’è chi sta immobile, stagnando come acque paludose anche per intere vite. Considerano il mondo qualcosa di temibile: ed è proprio per questo che diviene temibile.
Mi rendo conto che non è semplice descrivere e mettere a parole l’essenza dell’esperienza avuta. E’ un insieme di emozioni che all’improvviso trovano il culmine. Il cammino ha avuto una forza che mi è entrata dentro. E’ l’unione tra felicità e tristezza, tra coraggio e paura, tra certezza e incredulità. In passato vagavo sonnambulo, senza mai svegliarmi, urtando contro la vita, ma dopo questa esperienza ho capito che non sono le sconfitte ad ingrandire le cicatrici, bensì le rinunce.

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